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La video arte: l’inquadramento giuridico di un’opera fragile

di

Gilberto Cavagna di Gualdana*

 Ho un amico che ha un amico che ha comprato un video, una volta[1].

L’ironico titolo dell’opera dedicata al collezionismo di video da Loop Barcellona, importante fiera di settore, da bene l’idea della difficoltà di questa espressione artistica di accreditarsi sul mercato.

Nonostante i video siano una forma d’arte ormai consolidata e riconosciuta[2], il mercato rimane infatti ancora spesso scettico verso queste opere, forse perché legate ad un mezzo, il video, tra i più effimeri e facilmente riproducibili[3].

Anche dal punto di vista giuridico, la video arte ha faticato a trovare un inquadramento giuridico condiviso, scontando probabilmente un’iniziale mancanza di riconoscimento della propria specificità espressiva[4].

Infatti, non essendo i video d’artista elencati tra le opere espressamente tutelate dalla legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941 n. 633 e succ. mod.; la “Legge Autore”), i primi interpreti hanno originariamente ricondotta tale forma d’arte nell’ambito della protezione accordata alle opere cinematografiche e, successivamente, ai video clip.

Ad un esame più attento del fenomeno artistico entrambi gli inquadramenti si sono tuttavia dimostrati inadeguati, e ciò in quanto nella video arte manca, da un lato, il ruolo del produttore che finanzia l’opera sperando nei ritorni economici generati dalla distribuzione della pellicola nelle sale, tipico del film, e dall’altro, è assente la finalità promozionale caratteristica dei video musicali, realizzati per promuovere la canzone che ne sta alla base.

Più adeguato appare invece, ormai da tempo, l’inquadramento dei video d’artista come opere dell’arte figurativa, classificazione che oggi può dirsi sostanzialmente condivisa, con la conseguenza che i video beneficiano così della tutela piena riconosciuta alle opere dell’ingegno al pari di quadri, dipinti e affreschi, purché ovviamente siano dotati del requisito del carattere artistico, riscontrabile peraltro – come evidenziato in giurisprudenza[5] – in ogni opera che contenga in sé l’espressione della personalità del suo autore.

In quanto tutelate come opere dell’arte figurativa, la Legge Autore riserva all’artista che ha realizzato il video lo sfruttamento economico dell’opera (in primis il diritto di pubblicarla) per tutta la sua vita e i settanta anni successivi alla morte, e la facoltà di opporsi a qualsiasi utilizzo che possa essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione.

La realizzazione dei video d’artista spesso presuppone, tuttavia, la collaborazione e l’interazione di più soggetti (regista, sceneggiatore, soggettisti, direttore delle luci, interpreti, autori della musica, ecc.).

Nel caso in cui i singoli apporti di ciascun autore siano scindibili e distinguibili, l’attribuzione dell’opera spetta a chi “organizza e dirige la creazione” (art. 7 Legge Autore), senza pregiudizio per i diritti d’autore sui singoli contributii; è il caso, più raro, ad esempio dei video in cui diversi contributi di differenti autori sono montati uno di seguito all’altro.

Se invece i singoli contributi si compenetrano reciprocamente in un’unica opera, come peraltro avviene nella maggioranza dei casi, tutti gli artisti sono coautori e i relativi diritti sull’opera sono in comunione (con la conseguenza che, di massima, la gestione dei diritti sarà rimessa alla maggioranza degli artisti coinvolti). Nelle opere composte la durata dei diritti di utilizzazione economica è, per tutti i coautori, di settant’anni dalla morte dell’ultimo coautore sopravvissuto, mentre nelle opere collettive la durata dei diritti di utilizzazione economica è, per ciascun autore, di settanta anni dalla sua morte; per l’opera considerata come un tutto, il termine decorre dalla prima pubblicazione dell’opera.

