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Valori della dignità umana, empowerment femminile e sostenibilità di genere nella trasformazione digitale. Intervista alla Prof.ssa Marcella Mallen.

Marcella Mallen e’ presidente della Fondazione Prioritalia, presidente ASviS (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile), professore a contratto di “Diversity management e cambiamento organizzativo” presso l’Universita’ Lumsa di Roma, membro del comitato direttivo di Value@Work dell’Istituto di Studi superiore sulla donna (ISSD) dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dell’Osservatorio permanente del Design di ADI.  Manager HR fino al 2010, ha ricoperto incarichi di presidente di Manageritalia Roma e del Centro di Formazione Manageriale del Terziario(CFMT).

Tra le pubblicazioni: Effetto D. Se la leadership e’ al femminile: storie speciali di donne normali (Franco Angeli, Milano, 2011), La figlia di Saadi (Polaris, Faenza, 2016), Diversity management. Genere e generazioni per una sostenibilità resiliente (Armando Editore, 2020).

 

La redazione di DIMT ha intervistato la Prof.ssa Mallen in occasione della seconda edizione della scuola di alta formazione La sfida umana nell’epoca della trasformazione digitale, la quale formerà nuovi professionisti sensibilizzando su tematiche di etica digitale per una trasformazione sociale che tenga conto dei valori della dignità umana, dell’empowerment femminile e della sostenibilità di genere.

 

La Prof.ssa Marcella Mallen

 

 

 

La formazione Prioritalia-Upra per i giovani sulla civiltà digitale “La sfida umana nell’epoca della trasformazione digitale” è una scuola di alta formazione. Qual’è l’obiettivo di questa seconda edizione?

La seconda edizione della Summer School La sfida umana nell’epoca della trasformazione digitale è stata co-progettata dalla Fondazione Prioritalia, espressione della comunità manageriale e da Upra, l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, con l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Il percorso è nato dall’idea ispiratrice che è necessaria un’alleanza tra etica e innovazione per cogliere la sfida della transizione digitale, cioè per imparare a usare in modo appropriato le nuove tecnologie.

Da tempo con Prioritalia siamo convinti che per diffondere i benefici dell’innovazione digitale sia necessario orientarne l’impatto non solo in termini economici ma anche sul piano sociale e culturale, sviluppando una riflessione etica sulla governance della tecnologia e mettendo quest’ultima nelle mani delle persone.

L’incontro con Upra, che si dedica allo studio e alla ricerca nel campo delle scienze umane, della filosofia e dell’etica, è stato fondamentale per dare vita a questa iniziativa.

Dopo il buon esito della prima edizione, nel 2019 e la pausa dovuta alla pandemia nel 2020, quest’anno abbiamo ritrovato la residenzialità, un elemento fondamentale per lo spirito di comunità e di ricerca. L’ambizione e l’obiettivo strategico di questo percorso sono quelli di sensibilizzare i giovani. Ci rivolgiamo a persone di età compresa tra i 18 e i 30 anni, in aula ci sono sia neodiplomati sia dottorandi di ricerca.

La sensibilizzazione vuol permettere ai giovani di elaborare una loro visione, originale e inedita, su questioni che sono sempre più complesse e interdipendenti, stimolandoli a essere protagonisti dei cambiamenti che ci attendono, come persone e come parte di una società in piena trasformazione.

Vogliamo dunque creare un ambiente di apprendimento aperto e stimolante rivendicando, in senso ampio, il nostro diritto e la nostra possibilità a restare umani.

La faculty dei docenti è molto eterogenea: per mettere insieme esperienze e approcci diversi abbiamo invitato esperti di etica e filosofia, giuristi, economisti, manager, imprenditori, artisti. Con la Scuola vorremmo contribuire a elaborare le nuove infrastrutture cognitive che servono per cogliere appieno i frutti della transizione digitale che stiamo vivendo.

