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Sviluppo digitale: uso dei dati e tutele per i cittadini. Intervista alla Prof.ssa Anna Papa

La redazione di DIMT ha intervistato la Prof.ssa Anna Papa, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università Parthenope Presidente Scuola di Economia e Giurisprudenza, in merito all’evento “Digitalizzazione, uso dei dati e tutela dei cittadini”. Il webinar, tenutosi martedì 1 dicembre 2020, è stato organizzato dall’Ateneo Università degli studi di Napoli “Parthenope” insieme al Movimento consumatori sul tema “Digitalizzazione, uso dei dati e tutela dei cittadini”. L’evento online, realizzato nell’ambito del progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino” ha avuto l’obiettivo di approfondire il tema della tutela dei dati personali dei cittadini nello scenario della
digitalizzazione.

 

L’evento “Digitalizzazione, uso dei dati e tutela dei cittadini” nasce a sua volta dal progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino”. A quali domande e criticità ha cercato di dare risposta l’evento? 

Il webinar ha rappresentato una tappa del progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino”, promosso dal Movimento consumatori in collaborazione con alcune Università e tra queste l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, e si è dato l’obiettivo di promuovere una riflessione sulla tutela del cittadino – inteso nella sua accezione più ampia, ovvero quale individuo appartenente ad una comunità – nell’accesso e nella fruizione dei servizi delle società digitalizzate. L’esigenza di promuovere la realizzazione di una società realmente digitale e al tempo stesso la necessità che tale società conservi una natura inclusiva rappresenta una importante sfida – forse la più importante – alla quale sono chiamate a rispondere le democrazie tecnologicamente avanzate. Da qui la richiesta di intervenire su alcune criticità delle quali abbiamo tutti consapevolezza, come ad esempio le differenze territoriali, socio-culturali ed economiche che ancora caratterizzano il rapporto cittadino-servizi digitali; o ancora l’asimmetria informativa sui benefici e i rischi della digitalizzazione o, rectius, dell’immersione dell’individuo in un ecosistema digitale del quale non sempre sono note e comunque correttamente percepite le dinamiche.

Il processo di digitalizzazione della PA rappresenta un importante tassello di questo processo, che incide pesantemente non solo sull’organizzazione dell’attività amministrativa, ma anche sotto il profilo dei rapporti e dell’interazione con gli utenti finali di questi servizi. Contestualmente, l’azione di promozione del processo di digitalizzazione pone rilevanti problemi in termini di sicurezza dei dati raccolti, gestiti e custoditi dai vari soggetti coinvolti. A fronte dell’impegno profuso sul piano normativo in entrambi i settori, da un lato attraverso l’elaborazione e l’aggiornamento del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) e dall’altro con l’applicazione negli Stati membri dell’Ue del nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (Regolamento Ue 2016/679 del 2016), il contesto italiano presenta ancora importanti criticità.

 

 

Dal Suo punto di vista come la digitalizzazione può, tramite l’uso dei dati, tutelare i cittadini?

La risposta a questa domanda richiede una breve premessa. Siamo ormai da alcuni decenni nell’era digitale (dagli anni sessanta ma noi ne abbiamo avuto percezione a partire dagli anni 90 e solo oggi ve ne è piena consapevolezza), all’interno della quale la nostra vita è scandita da processi basati sull’utilizzo massivo e primario della tecnologia informatica, in tutte le sue declinazioni ed evoluzioni. Intorno a questa tecnologia si è formato uno spazio, quello digitale, nel con­tempo globale e locale, con caratteristiche di interazione sempre nuove (si pensi alle prospettive dell’applicazione dell’intelligenza artificiale in diversi ambiti) ma ormai di ampia fruizione, che ha portato alla elaborazione del concetto di “ecosistema digitale”, inteso come ambito dinamico nel quale una comunità di soggetti interagisce, si scambia informazioni, più in generale progredisce in termini di conoscenza, abilità, contatti, al fine di migliorare la propria esistenza e soddisfare i propri bisogni.

