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Immagini non autorizzate dei beni culturali, stop agli usi commerciali

di Maria Letizia Bixio Con un’interpretazione pedissequa ed inequivocabile del dettato normativo riportata in un’ordinanza del dello scorso 23 novembre dal Tribunale di Firenze, sembrerebbe definitivamente fugato ogni dubbio sull’illiceità della riproduzione non autorizzata delle immagini che ritraggono beni culturali per finalità commerciali.

Ad oggetto della controversia vi è stata la contestazione da parte dell’Avvocatura dello Stato della condotta di una società di promozione turistica che, sfruttando indebitamente l’immagine del David di Michelangelo sui propri materiali informativi e promozionali, vendeva fuori dalla Galleria dell’Accademia di Firenze pacchetti turistici e biglietti museali a prezzi maggiorati.

Da quanto trapelato da fonti giornalistiche, non essendo ancora pubblicato il testo dell’ordinanza, il Tribunale avrebbe accolto la domanda dell’Avvocatura dello Stato avverso la suddetta società, vietando ogni sfruttamento dell’immagine del David a fini commerciali senza la previa autorizzazione della Galleria dell’Accademia, e senza il pagamento dei relativi diritti.

Inoltre, sarebbe stato ordinato il ritiro dei materiali diffusi e prodotti dalla società, contenenti la riproduzione del David di Michelangelo, nonché l’oscuramento dell’immagine della celebre scultura dal sito e la previsione di una penale di 2.000 euro per ogni giorno di mancato rispetto di dette disposizioni.

A ben vedere, dalle conclusioni del Tribunale si evince una lineare applicazione  delle norme previste dal Codice dei beni culturali, dove, all’autorità che ha in consegna un bene culturale si riserva la facoltà di consentirne la riproduzione previa richiesta di concessione e pagamento del canone stabilito dall’autorità stessa.

Il Codice, infatti, all’art. 107 delega ai singoli enti la cura dei beni che si trovano nella loro disponibilità prevedendo che “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’autore”, ed inoltre, all’art. 108, stabilisce le modalità di determinazione dei canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali,  lasciando libere le autorità che hanno in consegna i beni di operare una valutazione tra diversi fattori, tra cui per tutti, i benefici economici che derivano dall’uso al richiedente.

Quanto alle riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, il Codice non prevede canoni, purché siano attuate senza scopo di lucro e al netto del rimborso dei costi eventualmente sostenuti dall’amministrazione.

Il tema spesso evocato della libertà di panorama, trova quindi nell’ordinamento diverse limitazioni; ove si vogliano sfruttare economicamente le immagini di opere architettoniche o d’arte ed in generale quelle dei beni culturali, non si potrà non tenere a mente i vincoli legati alle finalità previsti dalla normativa interna e confermati dalla giurisprudenza.

Ad esempio, con riguardo agli edifici ed ai monumenti liberamente fruibili nello spazio pubblico, a prescindere che essi siano o meno considerati beni culturali, un primo limite è da rinvenirsi nella legge 633/1941, e nell’articolo 2575 del Codice Civile, che accordano alle opere delle arti figurative e dell’architettura una tutela della durata di tutta la vita dell’autore e di settanta anni dopo la sua morte.

Pertanto, la riproduzione di fotografie di edifici e monumenti in luoghi pubblici, e la divulgazione di dette immagini, sarà consentita senza restrizioni solo per scopo di critica o discussione; viceversa, qualora se ne voglia fare un uso commerciale, è necessaria la previa richiesta dell’autorizzazione al titolare dei diritti di esclusiva, sia esso l’artista o l’architetto.

Ove invece l’opera fosse già in pubblico dominio, e considerata bene culturale, alla luce di quanto previsto dalle citate disposizioni di cui agli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali, saranno le amministrazioni che hanno in consegna il bene a definire i canoni per le riproduzioni aventi finalità commerciali.

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