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Metaverso, rappresentazione dell’evoluzione di uno spazio digitale. Intervista al Professor Davide Bennato

Davide Bennato è Professore associato di Sociologia dei media digitali presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche (DISUM) dell’Università di Catania.

È Presidente del corso di laurea in Scienze e lingue per la comunicazione, co-fondatore e membro del consiglio del Centro Informatica Umanistica (CINUM) dell’Università di Catania, membro del Dottorato in Sistemi Complessi per le Scienze Fisiche, Socio-economiche e della Vita del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, Research Associate presso il Media Ethics Lab dell’Università di Toronto.

I suoi studi riguardano la sociologia digitale con un approccio basato su dati, in particolare analisi dei comportamenti collettivi in rete.

Membro del comitato scientifico di diverse riviste, sul rapporto scienze sociali e tecnologia cura il blog tecnoetica.it e scrive sulla testata giornalistica agendadigitale.eu.

Le sue pubblicazioni più recenti: Il computer come macroscopio (Franco Angeli 2015), Dizionario mediologico della guerra in Ucraina (Guerini 2023 a cura, con Manolo Farci e Giovanni Fiorentino), Trasformazione digitale e competenze per la network society (Franco Angeli 2023, a cura con Maria Prosperina Vitale).

 

Davide Bennato,

Professore associato di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania

 

 

Secondo Lei, in che modo il progetto Meta rappresenta l’evoluzione di uno spazio digitale come Internet? 

Internet è uno spazio comunicativo e relazionale che ha attraversato tre diverse ere. La prima è quella ipertestuale: la rete era rappresentata da una collezione di testi scritti collegati da una serie di link che permettevano la possibilità di spostarsi da un documento all’altro. In questa situazione la componente relazionale era praticamente assente e internet era poco più che una infrastruttura informatica. La seconda fase è stata quella degli iperspazi: internet comincia ad avere delle zone in cui era possibile interagire socialmente, anche se in modo tecnologicamente rozzo (le chat, i newsgroup, i forum). In questo periodo cominciano a strutturarsi le prime community e internet rivela la propria dimensione di spazio sociale. La terza fase (quella attuale) è quella degli iperluoghi. La rete è popolata da una serie di posti con delle precise regole sociali di accesso e appartenenza (social network, lifestreaming eccetera) in cui la componente relazionale è prevalente e le persone si incontrano virtualmente all’interno di questi luoghi digitali che, in quanto luoghi, hanno precise caratteristiche tecnologiche e culturali.

Il metaverso – di cui il progetto Meta è quello più mediaticamente visibile – raccoglierà tutte le caratteristiche delle tre fasi della rete (ipertesti, iperspazi, iperluoghi) aggiungendone un’ulteriore, l’immersività, ovvero la possibilità di essere completamente avvolti all’interno di uno spazio digitale tridimensionale che trasformerà internet da mezzo di comunicazione e interazione ad ambiente di relazione. Da una concezione strumentale ad una concezione ecologica.

Ovviamente così strutturato il rapporto fra online e offline non avrà più soluzione di continuità.

 

Come potremmo evitare che il metaverso diventi una fonte di ulteriori diseguaglianze sociali?

La questione è molto seria ed è di difficile soluzione. L’internet relazionale, quello per intenderci caratterizzato dai social media e che ha dato vita a servizi come blog, wiki, social network, ha fatto sì che nascessero società che dietro l’ideologia dell’utilizzo gratuito, hanno raccolto enormi quantità di dati in grado di profilare accuratamente l’utente, spesso a discapito del diritto alla riservatezza. Quello che ha cambiato le regole del gioco nel rapporto fra utenti e società del digitale è stato il processo di datizzazione, ovvero l’uso dei dati come strumento commerciale e in alcuni casi strumento per la sorveglianza degli utenti. I dati sono diventati una vera e propria fonte energetica il cui uso poco controllato potrebbe avere – e in alcuni casi ha avuto – conseguenze nefaste. Il metaverso commerciale potrebbe diventare un ulteriore passo nel processo della datizzazione, ovvero la trasformazione in dati del corpo e delle interazioni fisiche, compiendo così un passo da cui è difficile tornare indietro. L’unico modo per evitare questo scenario è aiutare lo sviluppo di un metaverso costruito intorno alla categoria di utente cittadino e non utente consumatore. La declinazione dei diritti di cittadinanza rispetto al metaverso farebbe sì che tale tecnologia diventi un’importante opportunità sociale, economica e culturale. Ma per fare questo è necessario che accanto alle tecnologie del metaverso commerciali si sviluppino tecnologie legate al mondo dell’open source e che garantiscono diritti come il pieno possesso dei propri dati e la possibilità di intervenire in caso di vincoli tecnologici che limitano in modo ingiustificato la propria libertà. Non vuol dire creare un’opposizione fra un metaverso commerciale e un metaverso libero, ma rendere possibile la coesistenza di entrambi.

