S. Niccolai, E. Olivito (a cura di), Maternità, filiazione, genitorialità. I nodi della maternità surrogata in una prospettiva costituzionale, Jovene, Napoli, 2017
(via www.iustitiaugci.org) Chi lavora nell’ambito accademico sa bene che esistono convegni organizzati per scopi di vario genere: per avviare a consolidare relazioni professionali, per esempio; o per favorire approfondimenti su argomenti magari negletti, o di cui si celebra un qualche speciale anniversario; per facilitare operazioni di politica universitaria; per ottenere maggior visibilità, o anche solo per narcisismo.
Il convegno di cui il volume che qui presentiamo raccoglie gli atti, è stato certamente un convegno di notevole spessore scientifico, e la lettura delle relazioni e degli interventi programmati che lo hanno caratterizzato, consente di avere una conoscenza ben più che introduttiva e divulgativa ad uno dei temi più laceranti ed attuali del dibattito biogiuridico.
La maternità surrogata, da argomento tabù fino a pochissimi anni fa, si è trovata in Italia di colpo al centro delle discussioni (persino parlamentari) in occasione del sofferto iter di approvazione della legge sulle unioni civili, giunta a vedere la luce nella primavera del 2016. Come tutti ricordano, fu negli ultimi mesi di quell’affannoso dibattito che emerse il tema, o fu fatto venire alla ribalta da parte di chi desiderava cogliere l’opportunità di capitalizzare il massimo dal disegno di legge che sembrava finalmente destinato all’approvazione.
Peraltro, così non fu e la legge venne approvata dopo lo stralcio delle norme sulla filiazione (e quindi anche quelle sulla maternità surrogata), che rimangono dunque problema aperto nel nostro Paese, dove l’unico riferimento a questa pratica carica di criticità è contenuto nella legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, ed è costituito, come tutti sanno, da un secco divieto.
La giurisprudenza, come pure tutti o quasi tutti sanno, è stata però straordinariamente attiva ed innovativa nell’individuare metodi di aggiramento del divieto interno attraverso il riconoscimento degli atti di stato civile formati in Paesi esteri (dove in ipotesi la pratica è lecita). La legittimazione finale di tale orientamento e si direbbe proprio di tale favor è stata offerta da ormai più di una decisione della Corte di Cassazione, che si è ispirata, va pur sempre ricordato, alle ondivaghe affermazioni della Corte Europea dei Diritti Umani.
Nemmeno la Corte Costituzionale ha ritenuto, invero, di rimanere silente su questi problemi, se è vero che con la sentenza n. 162 del 2014, pur espressamente negando di pronunciarsi in materia di surrogazione di maternità, si è spinta fino a definire “incoercibile” il diritto a divenire genitori (con un’espressione così bizzarra da divenire presto proverbiale), e in altri obiter è parsa assecondare un atteggiamento aperto verso il “nuovo che avanza”.
Il volume in presentazione, di tutto questo processo offre un rendiconto analitico ed approfondito, ricchissimo di riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, e soprattutto (sia consentito l’avverbio ad un filosofo del diritto) intensamente critico: critico nel senso augusto del termine, che per me si colloca agli antipodi del descrittivo, del meramente ricognitivo, dell’asettico ed avalutativo, come pur alcuni (per fortuna non tutti) giuristi ritengono che dovrebbe essere il discorso giuridico. Intensamente, perché ospita posizione articolate e su alcuni punti in contrasto tra loro, e perché permette o costringe tutti (qui i due verbi si coordinano perfettamente) ad argomentare le proprie posizioni, qualunque esse siano.
Così, a poche pagine di distanza, troveremo le aperture alla maternità surrogata (purché gratuita, in una strana accezione non incompatibile con il compenso) di Barbara Pezzini, e la netta condanna della pratica di Silvia Niccolai. Miracoli delle “prospettive non neutre”, come le chiamano le curatrici nella premessa al volume, e provvidenzialità del superamento dei postulati weberiani sulla scienza. Ma andiamo con ordine, perché il libro merita di essere letto tutto, e con attenzione. Qui mi limiterò, come dev’essere per una recensione, a sbalzare alcuni profili dopo aver tratteggiato, come sto facendo, le linee generali del volume.
