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Europa, Stati Uniti e Cina alla corsa per l’intelligenza artificiale

(Via Senti chi parla)

Cosa determina la forza di uno stato? Popolazione, armamenti, produzione: molti sono i criteri che sono stati utilizzati in passato. Oggi in mezzo a questi ce n’è un altro, destinato a diventare sempre più rilevante: il controllo sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale (Ai, Artificial intelligence).

Ne hanno parlato i giornalisti Carola Frediani e Simone Pieranni, coordinati da Fabio Chiusi, in una conferenza del Festival Internazionale del giornalismo di Perugia dove si è discusso di come Usa, Ue e Cina si stanno muovendo in questo campo.

Come sempre per avere un’idea del quadro complessivo è utile analizzare gli investimenti che sono in gioco. I dati presentati da Frediani mostrano come la Cina stia puntando molto sullo sviluppo dell’Ai: 12 miliardi di dollari nel 2017, 70 entro il 2020, 150 entro il 2030. Gli Stati Uniti hanno speso nel 2018 solamente 2 miliardi di dollari in ricerca sull’intelligenza artificiale ma possono contare su stanziamenti ricchissimi a livello privato. Amazon e Google hanno speso in questo settore, nel solo 2018, rispettivamente 23 e 21 miliardi di dollari, superando nettamente gli stanziamenti della Cina. In coda rimane l’UE, che ha speso nell’ultimo anno solo 1,8 miliardi di dollari, facendosi distanziare drasticamente dagli altri due colossi.

I soldi però non sono tutto, determinanti sono anche le politiche pubbliche che stabiliscono come vadano spesi. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Frediani fa notare che “non stanno facendo poi così tanto. L’amministrazione Obama ha fatto semplicemente un report sulla situazione dell’Ai. Poi Trump ha fatto un ordine esecutivo dove ha detto alle agenzie federali di investire in formazione, rendere disponibili i dati pubblici per poter fare ricerca e creare degli standard per i sistemi di intelligenza artificiale ma non ha messo i soldi per fare tutto questo. Per ora è il settore privato che sta sopperendo: se si guardano gli investimenti in startup di intelligenza artificiale negli ultimi anni i numeri tra Usa e Cina non sono lontani”.

L’Unione europea è ancora meno preparata alla corsa per l’intelligenza artificiale. “L’Ue ha una strategia espressa in due documenti. Uno è la Comunicazione sull’Ai della Commissione e l’altro è il Piano Coordinato sull’Ai che delinea cosa dovrebbero fare gli Stati”. Il punto che l’UE ha più a cuore è la questione dei diritti: “Ha inquadrato subito la necessità di avere un framework etico su queste cose. Rimane però il problema dei fondi, che costringe l’Unione a rimanere indietro rispetto agli altri. Su questo c’è un report della ricercatrice Charlotte Sticks che analizza cosa sta facendo l’Europa dal punto di vista dell’Ai e dice che è un bene l’enfasi sull’etica, che potrebbe rivelarsi anche un vantaggio competitivo, ma ci sono altre barriere al momento. Una è la mancanza di fondi e di investimenti adeguati. L’altra è il cosiddetto brain draining, vale a dire che non siamo competitivi nel formare, trattenere e far arrivare dei talenti in questo ambito”.

Per quanto riguarda le previsioni di spesa in Europa per l’Ai, “si parla di circa un miliardo e mezzo di euro nel biennio 2018-2020 – e questi sono quelli certi – e poi si parla di voler arrivare a una spesa di 20 miliardi di euro tra pubblico e privato però non si capisce come; sembra quasi un auspicio”.

Simone Pieranni ha illustrato come la situazione in Cina sia completamente diversa da quella in Occidente. Da diversi anni Pechino ha deciso che la Cina deve diventare un paese esportatore di tecnologia e non più solo di merci di bassa qualità. L’accentramento del potere nelle mani di un unico partito e la mancanza di dialettica democratica ha impresso a questo processo uno slancio impensabile in un paese liberale. All’interno di questo piano c’è anche la corsa alle tecnologie legate all’Intelligenza artificiale, che in Cina sta vivendo un momento di accelerazione fortissima.

“La svolta per l’intelligenza artificiale è arrivata nel 2013 grazie a un’applicazione che si chiama WeChat, un’app di messaggistica che dal 2013 permette anche di effettuare pagamenti per qualsiasi cosa. In questo modo la Cina ha scoperto i dati (…). Stiamo parlando di un paese di un miliardo e quattrocento milioni di persone, dove nessuna legge impedisce che questi dati possano essere usati anche dalle autorità di polizia. Questo processo ora è al suo culmine, tutte le aziende si occupano di questo”, spiega Pieranni.

“I prodotti per i quali c’è più interesse sono quelli a livello di automazione industriale (…) e quelli sulla guida autonoma. Poi c’è il riconoscimento facciale, che è proprio quello dove si sta investendo di più. Per esempio nei compound della classe media si entra già con il riconoscimento facciale, con tutte le implicazioni che questo ha. Ci sono applicazioni anche in ambito di modelli predittivi, ad esempio ci sono ospedali che utilizzano algoritmi di AI per quanto riguarda diabete e altre malattie, anche se questi modelli vengono utilizzati pure dalla Polizia, soprattutto nella delicata regione dello Xing Jian”.

Quello che sta succedendo in Cina può far paura. L’Ai sta mettendo nelle mani di un regime autoritario degli strumenti formidabili di controllo sociale e di repressione. Il moderatore della conferenza Fabio Chiusi ha però ricordato come questo genere di problema non sia solo della Cina ma che deve essere affrontato anche nei paesi che si considerano liberali. “La contrapposizione (con la Cina) è meno netta di quello che sembra, dopotutto noi viviamo in una società dove in rete ci sono rating di ogni tipo: case, taxi, ristoranti, libri. Forse verrebbe da dire che il sistema di controllo è lo stesso, e quello cinese è solo più efficiente”.

Fonte: Senti chi parla

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