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La tassazione dell’economia digitale tra sviluppi recenti e scenari futuri. L’intervista al Prof. Alessandro De Stefano

Prof. De Stefano, nei giorni scorsi si è svolto un importante convegno promosso dall’Università Europea su “La tassazione dell’economia digitale tra sviluppi recenti e prospettive future”. Quale il quadro che ne è emerso?

Il convegno ha fornito un quadro particolarmente interessante ed estremamente variegato dei grandi cambiamenti che si stanno verificando nel mercato globalizzato e nell’economia digitale, nonché dei riflessi che questi mutamenti producono sull’ordinamento giuridico e, in particolar modo, sul sistema fiscale degli Stati. Si tratta di nuovi sistemi produttivi, di nuovi modelli di business, di nuove tecnologie, di nuovi beni e servizi, che alterano profondamente gli schemi tradizionali ed impongono un profondo ripensamento degli istituti giuridici che hanno governato nell’ultimo secolo le relazioni economiche internazionali.

Si pensi ai nuovi sistemi di commercio sulla rete (compravendite via “internet”), o alle nuove forme di pubblicità “on line”, o – ancor più – al valore anche economico dei dati acquisiti sulle piattaforme telematiche ed alla fornitura di beni e servizi informatici totalmente smaterializzati forniti a distanza o via “cloud”. La creazione di nuove forme di produzione e di circolazione della ricchezza cresce a ritmo incalzante, come dimostra – ad esempio – la crescente diffusione della moneta virtuale (di cui “bitcoin” rappresenta l’esempio più significativo, ma non unico).

L’ordinamento giuridico non riesce ad identificare ed a disciplinare questi fenomeni con la stessa rapidità con cui essi si diffondono, in guisa che si verificano situazioni di vuoto o incertezza normativa e di incapacità degli Stati di governare efficacemente le nuove realtà economiche. Ciò vale in particolare per il settore tributario, in considerazione della capacità dei grandi gruppi sovranazionali di sottrarsi ai sistemi di tassazione vigente mediante una abile azione di pianificazione operata su scala mondiale e favorita dall’impiego delle nuove tecnologie.

Le risposte a questi problemi sono ancora incerte e confuse, sia per la mancanza di conoscenza dei fenomeni più innovativi, sia per la mancanza di un’adeguata cooperazione tra gli Stati. In ambito fiscale, c’è chi ritiene necessario un sistema di tassazione radicalmente nuovo e chi propende per l’adattamento dei sistemi tradizionali; chi ritiene di dover privilegiare l’imposizione indiretta e chi cerca di adeguare alle nuove realtà il sistema delle imposte dirette; chi – come l’OCSE – invita gli Stati ad intese e strategie condivise ed unitarie, bisognose necessariamente di tempi lunghi, e chi invece crede di dover agire autonomamente per poter accelarare tali tempi.

Il concetto di stabile organizzazione è una delle questioni cruciali.

Vero, anche se occorre fare alcune precisazioni.

Le problematiche attuali riguardano prevalentemente le imposte dirette (e cioè le imposte sui redditi); per quanto riguarda l’IVA, invece, le sfide originate dalla economia digitale sono state in buona parte risolte con la generale applicazione del cd. “destination principle”, che consente di riportare la tassazione nel Paese in cui il bene viene acquistato e dove avviene il consumo.

Per quanto attiene invece alle imposte sul reddito, il sistema fiscale internazionale è rimasto legato ad una regola elaborata 90 anni fa ed inserita nel modello di convenzione contro le doppie imposizioni redatto dalla Società delle Nazioni nell’anno 1928. In base a questa regola, che è confluita nella quasi totalità delle quasi 3.500 convenzioni internazionali contro le doppie imposizione stipulate dagli Stati, i redditi di impresa prodotti all’estero sono tassati nel Paese di residenza del soggetto che li produce (art. 7 del modello contro le doppie imposizioni redatte dall’O.C.S.E.). Fa eccezione il caso in cui i redditi esteri siano prodotti nell’altro mediante una “stabile organizzazione” ivi ubicata; in tal caso, infatti, tali redditi possono essere tassati anche dallo Stato in cui sono prodotti, con un sostanziale accostamento al mercato del consumo.

