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Fake news e futuro del giornalismo. Intervista a Ruben Razzante

“La velocità dell’innovazione tecnologica ha rimesso profondamente in discussione un enorme complesso di diritti e doveri di tutela, e chiama le autorità di regolazione a ogni livello a una continua rielaborazione di princìpi e interventi che riscrivono le coordinate della nostra società e dei nostri mercati, prima che i codici normativi e la giurisprudenza nazionale e sovranazionale”.

Lo scrive Carlo Bonomi (Assolombarda) nella prefazione al Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione di Ruben Razzante. Il volume, edito da Cedam/Wolters Kluwer e giunto all’ottava edizione, sarà presentato il 7 giugno a Milano.

Ruben Razzante è giornalista professionista e docente di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Diritto della comunicazione per le imprese e i media presso l’Università Cattolica di Milano e la Lumsa di Roma.

Professor Razzante, come contrastare il fenomeno delle fake news in Rete?
È possibile contrastare il fenomeno delle fake news con vari strumenti, complementari tra loro. Da una parte l’autoregolamentazione degli operatori del settore. Su questo versante l’Unione europea ha prodotto l’anno scorso un codice sottoscritto dai principali giganti del web, che si impegnano a rimuovere contenuti fake o offensivi su segnalazione degli utenti o anche autonomamente sulla base di un’attività di monitoraggio. Non è escluso che a livello europeo maturi la consapevolezza di produrre una normativa ad hoc sul tema, visto che il codice rappresenta comunque un esempio di “soft law”, non cogente e privo di un efficace apparato sanzionatorio.

Ci sono poi i rimedi tecnologici, gli algoritmi e i filtri che i gestori delle piattaforme web dovrebbero affinare sempre più per smascherare bufale marchiane. Infine occorre potenziare l’educazione digitale per far crescere la cultura di una Rete più inclusiva, solidale, costruttiva e al servizio degli utenti.

Le applicazioni di messaggistica privata, come WhatsApp, stanno diventando la piattaforma “preferita” attraverso cui diffondere informazioni false, e questo renderà ancora più complicate le operazioni di monitoraggio. Come agire, secondo lei?
Il rischio di una proliferazione di informazioni false veicolate attraverso WhatsApp è molto elevato. Proprio per questo bisognerà che i suoi gestori vengano richiamati ad un’applicazione più attenta e puntuale delle policy di privacy e sicurezza predisposte a tutela degli utenti. L’innovazione tecnologica va governata e bilanciata con la difesa dei diritti delle persone.

Quale presente e soprattutto quale futuro vede per il giornalismo e per l’industria giornalistica?
La filiera di produzione e distribuzione delle notizie va riequilibrata, perché in questo momento penalizza i produttori di contenuti. Le notizie confezionate professionalmente risultano svalutate in quanto diluite in un mare magnum di informazioni non vagliate e non verificate. I modelli di business tradizionali non funzionano più, l’integrazione tra carta e web non ha prodotto gli esiti sperati, se non in casi isolati.

Occorre ripensare l’editoria valorizzando l’autonomia e la qualità dell’informazione di qualità e responsabilizzando le piattaforme di distribuzione come Google, che dovrebbero contribuire anche economicamente alla gestione dei flussi informativi. Il giornalismo professionale potrà sopravvivere solo se coltiverà il rispetto dei principi deontologici, distinguendosi quindi dalla produzione dilettantistica e amatoriale di contenuti informativi.

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