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Il valore dei dati nell’ecosistema digitale. Intervista a Fabio Pompei

La tutela delle informazioni e gli strumenti di difesa della riservatezza personale nell’era dell’innovazione, potere degli algoritmi, governo di Internet: questi solo alcuni dei temi centrali trattati nel nuovo libro scritto da Alessandro Alongi e Fabio Pompei, intitolato Il valore dei dati nell’ecosistema digitale. Etica e diritti nell’era del web. La prefazione del volume, edito da EditorialeNovanta, è stata curata da Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo.

Alessandro Alongi collabora nell’ambito del modulo di “Diritto della rete” all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e attualmente si occupa di tematiche giuridiche e regolamentari presso un’importante azienda di telecomunicazioni, oltre a svolgere attività di ricerca nell’ambito del Diritto dell’innovazione, del quale è autore di diversi studi e approfondimenti.
Fabio Pompei è ingegnere informatico, dottore di ricerca in Ingegneria elettronica, giornalista e docente in corsi di laurea in università pubbliche e private. Ha ricoperto negli ultimi anni incarichi pubblici; attualmente è responsabile in una azienda di telecomunicazioni.

                   

Diritto Mercato Tecnologia ha contattato l’autore Fabio Pompei per discutere di alcune questioni affrontate nel volume.

Per riprendere il titolo del suo libro, quanto valgono oggi i dati? L’Economist scrisse che “i dati sono il nuovo petrolio”.
È proprio così: oggi, nell’era digitale, i dati (o meglio, la capacita di usare gli stessi al meglio, di combinarli tra di loro, di fornire un’interpretazione sistemica) costituiscono il nuovo petrolio, grazie ad una società che basa sul “data driven” l’intera sua esistenza. Chi frequenta un social network, chi compie acquisti attraverso un sito di e-commerce, fruisce di un servizio di cloud computing o, ancor più semplicemente, attinge informazioni disponibili attraverso un motore di ricerca, offre al web un’ampia mole di dati personali. Da qui si desume l’enorme valore che tali informazioni possono rappresentare per chi, su quei dati, costruisce il proprio business, non senza implicazioni politiche e con numerose criticità. Il governo di tale risorsa, ormai fondamentale per l’ordine democratico stesso, non risiede, però, nelle mani di un potere pubblico, bensì in quelle di giganti privati, che hanno interesse a possedere, controllare e analizzare le informazioni che ci riguardano. Ogni volta che “clicchiamo” qualcosa sul web o effettuiamo una scelta su un dispositivo cediamo alla rete (inconsapevolmente) una informazione su di noi: un’opinione, un’emozione, un desiderio o un sogno. Come in un grande puzzle, la rete colleziona i singoli frammenti e, like dopo like, con “meticolosa pazienza algoritmica”, riesce a comporre la fotografia del nostro essere. È questo, dunque, il prezzo che dobbiamo corrispondere per vivere da cittadini digitali, ed è per questo che il valore dei dati è inestimabile. 

Su Internet il consumatore è il proprietario del dato. Ma quanta consapevolezza c’è di questa realtà, secondo lei?
Non è semplice confrontarsi con le regole del web, soprattutto in una società frenetica e impulsiva come la nostra. La ricerca della Carnegie Mellon di qualche anno fa aiuta bene a comprendere quanto sia difficile coniugare le norme attuali al mondo virtuale. I ricercatori dell’Università americana hanno calcolato quanto tempo un utente dovrebbe spendere per leggere tutte le condizioni contrattuali dei 75 servizi web più utilizzati: sarebbero necessari 76 giorni lavorativi da 8 ore ciascuno. Nessuno di noi può pensare di passare più di due mesi soltanto per leggere, dall’inizio alla fine, tutte le condizioni contrattuali su uno schermo. La soluzione, però, non è la più indicata, ovvero l’accettazione sic et simpliciter di quanto proposto. Uno scroll e via, pronti per utilizzare il servizio. Ma a che prezzo? Come diciamo nel nostro libro “sul web non ci sono benefattori e nulla e gratis”. Il prezzo per accedere ai servizi innovativi, apparentemente gratuiti, sono i nostri dati personali, e quando accediamo ad un social network o acquistiamo qualcosa sul web, sottoscriviamo (senza quasi mai leggere) un contratto in cui ci impegniamo a cedere le nostre informazioni. Purtroppo, pur di accostarci in maniera veloce e senza intermediazioni alle potenzialità che Internet ci offre non prestiamo la nostra attenzione alle “regole” che disciplinano il trattamento delle informazioni. Con tutti i rischi che ciò comporta. 

In Europa si stanno facendo dei passi in avanti per quanto riguarda la protezione dei dati e la tutela della privacy (penso innanzitutto al GDPR). Come giudica questi sforzi? Qual è, secondo lei, il punto sul quale bisognerebbe concentrarsi di più?
L’idea di privacy, con l’avvento di Internet, ha assunto tinte nuove, rispetto ad una costruzione storica che, ormai, non è più attuale e deve essere guardata da un diverso punto di vista. L’ordinamento comunitario è oggi uno dei più avanzati, grazie soprattutto (ma non solo) alle regole sul General Data Protection Regulation. È un passo essenziale per rafforzare i diritti fondamentali dei cittadini nell’era digitale. Ma l’azione delle istituzioni europee volte a “regolare il futuro” non si esauriscono qui, segno di una viva attenzione da parte di Bruxelles a questi temi. Vale la pena ricordare la direttiva a tutela del copyright nel mondo digitale recentemente approvata, le riflessioni attualmente in corso sulla responsabilità delle auto a guida autonoma o, ancora, il grande lavoro in corso da parte del gruppo di esperti sulle nuove regole per la finanza, sempre più robotizzata. Bene, dunque, le riflessioni in tal senso, ma altrettanto importante è accompagnare l’innovazione con riflessione di natura etico-filosofica, così da innestare importanti valutazioni sulla centralità dell’uomo e l’importanza della tutela della libertà individuale, per far sì che nessuno si ritrovi ostaggio della digitalizzazione, la cui alternativa potrebbe essere l’esclusione dalla vita sociale o l’accesso a beni e servizi essenziali.

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