Il convegno, svoltosi a Roma il 19 maggio 2017 presso l’Università “La Sapienza” di Roma, e sostenuto finanziariamente per la pubblicazione degli atti dall’Università di Cagliari, è stato promosso in seno alle ricerche di diritto costituzionale sull’argomento della maternità surrogata, e di conseguenza la prospettiva dominante è quella pubblicistica e dei principi fondamentali (criteri di attribuzione della maternità, superiore interesse del minore, concetto di ordine pubblico interno ed internazionale). Lo sguardo è dunque elevato, e non solo per quel che attiene al livello nel sistema delle fonti in cui si colloca la riflessione costituzionale, ma anche per l’ambizione teoretica che percorre quasi tutti i contributi che appaiono nel volume.
A titolo di esempio, cito quel che nel primo saggio spiega un’autrice che è anche una delle curatrici (si noti che, come appare corretto versandosi in tema di maternità, quasi tutte le voci cha dialogano nel volume sono femminili): “Non è in discussione soltanto la misura entro cui il diritto è in grado di assecondare nuove domande sociali, piegandosi all’irruenza della tecnica (e del suo mercato). Che si propenda per un approccio casistico o si confidi nelle virtù della regolamentazione legislativa, occorre confrontarsi con il fatto che la maternità surrogata è in potenza una pratica idonea a cambiare la nostra percezione della vita e della persona umana, poiché – in nuce e in concreto – sottende la pensabilità della loro mercificazione. E a nulla varrebbe replicare che vi sono molte pratiche altrettanto problematiche, poiché ‘nella molteplicità c’è il molto e il poco’ [Aristotele] e la controvertibilità del molto non rende meno plausibile quella del poco (e viceversa)” (Olivito, p. 23).
Con forza, questa voce introduttiva rivendica al diritto legale (costituzionalmente orientato, nell’interpretazione proposta) la “riapertura della partita”, “non sul fronte di un illusorio intervento legislativo, bensì su quello della rivalutazione del suddetto divieto – esattamente inteso nei termini di un divieto di intermediazione commerciale in materia di surrogazione di maternità – e di una risignificazione costituzionale del principio mater semper certa, che non ne rimuova la portata di principio pertinente all’interesse situato dei minori” (Olivito, p. 27).
Il volume è intessuto di relazioni che provengono per la quasi totalità da studiose di sesso femminile (appaiono solamente due interventi programmati aventi come autori soggetti maschili), portatrici di un femminismo intelligente e quanto mai necessario in questioni come queste, in cui “la messa in evidenza dell’ineludibile differenza sessuale nella riproduzione pone oggi la donna in una posizione di forza e non di vittimizzazione. Un arretramento vi è semmai, fatalmente, ogniqualvolta quella differenza sia neutralizzata” (Olivito, p. 26).
A fronte di una legislazione (e non solo nazionale) che sembra piuttosto ferma e coerente nel proibire pratiche tali da innescare vere e proprie crisi di identità nelle persone protagoniste di vicende generative tecnologicamente mediate, il volume in più luoghi prende le distanze dal moltiplicarsi di sentenze indulgenti quando non addirittura proclivi verso la maternità surrogata, giudicata e contestata “non solo per la sua dissonanza, ma anche per l’imprudenza, data la posta in gioco” (Angelini, p. 52).
Due relazioni centrali, ed altrettanto centrali saggi contenuti nel volume, si concentrano su principi guida del diritto costituzionale: quello del “superiore interesse del minore” e quello di “ordine pubblico”. Ilaria Anrò si occupa del primo, chiarendo anzitutto che la traduzione invalsa nel nostro idioma è imprecisa rispetto all’originale della Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia: in essa si parla infatti di “best interests of the child”, con un’espressione palesemente meno incisiva ed assolutistica, che meglio si concilia con la reale composizione degli interessi e dei voleri in quello che normalmente è un contesto familiare, o almeno relazionalmente complesso.