Spesso le opere di video arte incorporano opere precedenti, come spezzoni di film, riprese di performance e/o rielaborano altre opere, come colone musicali o estratti di discorsi sincronizzati con le immagini; l’opera costituisce così (anche) la rielaborazione di opere preesistenti e lo sfruttamento del video realizzato con tali contributi presuppone, di norma, l’accordo degli autori delle opere utilizzate.

In mancanza di accordo con i coautori e/o gli autori delle opere utilizzate, la pubblicazione o altro sfruttamento del video costituisce una violazione dei diritti di questi ultimi, con il rischio che il museo e/o il collezionista che abbia proiettato l’opera si veda contestare la violazione.

Il museo e/o il collezionista che intendano pertanto utilizzare in modo ampio (e lecito) un’opera di video arte devono assicurarsi di aver acquisto, insieme all’opera, anche il consenso allo sfruttamento dei diritti sull’opera, da tutti i coautori e gli autori coinvolti, se del caso facendosi rilasciare opportune manleve che l’uso del video e di eventuali opere nel video è stato autorizzato dai rispettivi autori.

Meglio se tale acquisizione avviene poi per iscritto, in quanto la Legge Autore richiede che il trasferimento dei diritti di sfruttamento debba essere sempre provato per iscritto[6]. Spesso invece collezionisti e musei si limitano ad acquistare l’opera (il solo supporto materiale), senza curarsi di acquisire ulteriori diritti, con la conseguenza che ogni eventuale utilizzo del video diverso dal mero godimento dell’opera, come la sua pubblicazione (anche in estratto) su cataloghi o on-line, costituisce una violazione dei diritti degli autori[7].

Si discute se i video che riprendano performance di altri artisti o interviste e riprese della lavorazione siano tutelate come opere autonome o debbano essere considerati invece dei (meri) documentari, beneficando così della più ridotta tutela riconosciuta a tali opere assimilate alle fotografie semplici[8]; Luciano Giaccari, uno dei padri della video arte[9], in merito aveva introdotto la classificazione tra video caldo, inteso come il video d’artista che presenta carattere creativo, e video freddo, quello che documenta un’altra manifestazione artistica (teatro, danza o qualsiasi altra performance).

La documentazione con un video di un’altra manifestazione comporta tuttavia (quasi) sempre necessariamente un’elaborazione creativa nell’attività di ripresa, per la scelta delle scene, delle inquadrature, delle luci, oltre che per il montaggio, che attribuisce al video così realizzato quel gradiente creativo che lo eleva ad opera autonoma rispetto alla performance ripresa.

I video sono, per loro natura, opere facilmente riproducibili, e le copie sono identiche all’originale. Per evitare il proliferare di copie contraffatte, gli autori di solito producono un numero di esemplari determinato, numerato, accompagnato da certificati di autenticità; per ostacolare la riproduzione non autorizzata, spesso le opere contengono poi misure tecnologiche di protezione e, se riprodotte su internet, come ad esempio nei siti dei rispettivi artisti, sono diffuse a bassa risoluzione.

I video, così come molte delle più recenti opere digitali, sono inoltre facilmente deteriorabili e lo sviluppo tecnologico le rende velocemente obsolescenti, comportando la necessità di successivi riversamenti dell’opera nei nuovi formati via via adottati per mantenerle fruibili. Poiché la riproduzione dell’opera costituisce un diritto esclusivo riservato dalla Legge Autore all’autore/agli autori dell’opera, è quindi opportuno che il collezionista e/o il museo che acquisisca l’opera si premuri di acquisire anche il consenso a tali riproduzioni. 

 Note

*Avvocato

[1] I Have a Friend Who Knows Someone Who Bought a Video, Once. On Collecting Video Art, Aa. Vv., Loop Barcellona/Mousse Publishing Milano, 2016.