Pertanto, i redditi di impresa prodotti da un soggetto non residente in un altro Paese sono quivi tassabili solo se riferibili ad una stabile organizzazione ivi costituita. L’abile pianificazione fiscale dei grandi gruppi sovranazionali ha consentito in numerosi casi di sfuggire alla tassazione nel Paese del consumo, pianificando e conducendo da un altro Pase le attività svolte nel territorio di un altro Stato

L’OCSE ha intrapreso una lunga attività per fronteggiare tali fenomeni e ricondurre la tassazione nel luogo in cui la ricchezza è concretamente prodotta. Alcune azioni per fronteggiare alcune pratiche scorrette che consentono di aggirare la nozione di “stabile organizzazione” (come la frammentazione dell’attività commerciale tra più sedi, o la configurazione di un’attività produttiva come meramente preparatoria o ausiliaria) sono state recentemente avviate; la loro implementazione consentirà verosimilmente di recuperare materia imponibile nei confronti di società internazionali operanti in alcuni particolari settori dell’economia digitale, come il commercio elettronico indiretto o la raccolta pubblicitaria “on line”.

Ma il problema più delicato riguarda le società digitali “pure”, che normalmente forniscono prodotti immateriali all’estero (come software, prodotti informatici, etc…) senza avere nessuna presenza fisica nello Stato, grazie alla loro capacità di operare distanza. Con riguardo a queste attività l’OCSE si è limitato a svolgere approfonditi studi, senza tuttavia avviare ancora nessuna azione concreta. Si è previsto in particolare: a) di modificare la nozione di “stabile organizzazione” con quella di “presenza economica significativa” per stabilire un migliore criterio di collegamento che consenta la tassazione nello Stato della fonte del reddito; b) di attribuire rilevanza al possesso di dati personali altrui, quale elemento rivelatore di capacità contributiva; c) di approfondire la natura dei servizi resi sul mercato globale della rete al fine di qualificare e tassare in altro modo (ad esempio, come “royalties”) i proventi conseguiti dall’attività di impresa all’estero e di assoggettarli di conseguenza ad un sistema di tassazione che prescinde dalla riferibilità del reddito ad una “stabile organizzazione”.

Nell’attesa dell’avvio di questa azione, molti Stati cercano di fare per conto loro, individuando nuove forme di tassazione domestiche dell’economia digitale (come la “diverted profit tax” nel Regno Unito e la “web tax” o la “digital tax” in Italia).

Dalla web tax alla digital tax, quali riflessioni sui tentativi di tassazione dell’economia digitale, quali strade da percorrere a suo giudizio?

I vari tentativi degli Stati di introdurre alcune specifiche che colpiscano l’economica digitale, riflette lo stato di confusione e di incertezza che regna in materia.

L’OCSE propone pazienza e raccomanda unità di intenti, nella attesa di verificare gli effetti delle azioni già intraprese per alcuni settori dell’economia digitale (come l’ “e-commerce” indiretto e la raccolta pubblicitaria “on line”) e di adottare le ulteriori azioni che si renderanno necessarie per il settore dell’economia digitale “pura”. Ma questi tempi – come già detto – sono alquanto lunghi, e non soddisfano gli Stati più impazienti.

L’Europa ha elaborato ben due strategie: una di lungo periodo, che tende alla istituzione di un’unica imposta europea sui redditi da ripartire tra gli Stati in base alla percentuale del valore creato nel loro territorio, ed una immediata, che tende a colpire alcuni grandi “players” operanti sulle piattaforme telematiche. Tali proposte sono tuttavia ferme per l’opposizione di alcuni Paesi (tra cui Malta, Irlanda ed Olanda).

L’Italia, da parte sua, ha istituito (senza successo) varie imposte del genere, l’ultima delle quali approvata con la legge di bilancio 2018, la quale colpisce tutte le imprese che abbiano indici di redditività superiori a determinate soglie. Ma anche questa imposta – alla pari di quelle introdotte precedentemente – sembra destinata all’insuccesso, mancando ancora i decreti attuativi e rinvenendosi varie criticità in relazione ai soggetti colpiti ed alla proporzionalità della misura.

In definitiva, siamo ancora in mezzo al guado, e non è facile prevedere quando ne usciremo. Nel contempo, i giganti del “web” continuano a sviluppare business ed a mietere profitti in tutti i Paesi del mondo, nei quali lasciano tributi assai modesti, che non sembrano rapportati alla loro effettiva capacità contributiva.

Personalmente credo che giovi allinearsi alle linee-giuda dell’OCSE, ancorché si sviluppino con lentezza, ed alle proposte di direttiva dell’Europa, ancorché attualmente paralizzate dal disaccordo di alcuni Paesi. Solo il necessario coordinamento tra gli Stati potrà consentire di disciplinare una materia che, per le sue dimensioni, supera di gran lunga il loro ambito territoriale.

 

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