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Abuso del diritto altrui. Una figura formale di qualificazione giuridica

Abuso del diritto altrui.

Una figura formale di qualificazione giuridica.

A cura di Domenico Fiordalisi

Giappichelli Editore

 

 

Recensione Not. Vittorio Occorsio

 

Il lavoro di Domenico Fiordalisi «Abuso del diritto altrui. Una figura formale di qualificazione giuridica» si incammina in un percorso che parte dal concetto di iniuria, ossia dal carattere antigiuridico di una condotta, criticando così quell’orientamento dottrinario e giurisprudenziale che considera illecito solo ciò che reca danno, con esclusione di quello che è mero pericolo per la violazione del diritto altrui prima dell’insorgere di un danno; questo è in linea con le conclusioni raggiunte già in altro lavoro (Una clausola generale: pericolo di danno grave alla salute. Giappichelli 2016).

L’A. ripercorre in quest’opera in senso critico l’iter argomentativo della dottrina tradizionale, che individua il fondamento dell’abuso del diritto nello sviamento dell’interesse del soggetto agente. Il punto di partenza della ricostruzione logico-formale del fenomeno dell’abuso è, al contrario, il diritto dell’altro.

Ed è sul concetto di dovere giuridico di tutelare il diritto altrui e sugli studi della seconda metà del novecento sull’interesse legittimo nel diritto privato (soprattutto L. Bigliazzi-Geri) che l’A. svolge una limpida analisi della struttura logico formale dell’abuso, grazie alle forme della fattispecie parziale costruita dalla norma attributiva del diritto esercitato e della fattispecie completa, comprensiva delle particolari modalità scelte dal soggetto agente, che in tal modo mette in pericolo o lede i diritti altrui.

Vengono messi a fuoco alcuni aspetti della struttura di tale fattispecie, secondo schemi formali delineati grazie agli insegnamenti di Angelo Falzea, sulla rilevanza della fattispecie parziale o completa, e di Marcello Gallo, sulla norma-reale costituita da tutte le disposizioni normative che entrano in gioco nella fattispecie concreta.

L’opera risulta rigorosa e convincente per la ricostruzione di una figura formale di qualificazione giuridica dell’abuso del diritto altrui, sulla base delle indimenticabili riflessioni logico-formali di Angelo Ermanno Cammarata.

L’abuso risulta fondato, quindi, sulla lesione o messa in pericolo del diritto di altri, per le scelte di modalità di esercizio delle facoltà o dei poteri del proprio diritto, liberamente volute nell’ambito di un vero e proprio rapporto giuridico, che si crea tra soggetto agente e terzo.

L’A. giunge così a cogliere alcuni profili di sintesi di sicuro interesse ed utilità:

  • la centralità della situazione giuridica del «dovere», che ha la propria fonte principale negli artt. 2 e 3 Cost., sul canone della solidarietà e sul principio di uguaglianza.
  • il necessario carattere di determinatezza dell’azione realizzatrice del dovere giuridico, inteso in senso stretto, secondo una concezione imperativa della norma che, facendo leva sulla volontà dell’agente, opera mediante qualificazioni giuridiche e sanzioni in caso di inosservanza del dovere di condotta, al di fuori delle norme c.d. di garanzia di dati interessi da tutelare.

L’A. individua così un carattere fondamentale del dovere, quale “limite esterno” del diritto esercitato (preso in esame al momento della sua attribuzione da parte della norma e del titolo), derivante dalla iniziale genericità del contenuto del dovere stesso.

E’, infatti, necessario un processo di specificazione del valore del diritto altrui nel rapporto concreto con i singoli atti di esercizio del diritto.

Vi è così una determinazione progressiva dell’azione realizzatrice del dovere medesimo, stante l’indispensabile carattere sufficientemente determinato del dovere, affinché assuma un contenuto precettivo effettivo, in grado di conformare l’azione dell’esercente il diritto.

La validità degli atti posti in essere, con la propria qualificazione logico-formale, (salvo specifiche sanzioni di invalidità espresse da singole norme) rimane giuridicamente integra nell’ambito della “fattispecie parziale”, all’interno della “fattispecie completa”, volta alla qualificazione giuridica di abuso del diritto.

In quest’ordine di idee, l’A. mette in luce l’utilità e l’importanza del carattere oggettivo del concetto di causa degli atti giuridici e dell’interesse tipico da essi perseguito, mettendo a fuoco, secondo la dottrina civilistica (F. Carnelutti) e penalistica (F. Bricola), i profili funzionali oggettivi della condotta dell’agente, in modo da applicare all’abuso lo stesso concetto di finalità oggettiva degli atti, che emerge dalla lettura più appropriata dell’art. 833 cod. civ. sugli atti emulativi (C.M. Bianca).

