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La più recente giurisprudenza della corte di giustizia tra mercato e valori olimpici. Intervista al Prof. Aniello Merone

Aniello Merone è Professore Associato di Diritto Processuale Civile e Coordinatore della Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università Europea di Roma (UER), dove ricopre anche la carica di Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali.
Ha un Dottorato di Ricerca in Diritto dell’arbitrato interno e internazionale conseguito con una monografia sull’Arbitrato sportivo internazionale e diverse esperienze come visiting professor negli Stati Uniti, Messico e Spagna.
Attualmente è team leader di diversi progetti europei di Capacity Building incentrati sulle Microcredential sviluppati nell’area del Caucaso, del Sud-Est asiatico e del Sud America.

Autori di numerosi articoli scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali è attualmente membro del Collegio di dottorato in Teoria generale del processo presso la LUM Dottorati, Direttore del Comitato editoriale della Rivista di Diritto dello Sport, membro di comitati editoriali di diverse riviste scientifiche.

È giudice sportivo nazionale presso la FIGC-LND ed è stato per 8 anni membro della Corte di Appello sportiva e federale della FIPAV.

Il Prof. Aniello Merone

 

Quali sono le principali implicazioni giuridiche delle pronunce della Corte di Giustizia sui casi Superlega e ISU?

Le pronunce della Corte di Giustizia hanno ribadito con estrema decisione come lo spazio di autonomia del diritto sportivo ovvero di irrilevanza delle vicende ad esso riferibili sia destinato a divenire sempre più rarefatto. Il clamore che le ha accompagnate non può essere legato alle implicazioni squisitamente giuridiche, trattandosi di arresti pienamente coerenti con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte, ma deve essere più correttamente ricondotto alle loro implicazioni economiche e politiche, specie con riferimento ai rapporti di forza tra società sportive (di calcio e non solo) e organismi federali.

Da un lato, la Corte di Giustizia ha affermato in maniera perentoria, tanto nel caso Superlega quanto ISU, l’illegittimità delle attuali norme sulla autorizzazione preventiva — che hanno sempre rappresentato un perno della concezione piramidale e verticistica nell’organizzazione delle competizioni sportive all’interno del c.d. movimento olimpico — che integrano una chiara violazione delle norme comunitarie sula concorrenza e sulla libera prestazione dei servizi, temi classici del diritto europeo, senza concedere alcuno spazio alla ricostruzione di un presunto modello sportivo europeo, né all’idea che per tale via lo sport sia esentato dal rispetto di alcune disposizioni del diritto unionale. Dall’altro lato, nella trama complessiva della sentenza, è dato comunque rilevare come un sistema di preventiva autorizzazione istituito da una federazione internazionale potrebbe essere ritenuto compatibile con il diritto europeo, purché venga previamente definito un quadro di criteri sostanziali e procedurali che siano in grado di garantire, con trasparenza e obiettività, che l’esercizio di tale potere non sia discriminatorio e arbitrario.

Anche alla luce di tali osservazioni appare davvero difficile ipotizzare quali saranno le conseguenze della descritta decisione sulla governance del calcio professionistico europeo e mondiale, ma è lecito ritenere che finirà per favorire un riassetto che consenta ai principali club, attualmente organizzati nell’European Club Association (ECA), di avere un maggior peso nella definizione dei format e nella distribuzione dei ricavi. Non credo, invece, che vi sia un interesse ad avviare nel breve altre iniziative autonomiste o a coltivare la creazioni di competizioni al di fuori del contesto federale.

 

Alla luce delle sentenze recenti, è possibile immaginare una convergenza tra le norme europee in materia di concorrenza e le regole di preventiva autorizzazione di UEFA e FIFA?

Come detto, la Corte di giustizia non ha escluso a priori la possibilità per le Federazioni sportive di prevedere un sistema di preventiva autorizzazione per le competizioni sportive che soggetti terzi, estranei alle Federazioni medesime, vogliano organizzare. E ciò in quanto viene riconosciuto che le Federazioni sportive devono poter verificare che tutte le competizioni che vengono organizzate rispettino determinati requisiti in termini, ad esempio, di sicurezza degli atleti e degli spettatori, di controlli antidoping, di compatibilità con i vari calendari sportivi nazionali ed internazionali, di rispetto delle regole del gioco a garanzia dell’uniformità della pratica sportiva.

Tuttavia, ciò che non è consentito è che la Federazione si riservi un esercizio di tale potere autorizzativo ed il collegato potere di applicare sanzioni in modo del tutto arbitrario, in quanto non sottoposto al rispetto di regole procedurali e criteri sostanziali oggettivi, chiari, precisi, non discriminatori e proporzionati.

