“Il parere di Strasburgo interpreta la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, assolutizzando un presunto diritto alla vita privata e familiare del tutto privo di senso in quanto in capo ad un minore in tenera età che, come noto, è totalmente incapace di esprimersi a riguardo”.

Così Alberto Gambino, Direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia, prorettore dell’Università Europea di Roma. “Con questo parere si trascura drammaticamente – prosegue Gambino – il fatto che la pratica della maternità surrogata per gran parte dei cittadini europei offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane e il principio fondamentale della responsabilità per il fatto della generazione”. “Forzare un ordinamento che non ammette la surrogazione di maternità, come quello francese, attraverso scorciatoie arbitrarie in tema di filiazione – edulcorando con evidente ipocrisia la figura del soggetto che paga per avere un figlio di altri, utilizzando l’espressione ‘madre d’intenzione’ – lascia davvero perplessi e non rappresenta i valori dell’Europa, culla di civiltà, e non di legittimazione di pratiche aberranti come l’utero in affitto”. “Confidiamo – conclude Gambino – che in vista delle prossime elezioni europee, tutti i partiti che riconoscono la dignità di ogni essere umano e la straordinaria peculiarità dell’essere madre, confermino con determinazione la loro contrarietà assoluta alla pratica aberrante della maternità surrogata”.

Il commento di Gambino fa riferimento alla sentenza della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu), emessa il 10 aprile, secondo la quale un bambino nato all’estero mediante maternità surrogata, in un Paese in cui la gestazione per altri sia legale, deve essere riconosciuto anche nei Paesi europei in cui questa pratica non è consentita, Ciò deve avvenire o mediante iscrizione all’anagrafe oppure con un’adozione piena, riconoscendo diritti-doveri anche alla madre non biologica o al secondo padre. La Cedu è intervenuta sul tema per rispondere a una richiesta della Corte di Cassazione francese sul caso di due coniugi Menesson, intentata nel 2014. Il caso riguarda due bambini nati in California appunto attraverso la pratica della maternità surrogata. La Corte europea ha in sostanza stabilito che il bambino nato all’estero con la maternità surrogata deve essere riconosciuto come figlio di entrambi i genitori in base al suo diritto al rispetto della vita privata (ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea per la tutela dei diritti), e che il rispetto del diritto del minore viene prima della salvaguardia dai rischi di abusi connessi alla maternità surrogata.

A riguardo: Utero in affitto. Da Strasburgo un parere consultivo della Corte europea dei diritti umani che rischia di riconoscere nei fatti la maternità surrogata anche dove è vietata per legge