L’Autore, quindi, mantenendosi su un piano di stretta osservanza delle plurime norme di diritto positivo, costruisce la figura generale di qualificazione giuridica dell’abuso quale genotipo, che riceve distinte applicazioni con norme di disciplina in più fenotipi, nei vari settori dell’ordinamento.

Si delinea così un istituto più chiaro per il giudice, che non si conclude in un mero contrasto con la ratio attributiva del diritto o nello «sviamento dall’interesse del soggetto agente», come ritenuto da molti. L’A afferma, in modo persuasivo, quindi che l’abuso consiste nella violazione di doveri giuridici nell’ambito di un rapporto giuridico concreto.

In quest’ordine di idee, si coglie la consonanza di concetti espressi in epigrafe in una frase emblematica di S. Veca, filosofo del nostro tempo, che mette in risalto il vero senso del «limite alla libertà, secondo uno schema di reciprocità», in una linea di pensiero che ha origini lontane nella nostra cultura umanistica e giuridica, espressa già da Terenzio e Cicerone e letta opportunamente dall’A. nell’ambito del concetto di «rapporto giuridico, che può essere instaurato, di volta in volta, nella vita di ogni diritto soggettivo».

La riflessione giuridica di Fiordalisi fa uscire, quindi, l’abuso del diritto dall’ambito incerto dei “valori sociali”, privi di puntuali riferimenti normativi, per il quale erano state espresse le maggiori critiche all’istituto dell’abuso, e induce alla ricerca di solide basi di ragionamento in precise norme di diritto positivo, soprattutto in quelle dettate per la tutela della dignità e della libertà della persona umana, intrise di “giuridicità” già sul piano ontologico, prima che su quello funzionale.

E’ una qualificazione formale che può essere usata in senso proprio nei diritti soggettivi diversi dai c.d. diritti-funzione, perché in questi ultimi il dovere di perseguire un dato scopo si pone all’interno della struttura del diritto soggettivo, sicché la relativa violazione incide sulla stessa struttura del diritto, facendolo venir meno.

La lettura dell’A., allargata a norme e istituti penalistici direttamente collegati con l’idea che storicamente si è formata sull’abuso, permette, infine, di mettere a fuoco la distinzione tra interesse-contenutistico di una fattispecie (come quello sotteso ad un dovere imposto da una norma) rispetto all’interesse di fatto che, pur potendo assumere rilievo come elemento della fattispecie completa considerata, non costituisce l’oggetto di tutela che ispira la norma e tuttavia entra in gioco, perché attiene alle modalità oggettive o soggettive in grado di far mutare significato ad una condotta. L’opera approfondisce il tema dell’abuso anche sulla base di istituti del codice penale come la volontaria strumentalizzazione delle cause di non imputabilità (art. 87 cod. pen.) e specifica i risvolti della qualificazione dell’abuso del diritto sulle scriminanti del reato.

Vi è in tal senso una conferma di tale rilevanza nella c.d. depenalizzazione dell’abuso del diritto tributario, operata dal D.lgs. 5 agosto 2015 n. 128, che prevede in modo espresso l’irrilevanza penale dell’abuso del diritto.

Ne risulta così confermata la tesi sostenuta dall’A. in altro lavoro (Abuso di facoltà legittime ed impedibilità degli atti antigiuridici. Giappichelli 2008) sulla rilevanza penale dell’abuso del diritto sulle scriminanti del reato, soprattutto con riguardo al consenso dell’avente diritto e all’esercizio del diritto, di cui agli artt. 50 e 51 cod. pen.

Viene quindi prospettata dall’A. una vera e propria “concezione normativa dell’abuso del diritto altrui”, rigorosamente radicata nelle norme di tutela dei diritti individuali dalle azioni pericolose o lesive poste in essere da chi esercita un diritto.

Infatti, una volta esaurito il necessario processo di specificazione concreta del valore del diritto dell’altro e di determinazione dell’azione realizzatrice del dovere, quest’ultimo assume appunto un contenuto determinato, che permette di conformare le modalità dell’esercizio del diritto, dopo il posizionamento dell’interesse specifico altrui all’interno della fattispecie complessiva, governata dalla norma-reale.

Ne deriva, quindi, un’indicazione concreta per il giudice, il quale deve confrontare tale limite (incentrato sull’iniuria), cioè sul dovere di solidarietà esterno al diritto esercitato, con la “causa oggettiva dell’attività giuridica” compiuta, cioè con la funzione svolta in concreto dall’atto o dagli atti di esercizio del diritto posti in essere, per cogliere l’eventuale dissonanza di tale dovere con la funzione svolta oggettivamente dagli atti posti in essere.

In definitiva il libro è un’opera pregevole, che merita particolare considerazione per il rigore metodologico e l’originalità del percorso seguito, in modo coerente, fino alle conclusioni.

 

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