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Intelligenza artificiale, sfide e opportunità per l’Italia e l’Europa
Investimenti e opportunità per l’economia e i servizi ai cittadini, ma anche sfide, come la necessaria attenzione agli aspetti etici e ai mutamenti nel mondo del lavoro derivanti dall’era digitale. Sono questi i due binari paralleli che hanno diretto questa mattina, presso la Camera dei Deputati la discussione degli intervenuti al convegno “Agenda digitale europea ed intelligenza artificiale – Quali opportunità per l’Italia”.
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IL CONVEGNO
Organizzato presso la sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio da Formiche e Cyber Affairs in collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione europea, il seminario, introdotto dal fondatore di Formiche, Paolo Messa, ha visto avvicendarsi Beatrice Covassi, capo rappresentanza in Italia della Commissione europea, Mirella Liuzzi (Movimento 5 Stelle), segretaria dell’Ufficio di presidenza della Camera, Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia già componente dell’Intergruppo innovazione, Rosa Villecco Calipari, vicepresidente commissione difesa Camera nella passata legislatura, Enrico Prati, dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr e autore del libro “Mente artificiale”, Marco Mayer, docente Luiss in conflict and peace building e direttore del master in intelligence e sicurezza alla Link campus University e, in collegamento dal Regno Unito, Luciano Floridi, professore di etica dell’informazione e direttore del prestigioso Oxford Internet Institute.
IL RUOLO DI BRUXELLES
I relatori, moderati dal direttore di Cyber Affairs, Michele Pierri, hanno discusso di quella che sarà una delle sfide più importanti dell’Unione europea: lo sviluppo, nella più grande economia della conoscenza, della sua frontiera più innovativa, l’intelligenza artificiale.
Cruciale in questo frangente, sarà il ruolo di Bruxelles. L’Europa, ha spiegato Beatrice Covassi, punta “da un lato a stimolare un dibattito su alcune questioni etiche e di responsabilità civile, ad esempio nei campi della robotica o dei dati che vengono utilizzati per sviluppare nuove tecnologie”. Dall’altro mira a “far sì che le tante eccellenze che già ci sono in Europa e in Italia trovino il modo di poter fare sistema”. Fondamentale, in questo quadro è il tentativo, anche grazie a un recente piano sull’IA, di innescare “un forte avvio degli investimenti, che rappresentano una parola chiave: serve una base sulla quale anche gli investitori privati possano moltiplicare i loro sforzi”.
Con Horizon2020″, ha proseguito Covassi, “per l’IA “abbiamo già investito 1,5 miliardi di euro”. Ne servirebbero però di più “per avere un effetto significativo”. Per questo, “la Commissione Ue ha proposto nelle nuove prospettive finanziarie di investire circa 10 miliardi di euro per il digitale, la robotica, i big data e, in particolare, per l’intelligenza artificiale”.
IL PESO DELLA (BUONA) RICERCA
All’Europa, è emerso durante il convegno, non mancano certo le eccellenze, quanto la capacità di metterle a sistema. Con una variabile in più: l’uscita del Regno Unito dall’Ue. “Nell’Unione europea – ha evidenziato il professor Luciano Floridi – abbiamo più ricercatori in intelligenza artificiale che in tutto il resto del mondo. Tuttavia l’Ue ha un problema che si chiama ‘Brexit’, perché la maggior parte della ricerca in questo settore è fatta in Gran Bretagna, o meglio in Inghilterra. Bisogna capire come tenere dentro l’Europa anche questo patrimonio”.
Per il direttore dell’Oxford Internet Institute l’Ue dovrebbe poi pensare a un centro d’eccellenza come il Cern, declinato all’IA. “Sarebbe un’ottima idea, da realizzare senza dimenticare che i soldi, da soli, non bastano. Qualcosa, infatti, è partito – un progetto franco-tedesco che per il momento non include l’Italia -, ma va gestito in modo appropriato e senza fretta, altrimenti rischia di rivelarsi una nuova cattedrale nel deserto”. Senza dimenticare “l’importante ruolo della formazione”.
Infine, ha sottolineato Floridi, va riposta più attenzione al sostegno dato alle grandi aziende, quelle che investono di più in ricerca e sviluppo. “Sarebbe il momento di pensare a specifiche forme di partnership pubblico-privato, anche in Italia, sul deep learning”.
LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE
A dover essere incentivato è anche lo sviluppo di competenze digitali, sempre più importanti in un mercato che muta velocemente. “La tecnologia”, ha evidenziato Mirella Liuzzi, “sta cambiando, in tutto il mondo, le nostre abitudini – pensiamo a tutti i servizi che si stanno sviluppando nel campo delle applicazioni per la domotica – e il mondo del lavoro. L’Italia è ancora indietro in alcuni aspetti, soprattutto per ciò che riguarda le competenze digitali, ancora poco sviluppate. Ciò significa che, probabilmente, non c’è un collegamento tra quanto è richiesto dal mercato e le competenze dei lavoratori”. Serve pertanto “un investimento economico, culturale e formativo” perché questi aspetti si incontrino.
Nel settore dell’intelligenza artificiale, ha rimarcato Liuzzi, “l’Europa deve guardare agli ingenti investimenti di Paesi come Stati Uniti e Cina. L’Italia può fare molto in questo campo, ma ha bisogno di un intervento forte” di Bruxelles. Servirebbero, ha aggiunto, “soprattutto strumenti per migliorare la conoscenza e l’accesso delle Piccole e Medie Imprese a queste tecnologie, che pongono delle problematiche ma che possono al tempo stesso migliorare la qualità dei prodotti e del lavoro”.
TRA ETICA E CAMBIAMENTO
Nella discussione sono emerse anche diverse questioni di natura etica e sociale. “A Bruxelles si è discusso di attribuire una “personalità elettronica” ai robot che prendono decisioni maniera autonoma o interagiscono con terze parti in modo indipendente”, ha rimarcato Rosa Villecco Calipari. “Una posizione”, ha aggiunto, “rispetto alla quale 156 scienziati hanno preso le distanze e avvisato circa i rischi”.
Antonio Palmieri ha invece sottolineato che “Anche nel campo dell’agenda digitale e dell’intelligenza artificiale è necessario non riprodurre quella divaricazione tra establishment e popolo che si vede anche nella politica e della quale questi giorni sono l’ultimo esempio.
Occorre a mio avviso che, in particolare le istituzioni europee, investano fondi per parlare a tutti i cittadini, per far comprendere i vantaggi e le opportunità che possono derivare da tecnologie che ormai non si possono più nemmeno definire nuove, ma anche per renderne le persone consapevoli dei rischi. Serve un’opera di formazione che non lasci indietro nessuno, proprio per fare in modo che non si verifichi quel divario tra classe dirigente e popolo che si è verificato nella nostra società, come in tutto il mondo”.
(Fonte Cyber Affairs)