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La politica culturale europea per la digitalizzazione e la tutela delle opere d’arte. Intervista alla Prof.ssa Avv. Marta Cenini

La Prof. Avv. Marta Cenini è of counsel e Country Head of Knowledge presso DLA Piper studio legale tributario. Professore associato di Diritto civile presso l’Università dell’Insubria. Autrice di diverse monografie e articoli scientifici apparsi in riviste italiane e straniere. E’ responsabile scientifico di progetti di ricerca e cicli formativi in materia di successioni e di diritto dell’arte.

 

 La Prof. Avv. Marta Cenini

 

In un mondo sempre più globalizzato, come, a Suo avviso, sta evolvendo il rapporto tra beni culturali e nuove tecnologie? Potrebbe parlarci di quali iniziative l’Unione Europea sta sviluppando per la digitalizzazione delle opere d’arte e la loro relativa tutela?

La globalizzazione ha investito non solo il mercato dei capitali e l’economia ma anche altri ambiti, tra cui quello dei beni culturali e del mercato dell’arte. Questo fenomeno è in corso da diversi anni ma è stato ulteriormente accelerato dalla pandemia. Gli strumenti attraverso cui si è attuata la globalizzazione della cultura sono senza dubbio da una parte, la digitalizzazione delle immagini e dei materiali culturali e dall’altra parte l’utilizzo di piattaforme elettroniche e dei social network per la conservazione digitale, la condivisione e il commercio degli stessi. Ciò ha permesso l’accessibilità e la diffusione capillare di questi contenuti in tutto il globo, contribuendo a rendere dematerializzata la fruizione della cultura e della conoscenza.

L’Unione Europea è al passo con i tempi e nell’ambito della sua politica culturale è presente una specifica voce dedicata alla digitalizzazione e alla conservazione in rete del patrimonio culturale europeo. Già nel 2012 del resto, il Consiglio dell’Unione Europea concludeva nel senso che la digitalizzazione e l’accessibilità in rete dei materiali culturali e la loro conservazione digitale sono essenziali per consentire l’accesso universale alla cultura e alla conoscenza nell’era digitale e per promuovere la ricchezza e la diversità del patrimonio culturale europeo; i materiali culturali digitalizzati costituiscono inoltre una risorsa importante per il settore culturale e creativo europeo contribuendo alla crescita economica e alla realizzazione del mercato unico digitale. Uno dei progetti più meritevoli in questo ambito è senza dubbio la piattaforma digitale Europeana per il patrimonio culturale europeo: attraverso la partnership con migliaia di archivi, biblioteche e musei in tutta Europa, sono diventate fruibili più di 50 milioni di voci digitalizzate, tra cui libri, musica, opere d’arte.

 

Come la politica culturale europea, per la digitalizzazione e la conservazione in rete del patrimonio artistico, si sta muovendo nel difficile equilibrio di garantire un accesso universale e, al contempo, tutelare gli interessi e i diritti delle opere?

La recente Direttiva dell’Unione Europea 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, applicabile dal 6 giugno 2019 e recepita il 4 novembre con l’approvazione in via definitiva del decreto legislativo di attuazione da parte del Consiglio dei Ministri, cerca di rappresentare un punto di equilibrio tra queste opposte esigenze. La Direttiva come noto prevede delle cd. “eccezioni” al diritto d’autore per favorire in particolare la conservazione del patrimonio culturale (articolo 6): è così prevista la possibilità per gli istituti di tutela del patrimonio culturale di realizzare copie di qualunque opera o altri materiali presenti permanentemente nelle loro raccolte, in qualsiasi formato o su qualsiasi supporto, ai fini di conservazione di detta opera o altri materiali e nella misura necessaria a tale conservazione.  Per “istituti di tutela del patrimonio culturale” si intendono le biblioteche accessibili al pubblico, i musei, gli archivi, gli istituti per la tutela del patrimonio cinematografico o sonoro nonché, per quanto riguarda i loro archivi e le loro biblioteche accessibili al pubblico, gli istituti di istruzione, gli organismi di ricerca e gli organismi di radiodiffusione pubblici.

La direttiva inoltre facilita la concessione di licenze non esclusive a fini non commerciali per la riproduzione, la distribuzione, la comunicazione al pubblico o la messa a disposizione del pubblico di opere o altri materiali fuori commercio presenti in modo permanente nella raccolta di detti istituti. Infine, si chiarisce che chiunque può utilizzare e condividere senza limitazioni copie di opere d’arte di dominio pubblico a determinate condizioni.

 

Nella Sua pubblicazione, “Inalienabilità del bene culturale tra valori estetici e identità collettiva, descrive il fenomeno del deaccessioning. Potrebbe approfondire con noi spiegandoci in cosa consiste esattamente questo fenomeno, quali le sue origini e sviluppi nell’era attuale? E come, a Suo avviso, il patrimonio culturale può costituire un mezzo per costruire una identità nazionale? 

