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“Web, social ed etica. Dove non arriva la privacy: come creare una cultura della riservatezza”

In un momento in cui i dati e le informazioni personali diventano il nuovo petrolio e, parallelamente, la cultura globale ha fatto propria l’idea di un’esistenza virtuale di pari dignità di quella reale, mentre i cittadini di ogni latitudine creano una narrazione continua del sè seminando dati sensibili attraverso i social media, che a loro volta diventano motore per una serie di nuove piaghe sociali, come l’epidemia di suicidi tra adolescenti che non vedono rispettata la loro riservatezza, o il cyberbullismo, è necessario trovare alcune risposte alle domande di una contemporaneità che quasi sfugge al presente e che già slitta nelle sue conseguenze.

A tentare di fornire risposte a questi importanti interrogativi il libro “Web, social ed etica. Dove non arriva la privacy, come creare una cultura della riservatezza”. (Edizioni ETS) che si propone quale strumento di innovazione culturale e sociale, facendo luce sugli aspetti normativi da una parte e sugli aspetti deontologici dall’altra.

A pochi giorni dalla pubblicazione, abbiamo chiesto ad  Eugenia Romanelli, giornalista, scrittrice, docente universitaria e curatrice del volume, di delineare un quadro dei nuovi paradigmi proposti per una cultura della riservetezza. 

Il 6 dicembre uscirà “Web, social ed etica. Dove non arriva la privacy: come creare una cultura della riservatezza” che ha curato per le Edizioni ETS. Come creare una cultura delle riservatezza?

E’ impresa complessa ma urgente. Occorre trovare una via per orientare i navigatori della rete, ad oggi senza bussola in un cielo senza stelle.

A rispondere a questa domanda c’è appunto questo libro, cui auguro di vibrare, insieme al coro di voci prestigiose che raccoglie, come primo campanello d’allarme per un’allerta sociale che ci renda compatti, ognuno nei suoi panni, nel fare muro contro l’ignoranza e la superficialità, unendoci invece per creare cultura, fare formazione e informazione, alfabetizzando chi naviga senza la patente della consapevolezza.

Al termine della lettura spero che sia un po’ più chiaro a tutti che occorre diventare più consapevoli sull’uso che facciamo della rete e dei social, meglio informati sul fatto che non controlliamo ciò che crediamo di controllare e che i rischi a cui ci esponiamo hanno uno spessore molto maggiore di quanto forse crediamo.

Lo strumento simbolo di libertà e democrazia che ha connesso il mondo oggi si è evoluto e, pur conservando quelle qualità che lo hanno reso paladino degli ultimi, adesso contiene in sé funzioni capaci di travolgere e distruggere la vita di un singolo come quella di un intero paese.

Il volume assume il punto di vista della psicologia forense per analizzare nuove piaghe sociali quali la serie di suicidi tra gli adolescenti e il cyberbullismo 

In Italia tre adolescenti su dieci sono vittime di bullismo e l’8,5% è finito preda dei cosiddetti cyberbulli. E i giovani sono sempre più giovani.

Né i ragazzi, né i loro genitori conoscono o hanno accesso alle norme di condotta sui social network. In Italia si stanno facendo passi importanti, come dimostra il recente studio Global Advisor di Ipsos, condotto in 28 paesi che rileva come la consapevolezza del cyberbullismo nel nostro paese è passata dal 57% del 2011 al 91% del 2017. Ma non basta.

Occorre creare una cultura dal basso che sensibilizzi e responsabilizzi ragazzi, cittadini ma anche professionisti e tutti gli operatori culturali su quella che sta diventando una vera e propria piaga sociale. La psicologia forense dà uno spaccato sufficientemente laico per denunciare la superficialità multilivello con cui si trattano i dati personali delle persone.

Come orientarsi nella giungla del web e dei social network?

Occorre stamparsi in testa un concetto molto semplice: la presa in carico della responsabilità di ogni atto digitale. Internet può diventare, se non usato in maniera opportuna, un pericolo serio per la persona, per il suo futuro, per la sua reputazione, e anche per il suo equilibrio psicologico. Le informazioni che si trovano sul web di ognuno di noi debbono essere quindi monitorate, gestite con consapevolezza.

Le azioni aggressive in rete sono reali e non virtuali, così come lo sono le conseguenze prodotte sulle persone. Stiamo parlando di questioni di sicurezza, che va dal furto di dati personali alle molestie via web (hate speech, cyberbullismo, sexting, etc) ma anche di tecno-dipendenze (socialholics). Genitori, scuola e società devono diventare guide e modelli per scrivere un nuovo paradigma della rete.

Prefazione di Massimo Bray, Direttore Generale Treccani.

Saggi di:

  • Davide Mula (Funzionario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni)
  • Marco Lagazzi (Psichiatra forense, psicoterapeuta. Referente del Servizio di Psichiatria Forense del MiCAL, Milano. Membro del Consiglio Direttivo AICPF)
  • Giovanni B. Camerini (Neuropsichiatra infantile e psichiatra)
  • Silvia Spanò (Psicoterapeuta, è consulente psicoforense e perito al Tribunale di Marsala e di Trapani)
  • Adriana Mazzucchelli (Dottore di ricerca presso l’Università La Sapienza di Roma, membro del gruppo di Psicologia Forense dell’Ordine degli Psicologi del Lazio)
  • Maria Chiara Parmiggiani (Avvocato penalista, dottore di ricerca in Diritto Penale presso l’Università di Parma)
  • Mario Morcellini (Commissario Agcom e Consigliere alla Comunicazione Sapienza Università di Roma)
  • Roberto Acciai (Dirige il Dipartimento Libertà di manifestazione del pensiero e cyberbullismo del Garante per la protezione dei dati personali)
  • Rory Cappelli (Giornalista di cronaca nera a La Repubblica e membro di Online News Association)
  • Roberto Mazzoni (Giornalista, ospite speciale degli Stati Uniti per occuparsi di cyber security)
  • Vincenzo Vita (Giornalista)

Edizioni ETS – Anno 2018

 

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