La Commissione europea ha recentemente pubblicato i primi progetti ai quali è stato assegnato il…
Il Paper: “L’App economy in Europa tra innovazione e concorrenza”
di Martina Provenzano e Cecilia Sertoli
Abstract: Il contributo, occasionato dal Lunch Seminar dell’Accademia Italiana del Codice di Internet (Iaic): “L’App economy in Europa tra innovazione e concorrenza”, svoltosi lo scorso 5 luglio, cui hanno partecipato in qualità di relatori anche la Prof. Valeria Falce, l’On. Maria Laura Paxia (M5s) e l’On Mattia Mor(PD), uole essere una breve riflessione sull’economia delle applicazioni che in Europa sta facendo segnare una crescita esponenziale e costante. Numerose sono le difficoltà, sia sotto il profilo infrastrutturale sia regolatorio, che si incontrano sul mercato unico digitale, soprattutto con riguardo alle c.d. operazioni cross-border, e la Commissione Europea ha la responsabilità di tracciare il solco in cui si muoveranno le prossime linee direttrici delle politiche europee in questo settore.
La crescita esponenziale dell’uso di Internet e delle nuove tecnologie ad esso legate, da tempo ormai impone numerosi quesiti, sia di carattere giuridico che economico, in ordine al loro impatto innovativo e concorrenziale.
Infatti, se, da un lato, si registra la preoccupazione di quanti ritengono che questa curva di crescita sia pericolosamente ripida, dall’altro lato, invece, si raccolgono dati più che positivi considerando l’intersezione: uso di Internet – implementazione tecnologica – stimolo concorrenziale – crescita economica [1].
In questo scenario, il dispositivo personale mobile (personal and mobile device) assume una particolare rilevanza quale veicolo degli effetti positivi dell’intersezione dei fattori sopracitati. In effetti, nonostante la loro inferiore capacità di elaborazione, processamento e memorizzazione, i dati evidenziano che smartphones, tablets, smartwatches, e simili, sono preferiti dai consumatori-utenti per la loro utilizzabilità, potendo seguire la mobilità dell’utente e, in questo senso, rappresentano il modo migliore, più veloce e più economico attraverso il quale sperimentare nuove tecnologie e contenuti, sfidandosi in un mercato concorrenziale.
Invero, la sfida concorrenziale si sposta dal campo dell’elaborazione tecnologica del dispositivo mobile in sé e per sé, a quello dei programmi che, in fase di esecuzione, rendono fruibili una o più funzionalità, servizi e strumenti su richiesta dell’utente: sono le applicazioni, infatti, che combinando le risorse software e hardware del dispositivo mobile consentono all’utente finale di poter ottenere dallo stesso la prestazione desiderata.
A valle di queste premesse, dunque, appare evidente la necessità di restringere il campo di analisi ad un settore specifico e di maggiore interesse per gli attori oggetto della nostra indagine, ossia il settore delle applicazioni e di ogni metodo di analisi dati che automatizza gli interventi dei dispositivi mobili riducendo al minimo l’azione dell’utente.
Sono trascorsi esattamente dieci anni da quando sono state lanciate piattaforme come Apple App Store e Google Play che hanno radicalmente trasformato la vita quotidiana di ogni individuo che possiede un dispositivo mobile.
Ogni personal device ha installate mediamente tra le novanta e le cento applicazioni e queste vengono usate quasi due ore al giorno, ogni giorno.
Non v’è da stupirsi, dunque, se anche l’economia delle applicazioni ha fatto registrare un’impennata nell’ultimo decennio: da sole cinque mila applicazioni immesse nel mercato nel 2008 a più di due milioni registrate nel primo trimestre del 2018.
Tradotto economicamente, questo rapido incremento può essere letto in 143 miliardi di dollari, a fronte di “soli” 1.2 miliardi nel 2008: un’ascesa irrefrenabile, stimata in 1.3 mila miliardi di dollari per i prossimi anni, in cui sia il numero delle nuove applicazioni immesse nel mercato sia il numero dei nuovi fruitori aumenteranno proporzionalmente [2].
