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TikTok e Garante privacy: rischi dei social media. Intervista all’Avvocato Gianni dell’Aiuto.

In merito alla notizia di TikTok e del Garante Privacy per la tutela die minori, la redazione di DIMT ha intervistato l’Avvocato Gianni dell’Aiuto, avvocato d’impresa, contrattualista del Social Media Manager con focus sulla protezione degli operatori del web (Social Media Manager, copywriter, webmaster, sviluppatori, Ecommerce, contratti software as a service – SAAS ).

 

 

E’ recente il caso di TikTok, dove il Garante per la Privacy  ha dovuto bloccare gli accessi poiché l’algoritmo non riusciva a distinguere quali fossero i minori che accedevano alla piattaforma. A Suo parere le misure prese dal GDPD e da TikTok, sono efficienti per tutelare le fasce più fragili che hanno accesso ai social?

 

A mio avviso no, questa attenzione dovrebbe partire proprio dai genitori poiché TikTok chiederà semplicemente una domanda di conferma sull’età dell’utente. Va detto che a tredici anni si ha un’età in cui si mente anche solo per marinare la scuola, risulta difficile pensare che possa dire la verità un bambino di quell’età. Ecco non credo che un bambino possa essere consapevole e che riesca a dire la verità. Per questo credo che dobbiamo prendere atto dei cambiamenti sociali e conviverci: contrariamente al passato, oggi i bambini vogliono fare l’influencer, opinionista o il blogger. Ci sarà bisogno, a mio avviso, di leggi sovranazionali che regolamentino lo spazio dei social. C’è da chiarire, come qualificare giuridicamente questo spazio digitale enorme, e chi è che può fare delle regole. Da più parti, infatti, viene rivendicato come uno spazio libero, dove ognuno ha libertà di parola e di pensiero. Ci sono vicende, come quella di Trump, escluso da Twitter, le cui voci fuori dal coro (come quella di Angela Merkel) si sono rivelate un po’ scettiche, a priori dal simpatizzare o meno con Trump: può un imprenditore privato stabilire che un presidente o un rappresentante politico non ha più diritto di parola sulla sua piattaforma? In Italia è successo poco più di un anno fa, quando il tribunale di Roma ha fatto riaprire i profili di CasaPound su Facebook, ed ha detto una cosa importantissima nella motivazione della sentenza: che oggi i social sono luoghi dove si svolge la democrazia, né più né meno. Dove tutti possono contribuire al dibattito e non si può chiudere una voce, lo dovremo sapere bene nel nostro Paese dove un partito di governo è nato sui social. Si vanno a sovrapporre aspetti di diritto privato e di diritto pubblico, perché quello con i social è un contratto di diritto privato ma le conseguenze sono sul pubblico.

 

 

Secondo Lei, come è possibile applicare i limiti della libertà di pensiero sui social?

Su questi aspetti, ho una mia visione. La libertà di pensiero è legittima, il problema è fino a che punto si può censurare questa libertà di pensiero o meno, ad esempio: il terrapiattismo si sarebbe così diffuso se oggi non ci fosse questa libertà estrema di pensiero tramite i social? Probabilmente no, come le fake news. Ci siamo cascati probabilmente tutti in una fake news. Chi ha il potere di controllo? Il problema non è tanto nella libertà di pensiero, Umberto Eco, ci dice giustamente che i social hanno dato voce a legioni di idioti. Il problema non è tanto quello di dare la voce, il problema è di chi ascolta. Oggi è inutile censurare, si possono trovare seguaci sempre. Come lo slogan politico il quale oggi è meramente uno slogan pubblicitario. Oggi fa presa in politica ciò che nel pubblico è fa presa tramite i social. Il pubblico vuole una risposta immediata e che si capisca facilmente. Non vuole essere effettivamente informato. Non si sta più attenti a un dibattito sociale, queste sono delle conseguenze che poi si ripercuotono nella società. Cito due esempi, fra i più clamorosi, nel nostro Paese: “porti chiusi” o “povertà abolita”, il pubblico vuole questo genere di titoli, è inutile spiegare che la comunità europea impone dei vincoli. La gente non ascolta, ormai si ascolta non per comprendere ma per ribattere e rispondere.

 

 

Quali sono, secondo Lei, i giusti equilibri tra aspetti della manifestazione del pensiero e di diritto dell’informazione, con una censura che tuteli il pubblico? A livello di strumenti legislativi, attualmente come si può concretamente effettuare una censura tutelando la libertà di pensiero?