Chiara Tripodina, dal canto suo, affronta con energia polemica non disgiunta da competenza ed acume ermeneutico, l’evoluzione del concetto di ordine pubblico internazionale, censurando l’atteggiamento sempre più “assottigliante” che la giurisprudenza italiana, anche suprema (viene specialmente criticata Cass. 19.599 del 2016), ha assunto negli ultimi anni. “A forza di muoversi con lo sguardo corto di chi percorre gaiamente e baldanzosamente la luminosa strada dell’ampliamento illimitato dei diritti e dell’incoercibile diritto all’autodeterminazione individuale, e gioisce per il superamento, l’abbattimento o anche solo l’elusione di ogni ostacolo che il legislatore voglia opporre su questo cammino, si sta finendo con il distruggere non solo l’idea di ‘ordine pubblico’ – troppo presto ridotta a scoria del fascismo –, ma quella stessa di ‘ordinamento giuridico’, inteso come sistema giuridico dotato di fini propri e intrinseca coerenza; e fors’anche di ‘democrazia rappresentativa’, come sistema nel quale le decisioni politiche fondamentali – nel rispetto della Costituzione e dei vincoli sovranazionali – sono assunte dai rappresentanti del popolo che siedono in parlamento (quello italiano, s’intende)” (pp. 139 e s.).
Riflettono, da prospettive meno contrarie al riconoscimento delle pratiche surrogatorie, sul nocciolo antropologico e poi quindi etico-giuridico della relazione materna, i contributi di Giuditta Brunelli e Barbara Pezzini: invero, l’insistenza doverosa sul carattere intensamente relazionale della gravidanza non sembra compatibile fino in fondo con l’accettazione di un modello in cui si scindono radicalmente esperienza gestazionale (della madre per altri, col bambino nel suo grembo), e “progetto riproduttivo” (della coppia committente), e sembra vagamente irenico affermare che “la sua [della gestante per altri] posizione giuridica non interferisce con, e tantomeno contraddice, lo svolgimento delle relazioni di genitorialità, ma instaura un sistema di relazioni fondate sul riconoscimento dell’origine: le dà titolo per concordare con i genitori intenzionali le modalità per essere tenuta presente nella vita del bambino e la rende responsabile di una tale visibilità e presenza” (Pezzini, p. 111).
Dell’impervietà della proposta sembra peraltro essere consapevole anche l’autrice, che conclusivamente dichiara di non credere “che si tratti di un’impossibile quadratura del cerchio”: “Non credo che ridimensionare il principio per cui è madre colei che partorisce (mater semper certa) significhi necessariamente negare valore alla gravidanza e al parto. Non credo che ammettere eccezioni alla continuità di maternità riproduttiva e genitoriale renda impossibile una valorizzazione piena della maternità – anche doverosamente riconoscendola come costituzionalmente dovuta. Non credo che per fare spazio alla gravidanza per altri si debba necessariamente negare l’origine femminile della vita” (Pezzini, p. 118).
Gli interventi programmati che concludono il testo sono ben di più di quel che di solito questa denominazione indica, e meritano la medesima attenzione degli altri contributi, sebbene non vi sia qui spazio per soffermarcisi analiticamente. La chiusa è affidata all’ampio saggio di Silvia Niccolai intitolato “Diamo alla maternità quel che le spetta”: dopo diverse ed interessanti considerazioni de jure condito e de jure condendo, questa autrice, curatrice del volume e promotrice del convegno, conclude con alcune affermazioni molto esplicite. “Mi oppongo alla surrogazione di maternità in nome della libertà delle donne di essere o non essere madri, e – il che è lo stesso – affinché la maternità, e la nascita, rimangano esperienze al di sopra della legge e del contratto e possano continuare a ricordare agli esseri umani che non veniamo né dall’una né dell’altro, ma da un’altra vita umana, vale a dire che noi, nella nostra qualità di esseri umani, non siamo creati né misurati dalla legge, dal contratto, dalla tecnica” (Niccolai, p. 228).
Per rintuzzare poi le accuse di paternalismo che ingenerosamente sempre piovono su siffatti atteggiamenti proibizionistici, aggiunge poi Niccolai: “Il lavoro più urgente oggi, per chi tema gli usi pedagogici del diritto, è cercare il paternalismo dove sta, ossia nella visione sociale neo-liberista (di cui la surrogazione di maternità è una componente essenziale), cui è consustanziale l’idea, compagna di ogni e ben più antica visione autoritaria, che la natura umana è un costrutto sociale, e dunque non esiste” (Niccolai, p. 230). Dolcissime note all’orecchio di un filosofo del diritto avvezzo a spiegare agli ormai pochissimi e denutriti giuspositivisti vecchio stile che il diritto non è il docile strumento con cui modifichiamo a nostro piacimento i costumi sociali, ma il riflesso della struttura intima dell’essere uomini tra uomini.
(Fonte www.iustitiaugci.org)