Come appare facilmente intuibile, la grandezza di questi numeri non ha potuto lasciare inalterati i modelli economici applicabili le cui variazioni sono state immediatamente notate in Europa dove, come noto, le Istituzioni europee esercitano una forte vigilanza a salvaguardia del mercato unico europeo.
In un famoso rapporto del 2016 dal titolo evocativo: “How to catch a Unicorn”, la Commissione europea faceva notare come il classico modello economico in cui sono le aziende che, immettendo il prodotto sul mercato, ne controllano le transazioni attraverso le strategie di marketing (push model), nel settore delle applicazioni fosse stato trasformato in un modello economico in cui, invece, è il consumatore-utente che alimenta le transazioni producendo la materia prima occorrente: i dati (pull model).
Queste nuove dinamiche economiche che si sono immediatamente registrate hanno finito per influenzare anche le dinamiche concorrenziali: a fronte di un sostanziale duopolio formato da Apple iOS e Google Android, residua solamente l’1% di mercato in cui piccoli produttori e start-up possono sviluppare applicazioni da immettere sul mercato dopo aver superato le alte barriere poste al suo ingresso.
Tuttavia, mentre il sistema Apple iOS, essendo un sistema chiuso, non consente l’interazione tra i propri dispositivi mobili e applicazioni prodotte esternamente, il sistema Google Android, essendo un sistema open source, è in grado di assicurare questa interoperabilità, a beneficio non solo dei piccoli sviluppatori e start-up ma anche a beneficio degli stessi consumatori-utenti che, in questo modo, possono trovare quasi il triplo di nuove applicazioni disponibili ogni anno (150mila a fronte delle 50mila di iOS).
Purtroppo, sebbene comparativamente più convenienti per i consumatori-utenti, i sistemi open source hanno un costo notevole per le piattaforme che immettono le applicazioni sul mercato e, dall’altro lato, i loro guadagni non sono così alti come quelle piattaforme che operano in sistemi chiusi. Secondo il Rapporto del Servizio Studi del Parlamento Europeo, la motivazione di questo fenomeno risiederebbe nel fatto che le applicazioni immesse sul mercato da piattaforme che operano con un sistema open source (es. Google Play) vengono fruite da utenti-consumatori con scarso accesso al credito e sono altresì svantaggiate da un sistema di marketing che tende a favorire solamente le applicazioni più popolari.
Queste considerazioni valgono in particolar modo per l’Europa, dove ben sei Paesi, tra cui l’Italia, compaiono nella lista dei venti Paesi che contano il numero maggiore di sviluppatori di applicazioni al mondo [3] e profitti pari a 6 miliardi di euro, dalla vendita delle sole applicazioni. L’economia delle applicazioni, dunque, sembra porsi anche a beneficio dei termini occupazionali, nel momento in cui “il mercato del lavoro è tutto proiettato verso le professioni ICT e il Paese si sta preparando all’avvento del 5G” [4].
Ciononostante, l’economia delle applicazioni in Europa continua a connotarsi di talune criticità di carattere regolatorio relativamente alle operazioni transeuropee (cioè tra i Paesi europei e i Paesi terzi). Le sostanziali differenze tra la disciplina dell’accesso e dell’uso dei dati in Europa e nei Paesi extraeuropei (generalmente meno restrittivo), ad esempio, viene valutato come un elemento di forte negatività. Nonostante gli sforzi profusi per l’instaurazione di un unico mercato digitale europeo disciplinato in modo da favorire (o almeno non escludere) i Paesi extraeuropei, diversi studi dimostrano come la disomogeneità di regolamentazione persista, a detrimento di quelle attività cd. cross-border che, invece, gioverebbero al mercato dell’Unione Europea e ai suoi Paesi membri. Per queste ragioni l’Europa tutta dovrebbe farsi carico di sostenere l’economia delle applicazioni per rendere competitivo questo settore di mercato rispetto a quello statunitense [5]. Accanto poi a questo divario di carattere squisitamente regolamentare, si aggiunge anche quello di natura infrastrutturale, dovuta alla scarsità degli investimenti operati in piani strategici nel settore ICT [6].