 

 

Insistendo sul tema dell’etica digitale: lo sviluppo di un pensiero critico, di una scala valoriale e di un senso di responsabilità nella trasformazione digitale, quanto e come influirebbe sul processo di miglioramento della qualità di vita tramite l’evoluzione tecnologica? Come le scienze umane possono aiutare ad orientare l’approccio della tecnologia nella società? Qual è il ruolo dell’etica in questo processo evolutivo?

Per mettere a fuoco il tema partirei da un recente volume scritto da due intellettuali tedeschi, Julian Nida-Rümelin e Nathalie Weidenfeld, dal titolo Umanesimo digitale: Un’etica per l’epoca dell’Intelligenza Artificiale. Il testo offre una lettura critica, in parte contrapposta all’attuale sistema dominante incentrato sulla tecnologia. Ci ricorda che lo scopo della tecnologia è quello di migliorare la vita delle persone senza manipolarla, che la tecnologia deve essere sempre impiegata a servizio dell’uomo. Che gli algoritmi oggi sono usati in qualsiasi ambito, incidendo sulle necessità primarie di ogni persona e dunque sulla sfera dei diritti umani fondamentali.

Possiamo dire che oggi i tecnologi, di fatto, contribuiscono a determinare il tipo di mondo in cui si vivrà domani. Ci dobbiamo domandare se questi tecnologi, oggi, ricevono un’adeguata formazione in materia di diritti umani. Se sono liberi dalla logica del pregiudizio, degli stereotipi, se sono educati al pensiero critico e al pensiero sostenibile nel momento in cui le loro decisioni hanno implicazioni dirette sulle vite delle persone e della società.

Ci sono profondi dubbi in proposito e per questo è importante formare persone più consapevoli e responsabili. Dobbiamo superare la distinzione, talvolta gerarchica, tra saperi scientifici e saperi umanistici. Dobbiamo tornare – tornando al titolo del libro – a costruire un nuovo umanesimo digitale aperto alle diversità di genere, di età e di genti. Per riuscirci occorre adeguare l’attuale sistema di formazione scolastica e universitaria, anche favorendo l’empowerment femminile, promuovendo l’accesso ai percorsi formativi nelle materie tecnologiche per le donne, che oggi sono una minoranza tra i lavoratori nel campo delle tecnologie, in particolare sull’intelligenza artificiale.

 

 

Parlando di sfide educative, quanto è importante formare specialisti di AI favorendo l’empowerment femminile che, come da Lei anticipato, è sottosviluppato in questo settore? E quanto è rilevante integrare uno sguardo sul genere nel percorso di formazione di questi tecnici e professionisti?

La vera chiave della trasformazione digitale sta proprio nel cambiamento culturale ed è quindi imprescindibile allargare lo sguardo agli aspetti valoriali, culturali e comportamentali, perché sono questi che determineranno i nuovi modi di relazione e condivisione nello scenario digitale.

Sviluppare una nuova consapevolezza e una forte etica professionale è vitale per tutti quelli che saranno a contatto con queste tecnologie. I questi professionisti non ricevono un’adeguata formazione in materia di diritti umani e questo è paradossale se pensiamo che attraverso alcune sigle di codice, ad esempio, potrebbero interpretare e potenzialmente violare i fondamentali dei diritti umani senza nemmeno esserne consapevoli. Per questo coltivare il pensiero critico oltre quello matematico, oggi, è fondamentale. Pensiamo per esempio allo sviluppo sostenibile che ha l’obiettivo di rispondere alle necessità del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie. Ecco, non dovrebbero coesistere ricerca e sviluppo nel campo della trasformazione digitale, che non considerino la sostenibilità come obiettivo irrinunciabile intesa anche come sostenibilità di genere.

L’empowerment femminile è importante proprio per evitare di cadere negli stereotipi, nel sessismo e quindi di interpretare, rafforzare e reiterare gli stessi pregiudizi che oggi hanno portato ad una sottorappresentazione della presenza femminile nel mondo del lavoro.

Favorire l’accessibilità a questi percorsi professionali per le giovani donne significa rendersi conto che il futuro del lavoro non riguarderà solamente le così dette hard skill e le competenze tecniche ma anche se sempre di più le nuove abilità, lavorative ed olistiche, di cui le donne sono particolarmente portatrici.