Per deaccessioning si intende quel fenomeno, molto diffuso negli Stati Uniti, per cui i musei e le istituzioni culturali cedono e vendono le opere appartenenti alle proprie collezioni. Questo è possibile in quanto nei sistemi di common law non esiste un concetto analogo a quello di demanio pubblico ma gran parte delle collezioni sono detenute in trust fund e in particolare nelle Charities, con la conseguenza che l’alienazione e la cessione può avvenire a patto che il ricavato della vendita sia destinato all’acquisizione di nuove opere per la collezione. Questo vincolo tuttavia non ha impedito abusi ed eccessi che hanno sollevato un ampio dibattito pubblico tanto che alcune istituzioni internazionali, tra cui l’ICOM, hanno elaborato dei codici etici al fine di regolare questo fenomeno; si è per esempio stabilito, pur a livello di autodisciplina, che le cessioni non debbano avvenire al fine di ripianare delle perdite di bilancio o per coprire i costi di gestione ma solo per finalità legate alla missione dell’istituzione culturale. Proprio la pandemia tuttavia ha risollevato il problema e per esempio la Association of Art Museum Directors ha dichiarato che per due anni non emanerà sanzioni nei confronti di musei che useranno i proventi delle cessioni per coprire le spese legate al funzionamento dei musei stessi.

Dall’altra parte dell’oceano, in Francia ed in Italia, è invece prevista la inalienabilità del bene culturale pubblico e il bene culturale privato, se vincolato ex art. 13 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha un regime di circolazione limitato. Questa regola si è consolidata durante la rivoluzione francese anche grazie ai celebri discorsi dell’Abbè Grégoire, presbitero e politico francese al tempo del Terrore. Questi scritti per la prima volta propugnano l’idea che il patrimonio culturale appartiene alla nazione come collettività e che la sua tutela sia un interesse “nazionale”; Grégoire inoltre in più passaggi sottolinea come attraverso i beni culturali sia possibile tramandare lo “spirito nazionale” di generazione in generazione. Il collegamento tra patrimonio culturale e identità nazionale si è quindi saldato in questa epoca, sebbene, anche per certi versi paradossalmente, nell’ambito del patrimonio culturale “nazionale” fossero ricompresi beni che non avevano nulla a che vedere con la nazione francese (si pensi ad esempio all’arte classica).

 

 

Nel contesto del PNRR (della missione nel settore culturale), della nuova agenda europea della cultura del 2018 e del piano di lavoro per la cultura del 2019-2022. A Suo avviso, come l’Italia sta affrontando le sei priorità fissate, tra le quali ad esempio l’uguaglianza di genere nello sviluppo e tutela della produzione artistica? 

Il PNRR mette a disposizione di Turismo e Cultura 6,68 miliardi di euro distribuiti su vari ambiti di intervento, tra cui la già menzionata strategia digitale, la rigenerazione dei cd. borghi e il sostegno alle industrie culturali/creative e a quelle turistiche. Ci sono poi le priorità trasversali che riguardano tutte le Missioni del piano e tra queste c’è l’introduzione di interventi per attuare e garantire le pari opportunità: per esempio, per accedere ai fondi del PNRR, sarà necessario presentare progetti che comprendano l’assunzione di giovani e donne e sono previsti specifici investimenti per incentivare l’imprenditoria femminile. Anche il piano di lavoro per la cultura 2019-2022 e la recentissima relazione della Commissione europea sulla parità di genere nei settori culturali e creativi del 7 giugno u.s. insistono sulla necessità di superare i divari di genere e forniscono “buone pratiche” per migliorare le condizioni di lavoro delle donne in questi settori.

D’altra parte, il PNRR considera la cultura anche come impresa e prevede diversi investimenti per sostenere la creazione di nuovi contenuti culturali e lo sviluppo di servizi digitali ad alto valore aggiunto da parte di imprese culturali e creative e start-up innovative. Questo è in linea con i programmi europei ed in particolare con Europa Creativa il quale ha, tra i suoi obiettivi, quello di sostenere la creazione di opere europee e aiutare i settori culturali e creativi a cogliere le opportunità dell’era digitale e della globalizzazione. Nell’ambito del PNRR dunque il focus è più sull’innovazione e sull’incentivazione alla creazione di nuovi contenuti culturali e creativi, anche a livello imprenditoriale, più che sulla tutela degli stessi; per questo aspetto, come accennato, la regolamentazione va cercata nella direttiva copyright e nelle leggi nazionali a tutela del diritto d’autore. Non sembrano essere invece adeguatamente considerate, anche al fine di sensibilizzare i cittadini sul patrimonio culturale, le sinergie tra cultura ed educazione come invece avviene nella Nuova Agenda Europea per la Cultura.

 

 

 

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