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Concorrenza e Intelligenza artificiale, ecco perché serve un nuovo ruolo per l’Antitrust

(Via Agenda Digitale)

di Alberto Gambino e Mariachiara Manzi

Le nuove tecnologie stanno trasformando il mercato. Il consumatore non è più solo destinatario dell’offerta, ma – forse inconsapevolmente – fattore del successo delle imprese sul mercato di riferimento. Occorre, neanche troppo metaforicamente, aprire la cassetta degli attrezzi regolatori per adattarli all’obiettivo della trasparenza e controllo sui processi sottesi, perché si possa garantire una competizione corretta nell’orizzonte  della missione europea di protezione di un consumatore-cittadino e non più cittadino-consumatore. Un’analisi dello scenario.

La conformazione giuridica degli ordinamenti “occidentali” ha sempre fatto perno su due grandi vicende. Quella delle libertà e quella che riguarda i diritti, da intendersi come diritti soggettivi, ossia quelle libertà che gli ordinamenti ritengono di giuridificare nel loro esercizio attraverso dei presìdi, di giurisdizione in particolare, quindi di tutela: il passaggio dalla libertà alla fase della tutela dei diritti, appunto.

Da cittadino-consumatore a consumatore-cittadino

Fino a una trentina d’anni fa i consumatori, in quanto tali, non erano titolari di diritti in senso stretto, nel senso che la loro libertà economica e consumeristica non era assistita da diritti, che – piuttosto – erano di fatto attribuiti alle imprese con riferimento al rispetto delle regole della concorrenza. I diritti dei consumatori si limitavano a quelli tipici di stampo civilistico nella loro veste di acquirenti; nessun diritto invece nella loro veste pubblicistica di attori del mercato.

Questa era la dinamica di gran parte dei Paesi di civil law, in Italia con l’art. 2598 codice civile:atti di concorrenza sleale, dove l’interesse del consumatore poteva rientrare dalla finestra attraverso fattispecie che implicavano la violazione della correttezza professionale. Ma non era il consumatore che poteva recarsi dinnanzi ad un giudice bensì l’impresa che trascinava anche, eventualmente, l’interesse del consumatore, che una volta ristabilita la concorrenza violata, avrebbe di nuovo avuto più scelta, più prodotti e servizi davanti ai suoi occhi. Tant’è che l’art. 2601 c.c. era l’unica possibilità di legittimare una realtà associativa, ma la giurisprudenza lo ha sempre interpretato restrittivamente, legando l’azione ad interessi di natura professionale; la legittimazione diretta delle associazioni di consumatori sarebbe poi avvenuta quasi settant’anni dopo con la class action, l’azione collettiva risarcitoria.

Dal punto di vista costituzionale molto si gioca sulla libertà di iniziativa economica – art. 41 Cost. – là dove il consumatore sta dentro l’endiadi dell’utile e del sociale (“utilità sociale”), che altro non significa che l’impresa può perseguire il suo utile o profitto purché non si scontri con l’interesse anche dei consumatori, complessivamente intesi. Questo era il sistema de iure condito, prima ancora di una grande rivoluzione, che non è la rivoluzione di Internet ma che si potrebbe definire come la rivoluzione delle authority.

Il lungo cammino dei consumatori: la svolta authority

La legge antitrust – in Italia siamo nel 1990 – ha introdotto la prospettiva che l’interesse del consumatore – che non era un diritto azionabile direttamente – possa essere rappresentato anche autonomamente, disgiuntamente dall’interesse dell’impresa in concorrenza. Poi, soprattutto negli anni successivi – nel 1992 con le pratiche commerciali scorrette (oggi si chiamano così, ma all’epoca era la pubblicità ingannevole) – si è consentito al consumatore di segnalare messaggi promozionali decettivi così da poter difendere la sua libertà di scelta. Non è una vera legittimazione ad agire ma l’Antitrust comincia ad ascoltare il consumatore, assegnandogli prerogative che davanti all’autorità giudiziaria ordinaria non avevano cittadinanza alcuna.

Si gioca così una prima scommessa: non sembra sufficiente per il consumatore che i suoi interessi vengano rappresentati dall’impresa, secondo l’archetipo tradizionale dello schema: più concorrenza uguale più scelta di consumo; assioma legato a opzioni e benefici sotto il punto di vista squisitamente economico, ma non sotto quello della qualità che piuttosto richiede un surplus informativo anche a discapito dell’interesse imprenditoriale dei concorrenti.

I rischi connessi ai sistemi di IA

Ora l’integrazione tra sofisticati algoritmi e meccanismi di Intelligenza artificiale all’interno di modelli di business, se da una parte ha alimentato l’ormai ben consolidato dibattito legato a rischi di coordinamento tacito o esplicito, dall’altra ha sollevato nuove ed interessanti preoccupazioni legate a possibili profili pregiudizievoli connessi alla natura e ai meccanismi dell’intelligenza artificiale. La recente configurazione dell’ecosistema digitale – caratterizzato da una pluralità di scambi ed interessi – coinvolge il recente dibattito riguardo le questioni poste dal processo decisionale algoritmico (avendo quale obiettivo primario quello di aumentare il livello di consapevolezza e trasparenza) e dalla promozione della concorrenza e salvaguardia della natura aperta e della neutralità della rete (ci si riferisce al progetto“AlgoAware – Raising awareness on algorithms”, avviato su richiesta espressa del Parlamento Europeo).

In questo contesto si colloca la vicenda dell’abolizione negli Stati Uniti della regola della “Net Neutrality”, con conseguente impatto sull’innovazione e sulla concorrenza. Si tratta delle tecniche di gestione del traffico che consentono agli ISP di attribuire canali trasmissivi più veloci a determinati contenuti o a determinati soggetti, esponendo quindi la comunicazione online ad eventuali condotte discriminatorie, con le conseguenti problematiche che ne deriverebbero in ordine alla tutela non solo delle libertà fondamentali dei cittadini, ma anche della concorrenza tra i soggetti che offrono i propri servizi via Internet.

