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L’evoluzione digitale e il diritto. Intervista al prof. Davide Mula

L’evoluzione digitale appare incessante, al punto che anche in pochi anni possono verificarsi cambiamenti enormi. Cosa comporta questo da un punto di vista normativo? E in che modo il diritto può restare al passo?

Diritto Mercato Tecnologia ha posto queste domande all’avv. Davide Mula, professore a contratto di Diritto e gestione del trattamento dei dati personali e delle biotecnologie presso l’Università Europea di Roma e autore – insieme ad Alberto Gambino e ad Andrea Stazi – del manuale Diritto dell’informatica e della comunicazione (G. Giappichelli Editore), giunto alla terza edizione, attualmente in stampa.

“Il diritto e l’innovazione tecnologica, oggi in particolare sub specie di evoluzione digitale, non sono fenomeni in competizione. Il diritto deve garantire che l’innovazione tecnologica non leda diritti ed interessi dei singoli e della collettività ma che anzi sia utile al perseguimento degli stessi”, spiega Mula. “Tuttavia, pensare che possa sussistere un complesso di norme atto a regolare tutti gli aspetti di una determinata tecnologia (come tale in evoluzione), e che il diritto debba quindi stare sempre al passo dell’evoluzione tecnologica, con la conseguente proliferazione di testi di legge, è irrealistico ed anche pericoloso”.

“La norma, infatti, ‘generale e astratta’, deve essere soggetta a puntuale interpretazione rispetto al caso specifico da disciplinare, così che si possano ricavare regole applicative, in evoluzione, dal quadro normativo generale. Ciò anche perché ove, diversamente, la norma sia tanto specifica da disciplinare ogni aspetto della tecnologia considerata, si corre il rischio che la stessa diventi obsoleta al primo ulteriore sviluppo della tecnologia che si intende normare; oltre al possibile concreto rischio di sovraffollamento normativo e conseguente conflitto”.

“A guidare il legislatore, sia nazionale che europeo, nella necessaria attività di aggiornamento normativo, dovrebbe quindi essere il principio di neutralità tecnologica che consente di intervenire sempre in ottica di macrocategorie e principi generali, mentre spetterà agli interpreti del diritto, avvocati, magistrati, amministrazioni pubbliche, che devono avere specifiche conoscenze tecniche, capire come applicare i principi generali e le leggi di settore alla specifica tecnologia”.

“Ruolo di particolare rilievo nel rapporto tra innovazione tecnologica e diritto, nell’ottica di scongiurare vuoti normativi, rendere l’utilizzo della tecnologia sicuro tutelando diritti ed interessi di singoli e della collettività, lo svolgono quindi gli interpreti, mentre al legislatore spetta l’onere di assolvere al proprio ruolo con lungimiranza”.

Fare previsioni è difficile, ma quali sono secondo lei i concetti più “instabili” da un punto di vista normativo? Penso ad esempio alla sharing economy, o alle criptovalute.

Come dicevo, ogni volta che il legislatore si è spinto nel merito delle questioni ha elaborato norme almeno potenzialmente “instabili”. Si pensi al Regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, il noto GDPR, che è stato adottato nel 2016 su una proposta elaborata nel 2012 e che risente di tale relativa vetustà recando regole non sempre “neutrali” che, ad oggi, sembrano non adattarsi perfettamente ai nuovi scenari legati, ad esempio, alla tecnologia big data o al deep learning. Meglio, alcuni dettagli tecnici attualmente presenti in complessi normativi nazionali ed europei, se interpretati alla lettera rischiano di bloccare lo sviluppo dell’innovazione tecnologica all’interno dell’ambito territoriale di riferimento, con il rischio che tali sviluppi siano comunque realizzati in contesti meno o non regolati e che poi tali prodotti vengano in qualche modo subiti dai cittadini europei, senza adeguate tutele.

Si può parlare, a mio avviso, di norme “instabili” ogni qual volta ci troviamo di fronte a norme frutto di politiche che non hanno inteso valorizzare il principio di neutralità tecnologica, condizione aggravata ogni qual volta gli interpreti propongano una interpretazione letterale e non sistematica del complesso di riferimento.

L’instabilità o, meglio, l’inadeguatezza di una norma a disciplinare il fenomeno che ne ha suggerito l’adozione, dovrebbe essere un parametro di valutazione dell’operato del legislatore che interviene sempre più spesso in modo approssimativo e frettoloso.

Ciò per quanto l’attuale scenario sociologico e tecnologico, caratterizzato da mutamenti molto veloci, che si realizzano in tempi molto più stretti di quanto non avvenisse fino allo scorso decennio, imponga di ripensare il concetto stesso di “stabilità” di una disposizione normativa.

Ad ogni modo un ruolo essenziale nella stabilità del sistema lo svolgono, come detto, gli interpreti del diritto i quali, a tal fine, devono possedere non solo le nozioni giuridiche che gli competono, ma devono altresì essere in grado di comprendere come le tecnologie impattano sui diritti e, quindi, come le tecnologie operano.

È, per questo, sempre più importante che i nuovi giuristi abbiano una formazione completa giuridica e tecnica, perché come ricordava il prof. Borruso, padre dell’informatica giuridica e giudice della Corte di Cassazione, la comprensione del diritto non può prescindere dalla conoscenza del fenomeno che la norma vuole regolamentare. Bisogna, a mio avviso, sfuggire dall’idea che siccome utilizziamo tante tecnologie, allora siamo in grado di comprenderne le implicazioni tecniche.

Volendo richiamare una immagine del cinema, mi viene in mente la scena in cui Troisi e Benigni, nel film Non ci resta che piangere, provano a spiegare a Leonardo da Vinci come si inventa la lampadina o il treno. Ecco, come può un giurista dare significato a espressioni quali criptovalute, big data, intelligenza artificiale se non è in grado di comprenderne le tecnologie sottostanti?

La ricerca di una visione d’insieme della normativa e della tecnica attuali, alla luce dei principi generali, è alla base del manuale di Diritto dell’informatica e della comunicazione, la cui terza e ultima edizione è alle stampe dell’editore Giappichelli, a dieci anni dalla prima edizione.

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