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GDPR e giornalismo. Belisario: l’informazione alla prova delle nuove norme europee (e della deontologia)
Il GDPR (ovvero General Data Protection Regulation), la nuova normativa europea sulla protezione dei dati, avrà un impatto notevole anche sul lavoro di giornalisti, blogger, uffici stampa e nella comunicazione in generale. Lo abbiamo chiesto ad Ernesto Belisario, avvocato, docente in numerosi corsi e master sui temi dei profili giuridici dell’innovazione e della digitalizzazione, blogger e collaboratore di testate giornalistiche tra le quali “Diritto 2.0” “Wired.it”, “Agendadigitale.eu” e “IlFattoQuotidiano.it“.
Cominciamo dall’inizio. Avvocato Belisario, cosa succede il prossimo 25 maggio?
Ormai è un tema di attualità, tra poco più di un mese diventerà pienamente applicabile il Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali.
Si tratta di una novità importante non solo per gli addetti ai lavori: un unico testo normativo per tutti i Paesi dell’Unione che supererà la legislazione fin qui vigente in materia di protezione dei dati personali, con principi innovativi e sanzioni assai importanti in caso di inosservanza.
Anche se ci sono stati due anni per prendere le misure con questa importante novità, la sensazione è che questo ultimo mese sarà decisivo per molti.
Quali sono i principi del Regolamento?
Può sembrare banale, ma è opportuno ribadire l’importanza di uscire dalla “logica dell’adempimento” per comprendere la ratio delle nuove norme. In particolare, il principio, che sta alla base del GDPR è quello dell’accountability (che in italiano è stato tradotto con “responsabilizzazione”).
Accountability significa unire il piano meramente giuridico alla dimensione organizzativa ed etica di un trattamento. Questo significa, innanzitutto, assicurare la trasparenza (intesa come diritto dell’interessato ad accedere alle informazioni dei trattamenti che lo riguardano), ma si ricollega anche alla capacità di rendere conto – e rispondere – delle scelte effettuate per proteggere i dati trattati, delle misure di sicurezza adottate, ecc.
Certo, sarà importante curare anche gli adempimenti (nominare un DPO, rivedere le informative, compilare un registro dei trattamenti), ma senza comprendere le ragioni della nuova normativa sarà difficile uscire da una logica di tipo formalistico.
Cosa prevede il Regolamento con riferimento all’attività giornalistica?
L’art. 85 del GDPR si occupa espressamente “trattamento e libertà d’espressione e di informazione” e dà particolare risalto al classico tema del contemperamento tra il diritto alla libera espressione del pensiero e il diritto alla protezione dei dati personali.
In questo contesto, appare chiara la consapevolezza del legislatore europeo in merito all’importanza che riveste il trattamento effettuato a scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria in relazione alla protezione dei dati personali.
Risulta pertanto evidente l’intento di farsi carico delle istanze consolidate nella legislazione e nella giurisprudenza degli Stati membri, da sempre sensibili alla necessità di riconoscere un adeguato margine espressivo alle diverse forme di manifestazione del pensiero.
Il nuovo Regolamento prevede, quindi, la possibilità per gli Stati membri di introdurre deroghe alle regole poste a presidio della protezione dei dati al fine di poterla bilanciare con le esigenze connesse alla libertà di espressione e di informazione.
E il legislatore italiano come si è mosso?
Il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare un decreto che adeguasse il nostro ordinamento alle previsioni del GDPR.
Il decreto legislativo non è stato ancora adottato in via definitiva, ma stando alle bozze che sono circolate nelle scorse settimane, sarebbero riaffermati alcuni principi importanti.
Innanzitutto, potranno essere sempre trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico.
Con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, invece, è disposto che – per l’esercizio del diritto di cronaca – possano essere trattati anche senza il consenso dell’interessato, purché nel rispetto delle regole deontologiche approvate dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti.
Come dovranno adeguarsi giornalisti, blogger e redazioni? E a quali sanzioni andranno incontro?
In aggiunta al rispetto delle norme deontologiche, cosa a cui i giornalisti dovrebbero essere abituati, bisognerà sempre assicurare che gli interessati possano esercitare i diritti riconosciuti dal Regolamento.
Come, ad esempio, il diritto di accesso ai dati personali (ad esempio alla conferma dell’esistenza delle registrazioni di un’intervista e di ottenere copia della stessa). Tale diritto, evidentemente, continuerà ad incontrare il limite della fonte della notizia, sulla quale permane il segreto professionale.
In merito al quadro sanzionatorio, oltre ai provvedimenti deontologici, il GDPR prevede sanzioni amministrative assai rilevanti (fino a 20 milioni di euro) e la responsabilità per i danni cagionati agli interessati.
Gli articoli, 17, 18, 19 del GDPR sono stati oggetto di un ampio, complesso dibattito. Diritto di cronaca e diritto all’oblio, come si svilupperà il rapporto e quali sono le vere novità?
Dopo essere stato riconosciuto in sede giurisprudenziale, il diritto all’oblio (o diritto alla cancellazione) viene espressamente previsto dall’art. 17 del GDPR. È però espressamente disposto che tale diritto non trovi applicazione nel caso in cui il trattamento sia necessario per l’esercizio della libertà di espressione e di manifestazione.
In proposito, va ricordato che uno dei presupposti perché un fatto possa diventare legittimamente oggetto di cronaca è l’interesse pubblico alla notizia. La collettività deve essere informata con tempestività (ad esempio, se vengono scoperti fenomeni di corruzione che riguardano l’amministrazione comunale). L’opinione pubblica ha interesse a conoscere i soggetti coinvolti, i dettagli dell’operazione e gli sviluppi processuali futuri.
Questo significa che l’interesse pubblico alle vicenda perdura nel tempo. Ma, una volta che dal fatto sia passato un cospicuo lasso di tempo e non vi siano ulteriori aggiornamenti, cessa l’interesse pubblico e, quindi, sussistono i presupposti per invocare il diritto all’oblio.
Quanto sia lungo questo lasso di tempo è tema assai dibattuto. Ad esempio, nel 2016 la Corte di Cassazione, con una pronuncia che ha destato molte critiche da parte dei commentatori, ha affermato che il diritto all’oblio possa essere esercitato a processo ancora in corso e dopo solo due anni dal verificarsi dei fatti, di fatto restringendo – potenzialmente molto – il diritto di cronaca.
È verosimile pensare che si tratta di un tema che continuerà ad occupare studiosi e magistrati anche nei prossimi anni.