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Tutte le incognite sulla web tax per Google, Amazon e Facebook

(Via Startmag)

Il G20 preme l’acceleratore della web tax. Ma non si tratta solo di una riforma indirizzata a società come Google, Amazon e Facebook; a essere nel mirino sono tutte le multinazionali che trasferiscono i propri profitti nei paradisi fiscali.

In un comunicato approvato domenica scorsa, a Fukuoka, in Giappone, i ministri dell’economia dei paesi più industrializzati (tra cui anche quello italiano) hanno dato l’avvio per la scrittura delle nuove regole del fisco internazionale che saranno applicate a tutte le società. Non solo le aziende digitali dovranno pagare le imposte dovute a prescindere dalla loro presenza fisica, ma anche tutte le altre multinazionali saranno soggette ad una aliquota fiscale minima a livello globale, ostacolando così il trasferimento dei profitti in paesi a fiscalità privilegiata, azzerando quanto dovuto al fisco. I ministri delle finanze delle più grandi economie del mondo hanno così dichiarato di volere nuove regole «entro il 2020» sostenendo il progetto di riforma dell’Ocse.

La proposta dell’organizzazione parigina si concentra su due pilastri. Il primo vuole assegnare i diritti per tassare i redditi societari agli stati in cui i beni o servizi sono venduti, anche senza presenza fisica nel paese. Come ad esempio, oggi, attraverso l’applicazione delle regole attuali, le grandi società di Internet incanalano i propri profitti dell’Unione europea in paesi come Irlanda e Lussemburgo che prevedono regimi fiscali di favore per le multinazionali e non in ogni singolo paese dove generano il fatturato. Tuttavia, attraverso la nuova riforma, come stabilito nel secondo pilastro, se le società fossero ancora in grado di trovare un modo per dirottare i propri profitti in paradisi fiscali che permettono di ridurre il carico tributario all’osso, i paesi in cui vengono generati i redditi potrebbero applicare un’aliquota minima globale per garantire una tassazione equa.

Nonostante i ministri del G20 abbiano annunciato come la riforma sia «indispensabile» e non via sia più tempo d’attendere, ci siano ancora grandi differenze tecniche da risolvere. Gli Stati Uniti premono per far si che le nuove regole non differenzino tra società digitali e quelle dell’economia tradizionale. Tutto ciò all’interno di proposte che mirano proprio a trasformare i principi fondamentali della tassazione internazionale e portarli in un mondo in cui il valore economico deriva da flussi di dati e sempre meno dai beni fisici. Italia, Francia, Spagna e Regno Unito hanno introdotto misure per tassare a livello nazionale i redditi del digitale, tuttavia, all’aumento di queste iniziative il pericolo di una doppia imposizione diventerà sempre più alto.

«Gli Stati Uniti sono preoccupati per le iniziative unilaterali degli stati», ha affermato Steven Mnuchin, segretario al Tesoro statunitense. Ha riferito come le iniziative europee «hanno creato l’urgenza di affrontare questo problema». Il G20, guidato dall’Ocse, sta quindi esaminando i diversi metodi per distribuire e allocare i redditi generati dal digitale (primo pilastro). Attualmente sul tavolo sono presenti tre proposte.

Un’idea è di calcolare e dividere tra i paesi i profitti «non di routine» realizzati da una società del digitale, assegnando così questi profitti al paese di competenza. Un altro approccio consiste nell’utilizzare le regole esistenti per il calcolo della base imponibile, quindi calcolando il profitto dell’intero gruppo e assegnarlo al paese di competenza attraverso nuove regole. Una terza possibilità è specificare una «baseline profit» per calcolare le diverse quote di mercato attribuibili a ciascun paese.

Fonte: Startmag

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