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Cento anni dall’Appello ai liberi e forti di don Sturzo. La relazione di Alberto Gambino al convegno di Caltagirone

Dal 14 al 16 giugno si svolgerà presso la diocesi di Caltagirone, in Sicilia, il convegno internazionale L’attualità di un impegno nuovo. Il convegno si propone come un momento di riflessione ed approfondimento del pensiero di don Luigi Sturzo – fondatore, nel 1919, del Partito Popolare Italiano -, in occasione del centenario dell’Appello ai liberi e forti, vero e proprio punto di svolta per i cattolici italiani dopo il “non expedit“, che impediva loro di fatto la partecipazione alla vita politica.

Il fitto programma della tre giorni andrà a toccare, per rileggere e riattualizzare, dodici punti del pensiero di Sturzo: Famiglia e Vita; Scuola ed educazione; Corpi intermedi e rappresentanza; Lavoro e cooperazione; Sviluppo e ambiente; Stato e autonomie locali; Salute e solidarietà; Chiesa e libertà religiosa; Economia e fiscalità; Politica e riforme istituzionali; Migrazione e immigrazione; Europa e Pace.

Tra i partecipanti al convegno si segnala la presenza di Alberto Gambino, prorettore dell’Università Europea di Roma e direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia, che terrà un discorso all’interno del panel Sviluppo e ambiente.

Su questo tema, il punto numero 5 dell’Appello ai liberi e forti di Sturzo recita: “Organizzazione di tutte le capacità produttive della nazione con l’utilizzazione delle forze idroelettriche e minerarie, con l’industrializzazione dei servizi generali e locali. Sviluppo dell’agricoltura, colonizzazione interna del latifondo a coltura estensiva. Regolamento dei corsi d’acqua. Bonifica e sistemazione dei bacini montani. Viabilità agraria. Incremento della marina mercantile. Risoluzione nazionale del problema del mezzogiorno e di quello delle terre riconquistate e delle province redente”.

“La lettera enciclica Laudato sì di Papa Francesco indica un paradigma dello sviluppo, con indicazioni politiche. Anche la ‘lezione’ di don Sturzo indica un mutamento di prospettiva: la presa di coscienza del ruolo e la partecipazione al riscatto non solo materiale ma anche morale. Oggi, come all’epoca dell’Appello ai liberi e forti, viviamo un passaggio, una transizione economica, politica e sociale in cui ai cattolici si chiede di esprimere, al di là delle valutazioni sulle scelte economiche dei Governi, una partecipazione attiva informata ai valori e non agli interessi. Nel terzo millennio le incertezze dominano un panorama internazionale in cui il Sud del mondo si rivolge con fiducia soprattutto all’Italia per chiedere aiuto. Richiesta che non ci può lasciare indifferenti”, ha detto Gambino.

Di seguito, il rapporto completo del professor Alberto Gambino.

1. Somiglianze, asimmetrie.
“Sviluppo e ambiente” è un’endiadi la cui relazione muta con il contesto storico. Ne risulta, così, piuttosto scontato non trovare somiglianze di contenuto economico-sociale tra i due momenti – l’attuale e l’origine del manifesto sturziano – se non nella dimensione storica del grande cambiamento in atto, allora come oggi che reclama percorsi di coraggiose ed impegnative riforme strutturali con un respiro riformatore e con tratti di discontinuità.
Si prova un certo sconforto nel constatare che la questione idrogeologica e quella “meridionale” non hanno assunto la dimensione di un impegno totalizzante rispetto alla missione dello Stato italiano nel suo complesso. Dopo un secolo, il paese si configura “a macchia di leopardo” con larghe aree di effettività nei servizi essenziali, specie nel nord Italia e qualche esempio virtuoso al Sud. Con riferimento allo sviluppo agricolo, precarietà e incertezze, oggi come allora, sia sul piano economico che sociale, sono indotte da grandi sconvolgimenti di fronte a novità non conosciute che pongono problematiche nuove da affrontare.
La lettera enciclica Laudato sì di Papa Francesco indica un paradigma dello sviluppo, con indicazioni politiche. Anche la “lezione” di don Sturzo indica un mutamento di prospettiva: la presa di coscienza del ruolo e la partecipazione al riscatto non solo materiale ma anche morale. Oggi, come all’epoca dell’Appello “Ai liberi e forti”, viviamo un passaggio, una transizione economica, politica e sociale in cui ai cattolici si chiede di esprimere, al di là delle valutazioni sulle scelte economiche dei Governi, una partecipazione attiva informata ai valori e non agli interessi. Nel terzo millennio le incertezze dominano un panorama internazionale in cui il Sud del mondo si rivolge con fiducia soprattutto all’Italia per chiedere aiuto. Richiesta che non ci può lasciare indifferenti.