Servono mentalità aperte, con una flessibilità ed un background nel mondo delle scienze umane, in cui tra l’altro le donne raggiungono obiettivi eccellenti. Quello che si è compreso è che l’innovazione tecnologica ha bisogno di persone con esperienze anche nelle scienze umane e sociali, capaci di generare idee e raccontare storie riguardo anche a rischi e occasioni che attualmente non sono focalizzabili. Una rivalutazione dunque degli studi umanistici, non soltanto di quelli scientifici e tecnologici.

 

 

Approfondendo gli aspetti inerenti ai rischi e alle potenzialità che l’Intelligenza Artificiale ha per sua natura, possiamo già oggi riconoscere una casistica di esempi in cui algoritmi, scritti dalla mano dell’uomo, hanno espresso stereotipi e pregiudizi razziali e di genere rintracciabili nella nostra società. Andando a sottolineare il potenziale, delle AI, di reiterare e ampliare la distanza sociale attualmente esistente. Come accennava, l’AI è uno strumento che può ledere i diritti individuali delle persone ma che può anche diminuire i divari sociali. C’è dunque una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni di professionisti. Come saranno approfondite le implicazioni di un uso etico delle AI e delle nuove tecnologie all’interno del progetto di formazione di Prioritalia e Upra?

Abbiamo dedicato la prima giornata della scuola a temi di etica, di diritti nell’era degli algoritmi, di inclusione digitale e prospettive di genere. Abbiamo avuto una lezione aperta sull’informazione, conoscenza e libertà nell’epoca della rete. Il capitolo che riguarda l’etica degli algoritmi e delle AI è quanto mai ampio e oggi ancora tutto da definire e controverso. E’ importante contribuire nello sviluppo di una consapevolezza su questi temi, perché l’AI, nelle sue varie forme, sta diventando una sorta di mediatore, sempre più diffuso ed invisibile, per le nostre decisioni ed attività. Uno dei principali nodi da sciogliere riguarda, ad esempio, la sempre maggiore sostituzione dell’attività umana con l’intelligenza artificiale. Sono tutti aspetti, regole e prospettive che l’essere umano deve prima definire bene e poi trasferire alle intelligenze artificiali, macchine, robot e algoritmi. I non esperti di informatica potrebbero pensare che un algoritmo è una procedura automatica e che dunque non potrebbe essere di parte e non neutrale. Così non è perché sono scritti da esseri umani e dunque il rischio è che razzismo, sessismo e qualunque forma di discriminazione proveniente da un comportamento non etico, vengano incorporati dagli algoritmi.

Si è scoperto per esempio che software di un certo tipo hanno difficoltà a riconoscere le persone con la pelle di colore più scuro perché l’algoritmo ha costruito, da una serie di immagini scelte appunto da tecnologi, un modello del mondo costruito su quelle immagini, di persone dalla pelle bianca. Quindi se un sistema è addestrato su foto di persone di pelle bianca, non è in grado di riconoscere correttamente i volti di altre etnie. Se non viene governato, l’algoritmo può produrre effetti distorti. Questo è un esempio del contributo che vorremo dare con la scuola. L’aspetto interessante del percorso appena iniziato è che i giovani che hanno risposto e superato il bando, provenienti da tutta Italia, hanno una formazione culturale estremamente varia. Sono laureati in statistica, giurisprudenza, ma anche in lettere moderne, in psicologia, in economia, filosofia, politiche sociali. Hanno tutti l’esigenza di elaborare una visione nuova e originale su questo fenomeno complesso che permeerà le nostre vite nei prossimi decenni. Dobbiamo affrontare un grande progresso tecnologico e dobbiamo essere in grado di comprendere a fondo tutte le sue implicazioni etiche, giuridiche e sociali, per meglio governarlo e per meglio valorizzarlo sempre a servizio dell’uomo e rispettando i diritti e la dignità umana.

 

 

 

 

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