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Facebook, uso dei dati degli utenti a fini commerciali. L’intervista a Giovanni Calabrò sul provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato

Di Eduardo Meligrana L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha di recente chiuso l’istruttoria, avviata nel mese di aprile 2018, nei confronti di Facebook Ireland Ltd. e della sua controllante Facebook Inc. per presunte violazioni del Codice del Consumo, irrogando alle società due sanzioni. Diritto Mercato Tecnologia ha chiesto al Direttore Generale DG Tutela del Consumatore Giovanni Calabrò, di illustrarci l’importante provvedimento. 
 
 

Dott. Calabrò, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato due sanzioni per complessivi 10 milioni di euro nei confronti di Facebook per violazioni del Codice del Consumo (artt. 21, 22, 24 e 25). Ci vuole illustrare le motivazioni del provvedimento?

Le due condotte sanzionate riguardano la raccolta, lo scambio con terzi e l’utilizzo dei dati degli utenti Facebook a fini commerciali.

In particolare, la prima condotta censurata ha ad oggetto l’ingannevolezza della schermata di registrazione al social network, nella quale manca un’adeguata e immediata informazione circa le finalità commerciali della raccolta dei dati dell’utente. Quest’ultimo ritiene, infatti, di accedere ad un servizio gratuito senza essere informato dell’utilizzo dei propri dati a fini commerciali, i quali costituiscono di fatto una controprestazione non pecuniaria del servizio ricevuto.

Quanto alla seconda condotta, l’Autorità ha ritenuto aggressive le modalità con cui Facebook procede allo scambio di dati dei propri utenti con siti web o app di terzi, inclusi i giochi. In particolare, Facebook preseleziona i dati da trasmettere, anche al di là di quanto funzionale alla fruizione dei siti web o app di terzi, prospettando inoltre, in caso di deselezione delle scelte preimpostate, rilevanti limitazioni di fruibilità dei servizi nonché la perdita di alcuni dati. In tal modo, gli utenti vengono condizionati indebitamente a mantenere la scelta sui dati da trasmettere già operata da Facebook.

Con questo provvedimento l’Autorità consolida il percorso, intrapreso con il precedente caso WhatsApp, volto a monitorare le condotte dei principali operatori del mondo digitale ed il loro impatto sul mercato e i consumatori.

L’Autorità si è mossa in anticipo rispetto ad altre istituzioni europee e internazionali, in un ambito, quello dell’economia digitale, in cui l’innovazione tecnologica cresce a livelli esponenziali, si diffondono strategie sempre più sofisticate per sfruttare i dati degli utenti che navigano su internet, si utilizzano modelli matematici sempre più complessi ed evoluti per gestire ingenti masse di informazioni, acquisendole e condividendole per accrescere il valore del proprio business.

L’Autorità ha ritenuto di intervenire nel sistema dell’economia dei dati per tutelare i consumatori, soprattutto quelli fruitori di servizi gratuiti, rispetto a un fenomeno che sempre più lede i diritti delle parti più deboli, a fronte di un quadro normativo ancora in evoluzione.

I consumatori possono dunque far valere la lesione dei propri dati personali in termini di valore commerciale, di danno economico?

Il patrimonio informativo costituito dai dati degli utenti di servizi digitali, utilizzato per la profilazione degli utenti medesimi a uso commerciale e per finalità di marketing, acquista, proprio in ragione di tale uso, un valore economico che infatti costituisce la controprestazione di servizi quali i social network che non prevedono corrispettivo monetario.

Tale qualificazione trova supporto nell’ormai consolidato orientamento della Commissione europea la quale riconosce appunto che i dati personali, le preferenze dei consumatori e altri contenuti generati dagli utenti hanno un valore economico de facto e sono oggetti di commercializzazione.

Sulla base di tale principio, associazioni di consumatori, nazionalie non, stanno agendo contro Facebook, tramite class action, per chiedere che i consumatori siano risarciti in ragione del nocumento, patrimoniale e morale, subito a seguito delle condotte sanzionate dall’Antitrust o similari.

L’Autorità rivolge grande attenzione al mondo dell’economia digitale, trasversale a molti settori merceologici, in alcuni casi enucleando nuovi principi applicativi e arricchendo la casistica rilevante. Quali in particolare gli orientamenti applicativi in materia di consumer rights?

Con riferimento ai procedimenti conclusi nei confronti dei media sociali WhatsApp e Facebook, l’Antitrust ha agito sulla base della direttiva pratiche sleali.

Le relative linee guida attuative fanno, infatti, rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva anche le piattaforme digitali che offrono servizi gratuitamente e stabiliscono che esse devono sempre rispettare le norme dell’UE in materia di diritto commerciale e dei consumatori nell’ambito delle proprie pratiche commerciali.

La sfera di azione dell’Autorità è, invece, attualmente limitata con riferimento all’enforcement nei confronti di tali operatori della direttiva “consumer rights”. Le relative linee guida ne escludono, infatti, espressamente l’applicabilità ai contratti per servizi forniti in assenza di un pagamento in denaro.

Si sta comunque discutendo a livello europeo per estendere l’ambito di applicazione della “consumer rights” al fine di includervi questi servizi.

Proprio la direttiva ha ampliato notevolmente le tutele per gli utenti dei servizi digitali a pagamento, prevedendo una serie di strumenti che vanno dalla massima informativa al diritto di recesso entro 14 giorni dalla conclusione del contratto al divieto di aggiungere ulteriori servizi a pagamento senza consenso espresso del consumatore.

Il grande sviluppo dell’economia digitale ha indotto l’Autorità a dare la massima applicazione a tali norme, nella consapevolezza che i benefici della rete possano essere massimizzati solamente se gli operatori si comportano con correttezza così stimolando la fiducia nel web degli utenti.

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