2. Legami, ponti.
La globalizzazione che obbliga all’interdipendenza e la mondializzazione dei mercati ha alimentato gruppi e poteri sempre più spregiudicati, che si sottraggono alla dialettica democratica influenzando e manipolando l’opinione pubblica. Come tornare ad un sistema che abbia al centro il valore della persona, della comunità del bene comune? Con un immenso sforzo di comunicazione, con il sempre maggiore sostegno ai percorsi della cosiddetta economia civile, con la sperimentazione continua di nuove prassi comunitarie. Sarà sufficiente per (ri)conquistare il consenso dei cittadini? Sì, ma solo nella misura di un loro coinvolgimento in modo attivo. Questa è la frontiera della democrazia e dello sviluppo. È una grande responsabilità per i corpi intermedi, attori nell’offrire un progetto complessivo di sviluppo in sinergia con i cittadini consumatori, con il territorio, con l’agroindustriale, con la cultura. Nuove imprese, nuove frontiere per offrire una nuova elaborazione e progettualità dentro un’economia di prossimità e di legalità a favore dei cittadini.

3. Dal potere al servizio: utopia o urgenza?
C’è una forte domanda di ampliamento degli spazi della democrazia, ma i processi sociali se non convergono verso le finalità del bene comune aumentano la conflittualità sociale. L’indebolimento dei valori condivisi sta portando alla riduzione della democrazia sociale, alla disaffezione per la politica, alla scarsa promozione della coscienza civile, alla delega. Provare ad intraprendere percorsi che sperimentino e progressivamente affermino nuovi meccanismi di sviluppo, attenti all’ambiente considerato come bene comune e non come strumento di arricchimento per pochi, implica naturalmente il passaggio da una prassi del potere ad una cultura del servizio nelle classi dirigenti. Nell’attività agricola stanno ritornando i giovani con nuovi strumenti gestionali, con nuove tecnologie, con nuovi metodi produttivi eco-compatibili. La cultura del servizio determina l’affermarsi di meccanismi di trasparenza nelle relazioni tra istituzioni e cittadini e di diffusione di responsabilità. Su questo punto emerge un aspetto che vale la pena approfondire: l’inevitabile frattura che segna il passaggio da un certo modello di sviluppo ad un altro, da una determinata concezione del ruolo delle classi dirigenti ad una visione del potere inteso come servizio. Ce lo ricorda ancora una volta Francesco nella Laudato sì, quando esplicitamente chiede se si ritenga possibile che i soggetti che hanno saccheggiato l’ambiente, che hanno impoverito popoli e nazioni, che hanno provocato guerre e diseguaglianze, possano essi stessi guidare il cambiamento. Evidentemente no: c’è quindi bisogno di passaggi di forte discontinuità ed anche di rottura.

4. Buone prassi “incarnate”.
Per le caratteristiche proprie del nostro tempo, la moltiplicazione di buone prassi, di progetti esemplari, di esperienze avanzate, costituiscono una frontiera indispensabile. Come pure è indispensabile fare sforzi per mettere in rete queste esperienze, sia per rafforzarle, sia per evitare che i protagonisti di tante, straordinarie storie, pensino di essere isolati, di costituire una eccezione. Partendo dal “sociale”, costruendo risposte di solidarietà ed accoglienza, assistendo ed includendo i più deboli, si rappresentano percorsi di valorizzazione di beni comuni, di sviluppo e di occupazione. Migliaia di opportunità di lavoro in imprese e cooperative sociali, a dimostrare che lo sviluppo non ha come molla soltanto la ricerca del profitto, ma, sempre più spesso, la solidarietà e la comunità. Sono fatti che dimostrano la potenza ed il realismo della frase del Vangelo che ci ricorda che “le pietre di scarto” possono diventare “pietre d’angolo” sulle quali costruire l’edificio. Occorre moltiplicare queste esperienze non nella logica di mostrare lodevoli e meritorie eccezioni: se questo fosse l’obiettivo troverebbe spazio l’atteggiamento di quanti rifiutano di pubblicizzare le loro esperienze per un apprezzabile senso di discrezione; ma per dimostrare che un altro modello di sviluppo è possibile. Occorre fuggire dal tenere queste esperienze in recinti, casomai dorati, ma percepiti come “altra cosa” rispetto allo sviluppo. Lavorare nel sociale è lavorare per lo sviluppo. Un esempio normativo virtuoso, nel campo dell’agricoltura, è stata la “Legge di Orientamento” che ha permesso alle aziende agricole di affacciarsi sul mercato come imprese in grado di resistere all’assalto della globalizzazione e ai sofisticati processi della grande produzione e distribuzione. Si punta sull’agricoltura familiare, si rilanciano le imprese agricole familiari con i giovani e dei giovani. Si fa più stretto il rapporto con i consumatori secondo una visione di corresponsabilità sull’alimentare e sul cibo.