[2] Nata prima in America – convenzionalmente si ritiene che il primo video d’artista sia quello realizzato da Nam June Paik nel 1965 dal titolo “Café Gofo” – la video arte si è sviluppata in Italia dalla prima metà degli anni Settanta. Per una ricostruzione della storia della video arte: S. Bordini, La videoarte raccontata dall’editoria, in Artribune, 18 febbraio 2017, reperibile sul sito www.artribune.com; M. M. Tozzi, La videoarte italiana dagli anni ’70 ad oggi, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2016; M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video. La distanza della storia. Vent’anni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, Nuova Prearo Edizioni, Milano 1987; M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video 2. Presente continuo, Nuova Prearo Editore, Milano,1987.

[3] S.A. Barillà, Sul collezionismo di videoarte tra passato, presente e futuro, in Il Sole24Ore, ArtEconomy, 19 gennaio 2017, reperibile sul sito www.ilsole24ore.com.

[4] Per un approfondimento sull’inquadramento giuridico della video arte: Art&Law, 11/2013, reperibile sul sito www.negri-clementi.it.; S. Morabito, Video arte: primi strumenti di tutela, BusinessJuss, reperibile sul sito businessjus.com; N. Maggi, I diritti della video arte, Collezione da Tiffany, 4 febbraio 2014, reperibile sul sito www.collezionedatiffany.com; S. Stabile, Videoarte e diritti d’autore, Il Diritto Industriale, 4/2007. Problemi di inquadramento sono sorti anche dal punto di vista fiscale, in quanto alcuni video di artisti non sono stati ritenuti opere d’arte ma “parti tecniche e commerciali completamente avulse da un qualsiasi contesto artistico” che quindi devono essere tassate alla dogana come un qualsiasi altro oggetto commerciale e non con l’eventuale IVA agevolata che è riconosciuta alle opere d’arte in alcuni paesi europei; cfr. M. Di Veroli, Bill Viola e Dan Flavin non sono artisti secondo la Comunità Europea, Global Art Mag, 17 dicembre 2010, reperibile sul sito www.globalartmag.com.

[5] In tal senso, Cass, 27.10.2005 n. 20925, Massimario Giustizia Civile 2005, 10; Cass. 12 marzo 2004, n. 5089, Il Diritto Industriale 2005, 237.

[6] Si tenga presente che qualora le opere siano realizzate su commissione, il committente acquisisce per legge tutti i diritti di utilizzazione economica sull’opera nei limiti dell’oggetto e delle finalità dell’incarico; ciò anche in mancanza di un contratto scritto.

[7] In dottrina e giurisprudenza l’orientamento dominante è nel senso di ritenere illecita la riproduzione di opere in cataloghi (o sul web) senza il consenso dell’autore. In tal senso, in dottrina, ex multis, App. Roma, 8 febbraio 1993. In dottrina, L. Albertini, La riproduzione fotografica in cataloghi delle opere dell’arte figurativa, Giustizia Civile, fasc. 6, 1996, pag. 1603 e ss.; G. Bonomo, La tutela delle immagini di opere d’arte, Osservatorio sul diritto d’autore, Diritto 24, reperibile sul sito www.diritto24.ilsole24ore.com.

[8] L’art. 87 Legge Autore disciplina le fotografie semplici, ovvero le fotografie che riproducono le immagini di persone o aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche. Secondo quanto previsto dall’art. 88 Legge Autore, “Spetta al fotografo il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia […] senza pregiudizio, riguardo alle fotografie riproducenti opere dell’arte figurativa, dei diritti di autore sull’opera riprodotta. Tuttavia se l’opera è stata ottenuta nel corso e nell’adempimento di un contratto di impiego o di lavoro, entro i limiti dell’oggetto e delle finalità del contratto, il diritto esclusivo compete al datore di lavoro. […]”.

[9] Luciano Giaccari è morto il 4 agosto 2015; sulla via e opera di Luciano Giaccari: G. Quadri, “È morto Luciano Giaccari, memoria del video italiano”, Artribune, 5 agosto 2015, reperibile sul sito www.artribune.com.

Nella foto: Video installation “Electronic Superhighway,” Nam June Paik (Smithsonian American Art Museum)

www.maat.pt

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