L’assenza di una tale cornice di principi volti a governare l’esercizio del relativo potere determina, di per sé, una condotta abusiva e restrittiva sotto il profilo concorrenziale, nella misura in cui pone la Federazione nella posizione di escludere qualsiasi concorrente dal mercato. La sfida per le Federazioni sarà quella di riuscire a bilanciare norme e principi già presenti — vale a dire, quelli volte a tutelare il merito sportivo delle competizioni, il buon funzionamento del calendario internazionale nonché la salute e la sicurezza dei giocatori — con le esigenze che vengono dal rispetto delle norme europee. La giurisprudenza della Corte di giustizia, infatti, ha già chiarito che l’adozione di norme sull’approvazione preventiva delle competizioni calcistiche e sulla partecipazione di club e giocatori a tali competizioni possono, in via di principio, essere giustificate da obiettivi legittimi di interesse pubblico consistenti nel garantire che tali competizioni siano organizzate nel rispetto dei principi, dei valori e delle regole del gioco su cui si fonda il calcio professionistico, in particolare i valori di apertura, merito e solidarietà, ma anche che dette competizioni si integrino, in modo sostanzialmente omogeneo e coordinato, nel (complesso e articolato) calendario di competizioni nazionali, europee e internazionali che caratterizzano la disciplina sportiva.

Ne consegue che le federazioni dovranno essere in grado di calare tali disposizioni in un contesto in cui sia possibile individuare in maniera previa, trasparente e chiara le condizioni per ottenere l’autorizzazione di una competizione e, pertanto, l’accesso al mercato, limitando il più possibile l’esercizio discrezionale del potere loro conferito nel concedere o rifiutare tale approvazione preventiva.

 

Qual è il ruolo attuale del Tribunale federale svizzero nel contesto delle controversie arbitrali internazionali nel mondo dello sport, e come potrebbe essere influenzato dalle considerazioni della Corte di Giustizia riguardo al rispetto dell’ordine pubblico europeo?

Le controversie arbitrali internazionali nel mondo dello sport sono governate da 40 anni dal Tribunale arbitrale di Losanna (TAS), a cui rimandano le clausole compromissorie presenti negli statuti delle federazioni nazionali e internazionali e, nella misura in cui i procedimenti arbitrali radicati presso il TAS hanno la propria sede esclusiva a Losanna, i relativi lodi sono sempre impugnabili di fronte al Tribunale federale svizzero. Per tale ragione, il Tribunale federale svizzero ha assunto nel tempo un ruolo di presidio e salvaguardia della corretta operatività del TAS e le sue sentenze hanno spesso rappresentato dei punti di svolta, ispirando modifiche e revisioni alla disciplina che governa il funzionamento e le procedure dell’istituzione arbitrale. In particolare il Tribunale ha avuto modo di soffermarsi a più riprese sull’esigenza di puntellare l’effettiva indipendenza del TAS dalle istituzioni sportive, in particolare le Federazioni Internazionali e dal CIO  e di accreditarsi agli occhi del mondo sportivo come istituzione terza ed indipendente. Basti qui ricordare che il ricorso al TAS fu molto limitato nei primi due lustri di attività fino a che la sentenza Gundel del Tribunale federale svizzero non ha imposto nel 1994 una riforma strutturale dell’istituzione arbitrale e la successiva sentenza Lazutina (2003), da cui pur originò un intervento di riforma, fu capace di superare tutte le principali critiche all’effettiva indipendenza del TAS rispetto al CIO. Si può dire che, in un certo qual modo, l’attività del Tribunale federale ha rafforzato l’idea, oggi invalsa, della necessarietà del TAS (e dell’arbitrato) rispetto alla gestione delle controversie internazionali sportive.

La sentenza della Corte di giustizia sul caso ISU ha chiarito come l’opzione arbitrale non determini un rafforzamento della violazione del diritto della concorrenza (posta in essere dalla Federazione Internazionale di pattinaggio) e tuttavia ha evidenziato, in termini problematici, la circostanza che segue: in virtù della sede (fisica e formale) del TAS in Svizzera, i suoi lodi sono sempre soggetti al controllo giudiziario esclusivo del Tribunale Federale svizzero e, pertanto sfuggono al controllo dei tribunali degli Stati membri e, in ultima analisi, alla giurisdizione della Corte di Giustizia.

Non è una questione nuova. La Corte di giustizia ha già affermato più volte (si veda le sentenze Eco Swiss e Achmea, solo per citare le più note) che tale controllo sulla violazione delle norme europee di ordine pubblico è necessario e va rimesso al giudice dell’annullamento o del riconoscimento del lodo, al fine di garantire l’efficace protezione degli individui e l’uniforme applicazione della legge europea.