5. Virtù civili e proiezione non solo internazionale.
Un nuovo modello di sviluppo non può che muoversi da una dimensione locale che rappresenti la tessitura di un impegno cruciale per uno sviluppo sostenibile. C’è una via italiana, c’è un “nostro” modello di sviluppo con il suo capitale sociale sul territorio, con la sua eredità di idee e di valori trasmessi da generazioni di uomini e di donne che si sono spesi per il bene del Paese. Una nuova fonte di reddito ma anche una risposta alla domanda di servizi sul territorio che sappiano rilanciare il bene comune e la coesione sociale. Non c’è sviluppo senza coesione sociale. Le esperienze che incidono più direttamente sulla dimensione socio-culturale sono il volano di un modello che la politica potrà/dovrà indicare nella prospettiva europea.
C’è però, infine, una questione di metodo.
Certamente l’innovazione di un Paese passa per la qualità della sua classe dirigente, e oggi essere classe dirigente concretamente significa governare i processi decisionali delle istituzioni.
La debolezza dei luoghi di selezione del personale partitico produce quale effetto che il decisore, per raccogliere idee, progetti e dunque strumenti di innovazione, finisca per rivolgersi all’esterno dei luoghi istituzionali. Si pensi alle diverse sfere di policies, che vanno dalla politica industriale alle politiche delle Infrastrutture e della Logistica, passando per le politiche della Scienza e della Tecnologia e la politica Sanitaria, per finire alle due sfere hanno un influsso importante su un sistema di innovazione di un paese: Telecomunicazioni e Digitale. Temi che l’attuale ceto dirigente è in grado di declinare soltanto con l’apporto decisivo di competenze esterne. Ed è questa la grande occasione che abbiamo davanti: siamo di fronte ad un grande impegno di modernizzazione, che, attraverso sguardi attenti e capaci di produrre idee, può contribuire a sollecitare le strategie più innovative, a cominciare dai temi dello sviluppo e dei talenti. Non più punto di osservazione, ma think-tank sociale, culturale e, in definitiva, politico, che muova dall’idea di una società delle possibilità fondata sulla conoscenza. Si tratta di un cantiere aperto e rivolto ai singoli come ai gruppi che vogliano occuparsi del futuro, con la volontà di superare alcune frontiere proprie del paradigma anacronistico destra-sinistra e tentare di sostituirle con quelle dell’innovazione e del confronto. Il tema di grande attualità della sicurezza dei cittadini sta lì come un macigno a dimostrarlo.
La politica ha bisogno di rinnovarsi nella sua anima. Ciò sarà possibile soltanto attraverso una possibilità concreta di rendere testimonianza anche nell’impegno personale, che, per chi crede, si muoverà nell’orizzonte di un progetto a misura d’uomo e aperto al trascendente. Tutto questo non può prescindere da temi nevralgici, come la giustizia e l’equità, che coinvolgendo il nostro vivere civile, riveleranno lo stato di salute della nostra democrazia. Occorre tratteggiare una prospettiva di sviluppo e di riforma politica centrata sugli interessi dei cittadini e sulla loro dignità di persone, e per questo, oggi, radicale e rivoluzionaria. È urgente allora affiancare al politico di professione una nuova generazione di politici “di servizio”, che possano convivere, nella reciproca stima, con i primi. Persone, cioè, dedite abitualmente ad un mestiere o ad una professione, che decidono di impegnarsi nella politica attiva e, se del caso, candidarsi con l’impegno ad una partecipazione “a tempo” nelle istituzioni, pur rimanendo coinvolti definitivamente nell’elaborazione dei contenuti e delle idee. In questo, il ruolo dell’associazionismo cattolico è decisivo quale espressione di valori fondati sul primato della persona, così da riprendere temi e idee che innalzano il livello del confronto pubblico, elevandolo dalla mera composizione di interessi materiali, a grandi obiettivi di portata generale in grado di ispirare la partecipazione anche emotiva dei cittadini. I luoghi tradizionalmente radicati nell’alveo del magistero della dottrina sociale della Chiesa dovrebbero essere sede naturale di elaborazione di progetti economico-sociali, attenti alle istanze dei settori più vulnerabili della cittadinanza, così da poter presentare proposte tecnico-politiche per rispondere alla complessità dei problemi oggi sul campo. È una trama faticosa certo, per certi versi eroica, ma è l’unica in grado di ridare senso al contributo dei cattolici italiani all’impegno pubblico per il bene comune e lo sviluppo del Paese in un quadro di necessaria sostenibilità ambientale.

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