Come regolare i nuovi player dell’Intelligenza artificiale?

Nel quadro della responsabilità e delle relazioni contrattuali tra gli ISP e gli utenti si registra la contrapposizione tra i sostenitori di un intervento regolamentare che obblighi gli operatori a garantire la non discriminazione, e coloro che invece ritengono necessario assicurare agli operatori la possibilità di differenziare il servizio reso e di essere per questo remunerati, considerando sufficiente l’intervento delle Autorità.

La questione oggi riguarda principalmente i video, ma potrebbe essere orientata verso l’IoT, che aumenterà la quota di traffico Internet in futuro. La Neutralità della rete è, dunque, prima di tutto una questione di politica di concorrenza. La posizione assunta dall’Unione Europea sul tema è piuttosto chiara ed è volta a preservare la rete Internet come un “bene comune”, che consenta ai consumatori e alle imprese di avere un eguale accesso aperto a qualsiasi contenuto online, garantendo un approccio democratico. Ai fini antitrust, il potere di mercato va – in tal senso – rapportato all’ingente volume di dati detenuto da un’impresa e alla capacità e sofisticatezza dei sistemi di IA di cui questa dispone. In quest’ottica, interessante – senza dubbio – il caso giurisprudenziale che ha coinvolto il servizio di Google Search e che ha portato la Commissione Europea a sanzionare l’azienda di Mountain View per abuso di posizione dominante. Tale caso ha segnalato come l’utilizzo della IA possa potenziare la portata discriminatoria, lasciando, tuttavia, elementi di problematicità in ordine alla definizione del mercato di riferimento antitrust, in continua trasformazione.

Ulteriore preoccupazione antitrust è legata all’utilizzo di strumenti di AI per attuare la discriminazione di prezzi. La crescente profilazione dei consumatori non soltanto permette di delineare una vera e propria identità digitale, ma al contempo consente di determinare in maniera puntuale e precisa lo status economico di ogni singolo consumatore. La dinamica prospetta un sistema di “aggregazione in clusters”, che garantisce ad una impresa in posizione dominante di fissare il prezzo massimo che ciascun cliente è disposto a pagare per quel determinato prodotto, massimizzando i propri profitti a danno della concorrenza.

Algoritmi, AI e under-enforcement

Analogamente, grazie alla capacità insita negli algoritmi di influenzare qualsiasi condizione di mercato, ne risulterà favorita la trasparenza dei prezzi e la frequenza delle interazioni – condizioni strutturali necessarie che consentirebbero alle imprese di reagire in maniera rapida e precisa alle azioni dei concorrenti – contribuendo alla stabilità delle strategie collusive. Nella prospettiva concorrenziale, tuttavia, la c.d. “algorithmic accountability” si instrada nello scenario di una imputazione alle imprese delle condotte “autonome” poste in essere dagli algoritmi.

La carica discriminatoria che l’intelligenza artificiale reca in sé, prospetta problematiche di under-enforcement. Il ruolo dell’Autorità Antitrust, pertanto, si colloca ad un crocevia importante, in quanto garante del processo innovativo e finalizzato a ridurre i rischi di comportamenti anticoncorrenziali. Occorre aprire la cassetta degli attrezzi antitrust per inserirvi utensili originariamente finalizzati a garantire una maggiore protezione dei dati e della tutela della privacy, per adattarli all’obiettivo della trasparenza e controllo sui processi sottesi (mediante, ad esempio, anche accortezze di tipo tecnologico, come “security by design” e “by default”), perché si possa garantire una competizione fair delle imprese ed una adeguata protezione per il consumatore-cittadino.

Alla luce di ciò è chiaro come l’acclarata inidoneità del diritto della concorrenza nell’affrontare le preoccupazioni esistenti, determinerà necessariamente forme di intervento normativo ad hoc, che postuleranno un ritorno al primordiale significato di “trust”, ovverossia fiducia, accrescendola tanto nei mercati quanto negli stessi consumatori. Il tema centrale si ancora nella riorganizzazione della vita sociale ed economica, perché si possa assistere più che a una rivoluzione disruptive, ad una graduale evoluzione della “fabbrica” e dell’intera società, che si realizzi nel pieno della trasparenza, dell’informazione e della partecipazione diretta al funzionamento dei dispositivi.

Il tema non è più così soltanto l’interesse del consumatore di stampo economico: con le tecnologie la filiera dell’offerta in parte è strumento commerciale ma in parte è strumento formidabile di formazione delle opinioni. Da un lato c’è l’operatore libero, che rispetta le regole, che intraprende la sua iniziativa economica e che, nella correttezza e lealtà professionale, mette tutto il suo afflato imprenditoriale per essere il più apprezzato sul mercato. Dall’altro, c’è l’interesse dell’utente consumatore, che però – ed è qui la seconda rivoluzione – in uno scenario tecnologicamente avanzato e attrezzato non è più un soggetto “passivo”, che ascolta, guarda l’offerta, cerca, decide. È un soggetto che direttamente e indirettamente contribuisce ai processi che consentono alle imprese di attestarsi in una posizione di supremazia in termini concorrenziali.

Fonte: Agenda Digitale

L’articolo si colloca nel più ampio dibattito sulla definizione della politica della concorrenza nell’era della digitalizzazione, su cui si rinvia al recente paper dell’Istituto per la Cultura dell’Innovazione sulle questioni esaminate dalla DG Competition (Commissione Europea)  pubblicato su Diritto Mercato Tecnologia.

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