 

Qual è la visione proposta da Meta riguardo al metaverso e in che modo, secondo Lei, differisce da concetti precedenti di mondi virtuali tridimensionali? 

Se andiamo ad analizzare la lettera che Mark Zuckerberg ha scritto per gli investitori il 28 ottobre 2021 in cui ha presentato i concetti base di Meta, possiamo vedere alcune idee in azione.

La prima è la non prevalenza dell’esperienza schermo, ovvero rendere il metaverso qualcosa di utilizzabile al di là di smartphone, tablet e computer. Questo implica che l’esperienza digitale deve “uscire” dai device tecnologici, come gli ambienti virtuali che sono spazi ibridi fisici-digitali.

La seconda idea è il metaverso come framework, ovvero Meta dovrebbe diventare una compagnia in grado di catalizzare le energie di sviluppatori grandi e piccoli e di società grandi e piccole interessate a intraprendere questa strada tecnologica. Un po’ come è stato per il sistema operativo Linux diventato ecosistema ed adesso presente in tantissime tecnologie, smartphone compresi: Android è debitore di Linux.

La terza idea è l’uso di tecnologie come blockchain e NFT come servizi strutturanti il metaverso, per facilitare lo sviluppo di una creator economy piuttosto effervescente in cui è possibile commercializzare sia contenuti mediali per la cultura e l’intrattenimento, che oggetti mediali come personalizzazione degli avatar e altri servizi.

Queste idee non sono completamente nuove, ma quello che rende innovativo il progetto Meta è il timing: è adesso il momento giusto dal punto di vista sociale e culturale per lanciare un progetto che vuole rendere internet un ecosistema digitale immersivo.

Qualche scettico potrebbe obiettare che il progetto è nato nel 2021 ma che ancora non si è propriamente sviluppato, anzi sembra più un hype che un orizzonte tecnologico. In realtà se una piattaforma dominante i social come Facebook ha deciso di lanciare un progetto innovativo, sarà solo questione di tempo che altre società si accoderanno nel concretizzare un’idea che al momento è prevalentemente un’utopia ideologica. È la classica situazione della profezia che si autoavvera.

 

Ci spiegherebbe cosa sono gli universi virtuali tridimensionali? In che modo realtà digitali come Second Life, Minecraft e Roblox contribuiscono alla comprensione del concetto di metaverso?

Il metaverso è essenzialmente uno spazio digitale immersivo che permette di fruire di un’esperienza d’uso tridimensionale. Ci sono diversi modi per attuare questa possibilità: visori di realtà virtuale, schermi per la realtà aumentata, spazi ibridi fisici-digitali.

Il metaverso ha essenzialmente tre caratteristiche che lo rendono tale. In primo luogo deve essere immersivo, ovvero deve dare all’utente la sensazione di essere parte integrante attraverso un’opportuna progettazione della user experience. In secondo luogo, deve essere distribuito ovvero deve esistere contemporaneamente su più server – un po’ come il cloud computing – per consentire un accesso ubiquo e delocalizzato. In terzo luogo deve essere persistente, in pratica deve continuare ad esistere anche se l’utente ha effettuato il log-out dalla piattaforma metaversuale.

Alcuni esperimenti di universi digitali nel mondo dei videogiochi hanno avuto un ruolo importante per affinare il concetto di metaverso. Second Life ha mostrato che uno spazio virtuale digitale poteva avere un ruolo culturale e relazionale molto potente. Minecraft ha fatto vedere come sia possibile costruire un mondo condiviso e collaborativo attraverso il coinvolgimento attivo degli utenti. Roblox ha rappresentato l’idea della federazione di mondi digitali e di come essa possa dare un importante accelerazione alla costruzione di un framework condiviso ed una proliferazione di universi immaginativi.

 

In che modo l’immaginario tecnologico e la fantascienza hanno contribuito a formare l’idea di metaverso e come quest’idea è stata adottata dalle comunità tecnologiche? 

Senza fantascienza non esisterebbero moltissime idee tecnologiche, metaverso compreso. Non tanto perché la fantascienza anticipa il futuro, ma perché le comunità professionali che sviluppano le tecnologie – ingegneri, sviluppatori, manager di gruppi di ricerca – sono avidi consumatori di immaginario fantascientifico e lo usano per dare forma alla propria visione dell’innovazione, almeno nelle fasi iniziali.

In particolare, le tecnologie digitali non hanno una propria fisicità, pertanto lo sviluppo di un servizio digitale ha bisogno di un riferimento immaginativo per poter essere sviluppato. In pratica bisogna saper vedere una tecnologia prima di poterla concretizzare, e l’immaginario fantascientifico è un ottimo strumento che aiuta a rappresentare visivamente le proprie idee tecnologiche, non importa quanto esoteriche esse siano.

 

 

Approfondimenti:

 

 

a cura di Valeria Montani

 

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