In uno spazio libero, senza controllo, il controllo non può che essere conseguente anziché preventivo. La differenza tra un giornalista professionista ed un privato, è che un giornalista ha i vincoli del suo lavoro. Una tv pubblica o privata deve pagare giornalisti e avere una struttura, il privato singolo può aprire moltissimi profili ed accedere a moltissimi contatti per far girare la propria opinione (come ad esempio il caso del terra-piattismo). Come si fa a bloccare un fenomeno del genere, non solo a livello giuridico ma anche su aspetti tecnici? Possiamo anche sequestrare un cellulare, ma è riacquistabile e la connessione dati gratuita è alla portata di chiunque. Abbiamo una realtà virtuale, l’uomo si sta performando su una realtà sempre più digitale. Oltretutto questo mondo d’innovazione digitale, lo accresciamo noi nel momento in cui diamo i nostri dati personali quando accettiamo di “andare avanti” quando entriamo in una nuova pagina che ci chiede di accettare e comprendere i termini di accordo per i cookies. Sono i nostri dati personali che mandano avanti il mondo di internet. Noi rispondiamo con una bugia all’aver letto e compreso il trattamento dei nostri dati nella navigazione, che da quel momento vengono inviati ad aziende, partner e fornitori che faranno una selezione per la profilazione attenta del nostro comportamento. La prova l’abbiamo quando due persone diverse cercano lo stesso prodotto su Google, compariranno prodotti differenti sulla base delle nostre passate ricerche. Questa è pubblicità mirata, un’asta in tempo reale, non è più un cartellone pubblicitario per strada al quale vi ha accesso chi vi passa di fronte. Sono pubblicità mirate, più del 90% delle ricerche vengono effettuate su Google e più del 90% di quest’utenza si ferma alla prima pagina di Google.

Oggi è più facile fermarsi alla prima risposta, in pochi decidono di compiere una ricerca effettiva per ottenere un bene o una notizia.

Vediamo il caso della bambina di TikTok di Palermo, il cellulare ci da la possibilità di essere tutti uguali ma tocca a noi decidere come usarlo. Revenge porn, ricatti, Deep Fake e i fenomeni social, potenzialmente potrebbe essere un grande danno sociale un telefono. Vediamo anche il caso di telegram, della chat dove a pagamento si richiedeva di torturare minori in diretta pagando in bitcoin, due utenti connessi a questa chat erano minori italiani. Questi sono rischi enormi che corrono adulti o minori, senza alcuna tutela.

Noi compiamo una rivoluzione digitale “consegnata a domicilio”: homo googlis ha preso il posto dell’homo sapiens , l’habitat naturale è quello della rete il primo gesto della persona una volta sveglio è quello di controllare le notifiche che cosa è successo direttamente da letto, si fa istruzione da casa se voglio fare un corso da casa o attività sportiva mi basta scaricare una app mi faccio consegnare la spesa a casa. E’ un dato di fatto oggettivo che oltretutto si muove su quello che è considerato meno del 5 % dello spazio della rete. Poi sono arrivati i social che hanno determinato influenze nella vita, molte persone hanno paura di incontrarsi tramite i social  per i rischi che ci sono. In Giappone il fenomeno dei hikikomori, i quali avevano un contatto con il mondo esterno solo tramite internet, o anche il caso della famiglia italiana isolata che viveva in stato vegetativo attaccati al computer senza pensare ai bisogni fondamentali/elementari, 24 h ore al giorno attaccati al computer. Esiste la disformia da snapchat ragazze che si fanno operare dal chirurgo estetico per avere il volto che somigli il più possibile a quello della foto che ha ricevuto più like. Esiste la fobia di restare senza connessione o di essere escluso da un social il narcisismo si esplica diventando amministratore di un gruppo social su FaceBook. Siamo arrivati all’esacerbazione con l’episodio di Palermo, sembrerebbe ce ne siano stati tanti analoghi di sfide su TikTok (social denunciato da Anonymous come social di spionaggio del governo Cinese) ragazzini che cedono a queste sfide. Come una ragazza americana che è morta per aver preso dei farmaci per sfida, o la bambina di dieci anni che si è impiccata per una sfida social, sembra un caso di morte analogo anche la sfida “spacca cranio” il caso in cui alcuni ragazzi da un apparente scherzo in tre amici devono fare un salto per poi pubblicarlo su TikTok mentre quello al centro è in aria quelli lateralmente gli danno un calcetto per farlo cadere di testa.

 

 

Approfondimenti:

 

Homo Googlis

di

di Gianni Dell’Aiuto (Autore)

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