In verità, l’art. 190, comma 2, della l.d.i.p. svizzera consente chiaramente, come tutte le leggi arbitrali moderne, di impugnare il lodo arbitrale per violazione dell’ordine pubblico (tanto processuale quanto sostanziale) e lo stesso Tribunale federale svizzero ha fatto ripetutamente applicazione di questo principio in sede d’impugnazione dei lodi pronunciati dal TAS, ma in una maniera che per la Corte di Giustizia parrebbe non essere sufficientemente rigorosa  poiché non attente a ricomprendervi anche i principi fondamentali del diritto europeo, almeno nei casi in cui la controversia sia rilevante per gli Stati dell’Unione.

Inoltre, la sentenza sul caso ISU s’interroga sull’ulteriore esigenza di garantire l’uniforme applicazione della legge europea, che deve essere presidiata attraverso la possibilità, per il giudice statale investito dell’impugnazione del lodo, di operare il rinvio pregiudiziale alla Corte, vieppiù perché tale potere non è concesso agli arbitri. Ma, ancora una volta, è l’assegnazione del gravame al Tribunale federale svizzero a creare difficoltà, poiché in quanto giudice di uno Stato esterno all’Unione europea, gli è precluso il potere di adire la Corte UE in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Ciò non vuol dire che il rinvio pregiudiziale è definitivamente escluso, ma occorrerà attendere che il riconoscimento del lodo straniero venga chiesto, ai sensi della Convenzione di New York, in uno degli Stati membri dell’Unione europea; vale a dire, un momento ampiamente successivo a quello in cui è stata posta in essere la potenziale violazione del diritto europeo e, soprattutto, la cui ricorrenza è ampiamente incerta (rectius esclusa) ogni qualvolta la decisione del TAS esaurisca la sua portata esecutiva all’interno dell’ordinamento sportivo, atteso che non vi sarà bisogno di richiedere alcun riconoscimento ed esecuzione in ambito statale.

I temi posti dalla decisione ripropongono la sfiducia (già espressa in passato) della Corte di giustizia nella applicazione del diritto europeo da parte degli arbitri internazionali, proprio in ragione dell’assenza di un efficace (a parere della Corte) controllo giurisdizionale sul lodo.

Difficile fare previsioni sulle conseguenze, ma il ventaglio delle possibilità si presenta abbastanza ampio, tanto che alcuni commentatori non escludono il trasferimento del TAS altrove, proprio al fine di superare le perplessità espresse dalla Corte.

 

Quali sono le possibili cause di giustificazione che l’UEFA e la FIFA hanno sostenuto di fronte alla Corte per difendere le loro norme sulla commercializzazione dei diritti delle competizioni calcistiche?

Nel corso del giudizio l’UEFA e la FIFA, con il supporto di diversi governi nazionali e della Commissione, hanno sostenuto che le norme sulla commercializzazione dei diritti delle competizioni calcistiche consentono: (i) di realizzare incrementi di efficienza, contribuendo a migliorare sia la produzione che la distribuzione di questi contenuti, (ii) di ridurre significativamente i costi di transazione e l’incertezza che gli acquirenti si troverebbero ad affrontare se dovessero negoziare caso per caso con i club partecipanti, che potrebbero anche avere posizioni e interessi divergenti; (ii) di destinare agli utenti una congrua parte dell’utile che origina dai descritti incrementi di efficienza; (iv) di attuare i principi solidaristici, attraverso la ridistribuzione dei proventi a favore di tutte le altre società di calcio, siano esse professionistiche o dilettantistiche, degli atleti, del calcio femminile, dei giovani calciatori e per tale via, ai tifosi, consumatori, e a tutti i cittadini dell’UE coinvolti nel calcio amatoriale.

In argomento, è difficile negare che la sostenibilità complessiva del calcio poggia sull’effetto positivo che le competizioni internazionali generano verso i club professionistici e dilettantistici minori che, pur non partecipandovi, si giovano di tali risorse investendo nel reclutamento e nella formazione dei giovani giocatori, generando un beneficio sociale diffuso e indipendente dall’approdo di tali calciatori al professionismo e alle competizioni di vertice.

Tuttavia occorrerà comprendere e verificare — compito rimesso al giudice spagnolo, nella propria veste di giudice del rinvio — non solo l’attendibilità dei benefici economici e la congruità della redistribuzione solidaristica in rapporto alla distribuzione complessiva, ma soprattutto il ruolo svolto dalle norme in questione per la generazione e l’ottenimento di tali benefici e incrementi di efficienza.

 

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