In questa nuova dimensione le persone rilevano, e quindi necessitano di tutela, non solo come individui, che in questo spazio sviluppano la pro­pria personalità, ma anche come produttori consapevoli e/o inconsapevoli di dati, personali e non personali che, aggregati in modo sempre diverso producono informazioni che, a loro volta, generano ricchezza. Ogni attività umana nello spazio digitale, infatti, produce dati: di contatto (quando ci si registra per accedere ad un sito o ad un servizio), di na­vigazione (dal momento che i cookie registrano le attività svolte in Internet), di movimento (con i sistemi di geolocalizzazione), di esercizio di li­bertà come l’espressione del pensiero, la comunicazione, la riunione e altro. Questi dati – raccolti, trattati, aggregati, utilizzati, ceduti ad altri secondo le regole proprie dei big data – rappresentano una componente importante del patrimonio digitale presente in Rete, alla quale si affiancano informazioni e documenti da parte degli utenti che in questo modo alimentano lo spazio informativo di Internet. Può dirsi, quindi, che l’ecosistema digitale esiste grazie non solo alla telematica ma anche, anzi soprattutto, alla digitalizzazione della realtà. Un processo iniziato ben prima che la Rete divenisse “open”, con interventi nell’ambito di settori specifici (non esclusivamente produttivi e sia pubblici che privati) ma senza un progetto di “Sistema Paese”, come sarebbe stato necessario.

Questa assenza di visione strategica d’insieme, dedicata al sistema Paese, che implicava necessariamente alfabetizzazione digitale (non solo informatica) e investimenti infrastrutturali e regolatori di ampio respiro, non necessariamente pubblici ma inseriti in quadro condiviso, basato sulla consapevolezza del valore strategico della digitalizzazione, ha prodotto un ritardo che molti Paesi, tra i quali l’Italia, ancora scontano anche sul piano culturale. E la fase che stiamo vivendo, da diversi mesi con la prospettiva che si prolunghi ancora a lungo, caratterizzata da una intensa attività lavorativa, sociale, culturale svolta a distanza sono esemplificativi di come la cultura della digitalizzazione sia un dato sul quale occorre ancora lavorare.

Si pensi, per esempio, all’alfabetizzazione informatica delle giovani generazioni, un processo avviato da alcuni anni ma che rende evidente la parzialità dell’intervento, salvo ritenere, come fino a oggi si è fatto, che avere un elevato tasso di smartphone collegati alla rete fosse equivalente ad avere creato una infrastruttura capace di consentire alle persone di accedere ai servizi della società digitale.

In realtà, non è così. Anche se viviamo in un mondo di app, il sistema informativo, i sistemi di sweet office, lo svolgimento a distanza di attività cruciali (pensiamo alla telemedicina, alla giustizia, ma soprattutto all’istruzione) hanno bisogno di qualcosa di diverso. Infatti, come l’emergenza pandemica da COVID-19 ha dimostrato nel 2020, l’attuale livello dell’infrastruttura tecnologica delle reti domestiche e il numero di dispositivi – a disposizione di lavoratori impegnati nel telelavoro o di studenti chiamati a svolgere attività didattica a distanza – si presentano fortemente insufficienti a garantire un eguale accesso a tali attività da parte di tutti i soggetti interessati.

Ci si domanda, a questo punto, come si leghi tutto questo all’utilizzo dei dati, alla tutela della privacy digitale e alla tutela, in senso ancora più ampio, dei cittadini. Ebbene, si lega in modo profondo, perché allo stato attuale l’individuo appare essere quasi esclusivamente un produttore di dati digitali, che grazie ai big data e alle tecniche di profilazione consente la produzione di ricchezza. Il che è certamente importante ma non può essere il focus. La digitalizzazione è stata pensata per semplificare i processi, per ridurre le distanze, per ottimizzare i servizi. Ciò richiede di mettere in campo almeno due ambiti di sviluppo.

In primo luogo, occorre dare ai dati raccolti una utilità non solo produttiva (di beni e servizi) ma in senso ampio “sociale”. I dati degli individui debbono tornare alla comunità sotto forma di servizi più innovativi e contribuire al suo sviluppo. In secondo luogo, occorre rafforzare la cultura della privacy by design, di processi di raccolta, trattamento e riutilizzo dei dati che consentano appieno la tutela delle persone che li hanno prodotti.

È proprio in questa prospettiva, infatti, che la digitalizzazione, tramite l’uso dei dati, permette di configurare un complesso di garanzie a vantaggio del cittadino, garanzie che non impediscono ai dati di produrre sviluppo e migliorare e rendere smart le città, i luoghi di lavoro, le scuole, le università, l’habitat fisico e virtuale nel quale ciascuno è immerso. L’economia digitale, infatti, si presta in sé a rappresentare una delle forme più rilevanti di economia circolare, nella quale i dati che i cittadini offrono all’ecosistema digitale tornano ai cittadini sotto forma di servizi che si presentino innovativi, efficienti e dunque sostenibili.

Al contrario, qualora la digitalizzazione non si proponga anche questi risultati, produce solo mercato, che è importante ma non può essere il suo principale obiettivo. È per questo, quindi, che la tutela degli individui digitali e lo sviluppo dei processi di digitalizzazione possono essere progettati solamente insieme, altrimenti sono suscettibili di produrre disequilibri che le società democratiche non potranno sopportare.

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