A tutti gli effetti ancora oggi l’economia delle applicazioni in Europa manifesta d’essere un campo di piena esplorazione, e in cui le decisioni della Commissione Europea sono in grado di segnare il solco entro il quale muoveranno le prossime linee direttrici delle strategie europee. Basti pensare, a solo scopo esemplificativo, alla sanzione per abuso di posizione dominante comminata a Microsoft sul versante del sistema operativo installabile dagli assemblatori di PC e che, dopo quasi quindici anni, minaccia di riproporsi in danno di Google proprio in tema di applicazioni fruibili su dispositivi mobili che usano il sistema Android.
Invero, l’imminente decisione della Commissione Europea, attesa per la fine del mese di luglio, rischia di essere una cattiva riedizione del caso Microsoft poiché, non solo sono diversi i presupposti, ma sono altresì ravvisabili alcuni elementi di distinzione non irrilevanti. Il comportamento abusivo posto sotto la lette di ingrandimento della Commissione, invero, ha ad oggetto non tanto il funzionamento del sistema open source Android in sé quanto, piuttosto, la tipologia degli accordi alla base della collaborazione e della installazione del pacchetto di Google Play [7].
La replica di Google, tuttavia, è ferma: a differenza di altri, il sistema Android consente a chiunque intenda sviluppare applicazioni alternative a quelle rese fruibili da Google al momento dell’installazione del pacchetto sullo smartphone, è in grado di farlo. Proprio per queste ragioni, come si è detto, il consumatore risulta avvantaggiato nella scelta del sistema Android, potendo optare per l’installazione di applicazioni alternative e fornite da terzi che, in regime di piena e libera concorrenza, immettono sul mercato il loro prodotto. Al centro rimane quindi il benessere del consumatore che può scegliere se e quali applicazioni tenere del pacchetto Android preinstallato sullo smart phone, aggiungerne delle altre o non tenerne alcuna.
Queste considerazioni sono suffragate dai dati che sono stati in questa sede ampiamente oggetto di disamina e che, essendo stati elaborati dal centro studi dell’Istituzione europea, è auspicabile che vengano tenuti in considerazione quanto meno per ragioni sistematiche.
Note:
[1] Cfr. Mary Meeker 2018 – Internet trends report, p. 32.
[2] Secondo il Rapporto del Servizio Studi del Parlamento Europeo “European App Economy”, solamente nel 2016, più dell’80% delle persona d’età compresa tra i 16 e i 74 anni ha usato almeno una volta Internet e ben il 79% di loro l’ha fatto attraverso un dispositivo mobile. Già nel 2015, circa il 90% degli abitanti europei possedeva uno smartphone e il 60% un tablet. Secondo questi dati un’ulteriore e costante crescita è attesa entro il 2023 e vede come protagonista il sistema operativo Android.
[3] In ordine di grandezza, i sei Paesi europei sono: Regno Unito, Germania, Spagna, Italia e Finlandia. I maggiori cluster sono situati a Londra, Parigi, Madrid, Berlino, Helsinki e Barcellona.
[4] Questa l’affermazione dell’On. Maria Laura Paxia, Componente della X Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo, Gruppo parlamentare M5S – XVIII Legislatura, nel corso del Lunch Seminar “App economy in Europa tra innovazione e concorrenza” tenutosi presso l’Accademia Italiana del Codice di Internet il 5 luglio 2018.
[5] Questa l’argomentazione dell’On. Mattia Mor, Componente della X Commissione Attività produttive, Commercio e Turismo, Gruppo parlamentare PD – XVIII Legislatura, nel corso del Lunch Seminar “App economy in Europa tra innovazione e concorrenza” tenutosi presso l’Accademia Italiana del Codice di Internet il 5 luglio 2018.
[6] European App Economy, EPRS – http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2018/621894/EPRS_BRI(2018)621894_EN.pdf, p. 7.
[7] cfr. “App, Antitrust UE fuori mercato” di Valeria Falce. Sole 24 Ore. 19 giugno 2018.