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Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale. Maria Letizia Bixio: “Grandi aspettative dal negoziato”

Il Parlamento Europeo discute da oltre un anno circa la proposta di riforma del copyright. Questo progetto di riforma è stato avanzato dalla Commissione Europea per aggiornare le norme sul diritto d’autore e renderle al passo coi tempi dell’evoluzione tecnologica e dei social network. Ma non mancano le critiche al testo in discussione. Lo abbiamo chiesto per Diritto Mercato Tecnologia all’Avv. Maria Letizia Bixio, esperta del settore.

Avv. Bixio, intanto cosa è accaduto tra il Parlamento Europeo e la Commissione Ue in merito alla proposta di direttiva di riforma del copyright?

Partiamo dal presupposto che, a fronte della grande apprensione per le sorti di un’industria creativa oggi alla mercé di sfruttamenti online non autorizzati, grandi aspettative vengono riposte negli esiti del negoziato sulla proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.

Un’iniziativa parlamentare che, nella sua originaria proposizione risalente al settembre 2016, pareva muovere nel senso del ristoro di quel danno “nativo digitale” dal nome “value Gap” https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/IT/1-2016-593-IT-F1-1.PDF.

Dopo una serie di burrascosi interventi al testo apportati nel corso della presidenza estone e tesi alla sua completa snaturalizzazione, la barra del timone oggi è passata alla Bulgaria che annuncia di voler concludere i lavori sulla proposta entro la fine della propria presidenza (giugno 2018).

Oltre all’esigenza di aggiornamento della direttiva sul diritto d’autore dell’oramai 2001 (2001/29), alle nuove prassi derivanti dall’avanzamento tecnologico, l’intervento della Commissione risponde alla necessità di individuare strumenti idonei al riequilibrio del disavanzo di valore subito dai titolari dei diritti a fronte degli utilizzi online delle proprie opere e dei conseguenti guadagni da parte delle piattaforme che ne consentono la fruizione da parte del pubblico (c.d. value gap).

Quali sono in particolare questi strumenti di riequilibrio di cui fa cenno? 

Tra i principali elementi di contemperamento, parevano volersi introdurre nuovi meccanismi di negoziazione tesi ad agevolare la conclusione di accordi di licenza per lo sfruttamento dei contenuti protetti sulle piattaforme online (approccio verticale), nonché strumenti per assicurare un level playing field tra le piattaforme di distribuzione stesse, volti a correggere i possibili disequilibri concorrenziali (approccio orizzontale).

La proposta individuava, inoltre, mezzi effettivi di enforcement del diritto d’autore, irrobustendo il regime di responsabilità degli intermediari online di opere protette.

In concreto il testo, prima dei numerosi rimaneggiamenti estoni e bulgari, introduceva e in parte mantiene ancora una serie di disposizioni (per tutte l’art. 13 e i considerando 38, 39) volte al miglioramento della regolamentazione sull’utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti, per esser più chiari, le così dette piattaforme e/o aggregatori di contenuti.

Tali norme favorirebbero un accesso legale del pubblico alle opere protette, e al contempo innescherebbero meccanismi volti a scoraggiare il free riding delle piattaforme, tentando di addivenire a forme di equa remunerazione per i creatori dei contenuti. (Le suddette modalità di intervento sono state approfondite nel corso dell’intervento al convegno: Prove di resistenza del diritto d’autore https://www.youtube.com/watch?v=ubiypJe9CiA&t=43s).

In tal senso l’auspicio è che il testo dell’art. 13, oggetto di numerose riformulazioni, mantenga il primario intento di gradare la responsabilità dei prestatori di servizi (piattaforme) nei casi in cui si verifichi la comunicazione al pubblico di opere protette non licenziate, in relazione all’effettivo ruolo dagli stessi svolto.

Un fil rouge risolutivo, capace di un perfetto allineamento con la categorizzazione di “provider attivo” proposta dalla Corte di giustizia europea nei noti casi l’Oreal c. e-Bay C-324/09 e Google c. Louis Vuitton C-236/08, in cui si agganciava all’attività di organizzazione, indicizzazione e ottimizzazione dei contenuti, una via di fuga da quell’immunità accordata dal regime del safe harbour – di cui alla direttiva 2000/31 sul commercio elettronico – a quegli intermediari la cui attività fosse stata di ordine meramente tecnico automatico e passivo.

Dunque.

Ove questa impostazione fosse mantenuta, si otterrebbe un perfetto allineamento anche con la giurisprudenza nazionale che a più riprese ha evidenziato come in capo all’aggregatore si rileva un “intervento di editing” quando “organizza e mette a disposizione degli utenti contenuti UGC”, nonché quando “cataloga i contenuti” “non casualmente immessi dagli utenti ma organizzati in specifiche categorie”, che non può non ingenerare una forma di responsabilità paragonabile a quella editoriale (tra cui Trib. Roma 27.4. 16; 5.5.16; 15.7.16; 23.2.18 C. App. Roma 29.4.17)”.

Cosa non la convince della discussione in corso?

Allo stato è molto difficile pronunciarsi su un testo in particolare, perché la presidenza bulgara ha proposto nelle ultime settimane circa un testo di compromesso ogni dieci giorni. Sono “compromessi” per modo di dire, e paiono sempre più annacquare gli intenti originari della Proposta della Commissione.

In particolare molto allarmante è lo slittamento in capo agli aventi diritto di tutti gli oneri di segnalazione delle eventuali violazioni, modifica che pare tratteggiare la volontà di plasmare uno schermo da qualsiasi forma di responsabilità a beneficio delle piattaforme (safe harbour rinforzato) in tutti quei casi in cui non ci sia un’attivazione diretta dei titolari dei diritti.

L’ipotesi comporterebbe una sostanziale liberalizzazione delle violazioni sul web, dal momento che è arduo, se non impensabile, che i singoli autori possano autonomamente sostenere costi di monitoraggio e segnalazione, attività che viceversa è già automatizzata dalle piattaforme che indicizzano e organizzano i contenuti caricati dagli utenti.

Un ulteriore aspetto critico, su cui però sembrerebbe non esservi più la prospettiva di grandi risultati, è quello relativo all’annosa questione dello stay down, ovvero le modalità di impedimento della recidiva nelle violazioni.

Sebbene più che auspicabile l’obbligo per i fornitori di servizi “attivi” di impedire il nuovo caricamento sui propri server delle opere tutelate già rimosse, a fronte di contestazioni da parte degli aventi diritto, tale imposizione sconta una certa ritrosia in una lettura orientata della direttiva 2000/31, secondo cui non possono imporsi obblighi di filtraggio preventivo in capo a detti fornitori.

Viceversa, altrettanto innegabile nella stessa direttiva, è la presenza di un obbligo per i provider di adempiere al “dovere di diligenza che è ragionevole attendersi da loro al fine di prevenire taluni tipi di attività illecite” (considerando 48) e di adottare gli “strumenti tecnici di sorveglianza resi possibili dalla tecnologia digitale” (considerando 40).

 

Per monitorare l’andamento dei lavori non resta che seguire l’iter sul portale europeo http://eur-lex.europa.eu/procedure/IT/2016_280?qid=1501668669098&rid=1

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