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L’usurpazione del concept televisivo

di Ramon Romano Cassazione Civile, I Sezione, 28 Ottobre 2015, n. 22010 – Rordorf Presidente – Genovese Relatore – Sorrentino P.M. – Jovine (Avv. Todaro) v. Massa (Avv. Gualtieri), RTI S.P.A. (Avv. Izzo) v. Kubla Khan S.R.L. . Cassa con rinvio App. Roma, 12 Aprile 2010. Proprietà intellettuale – Usurpazione – Inadempimento – Forme del plagio – Atipicità – Format – (LDA, artt. 1, 2, 12; C.c., artt. 1218, 2043). Massima: “Le condotte dell’illecito usurpativo non sono tipizzabili e possono giungere finanche al plagio di un’opera affidata, dai suoi autori, solo ad appunti o a tracce, purché se ne verifichi l’imitazione servile di quanto creato dall’autore con l’opera suscettibile di protezione”.   ———————————– REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RORDORF Renato – Presidente – Dott. NAPPI Aniello – Consigliere – Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere – Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere – Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere – ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 14860-2011 proposto da: J.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINEROLO 22, presso l’avvocato TODARO ANTONIOFRANCO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso; – ricorrente – contro – M.U., elettivamente domiciliato in ROMA, Via PIETRO TACCHINI 32, presso l’avvocato GUALTIERI FIAMMETTA, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso; – RETI TELEVISIVE ITALIANE S.P.A., già MEDIATRADE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 60, presso l’avvocato PREVITI STEFANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato IZZO ALESSANDRO, giusta procura a margine del controricorso; – controricorrenti – contro KUBLA KHAN S.R.L.; – intimata – avverso la sentenza n. 1526/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/04/2010; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/10/2015 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE; udito, per il ricorrente, l’Avvocato TODARO ANTONIOFRANCO (deposita n. 2 cartoline verdi) che si riporta e chiede l’accoglimento del ricorso; udito, per la controricorrente R.T.I., l’Avvocato PREVITI CARLA, con delega, che si riporta; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sorrentino Federico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte d’appello di Roma ha respinto, per quello che ancora interessa in questa sede, il gravame principale proposto dal signor J.F., avverso la sentenza del Tribunale di Roma che – a sua volta – ha rigettato le sue domande, proposte contro il signor M.U., la srl Kubla Khan e la S.p.A. Mediatrade (ora Reti Televisive Italiane SpA), in base ai fatti allegati, consistenti nell’affermazione secondo cui – essendo egli l’autore del “soggetto” elaborato per una serie cinetelevisiva, intitolata Arrivi e Partenze (Stazione Termini), depositato presso l’Ufficio della proprietà letteraria -, aveva esposto che i convenuti si erano resi autori di fatti usurpativi del “soggetto” protetto ed altresì inadempienti rispetto al contratto per il suo sviluppo dettagliato, a cura propria, patendone i conseguenti danni economici e morali.
  2. Secondo la Corte territoriale, pur essendovi stata – in prime cure – l’allegazione di fatti usurpativi (peraltro: a) incompleti, in quanto erano mancate le deduzioni in ordine al deposito, presso l’Ufficio della proprietà letteraria, del “soggetto” plagiante, identico al proprio, da parte di uno dei convenuti; b) non tempestivi, in quanto dedotti solo in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c. e L. n. 633 del 1941, art. 161), una tale domanda non sarebbe “stata ritualmente proposta in primo grado” e avrebbe incontrato le preclusioni stabilite nella novella processuale del 1990.

Sicchè non vi sarebbe stata alcuna omissione di pronuncia.

  1. Inoltre, non sarebbe stata formulata neppure la domanda relativa all’inadempimento del contratto in data 28 giugno 2001, atteso che, attraverso il richiamo alle conclusioni rassegnate alle udienze precedenti, queste avrebbero riguardato l’inadempimento del contratto del 15 dicembre 2000. Perciò nessuna omissione avrebbe compiuto il giudice di prime cure.
  2. Quanto alla doglianza relativa al quarto motivo di appello, in disparte la mancata contestazione in ordine alla mancata accettazione della proposta di collaborazione nello sviluppo del “soggetto” da parte della Mediatrade o della Rai, non risulterebbe in atti la produzione del richiamato contratto in data 26 aprile 2001.
  3. Avverso tale decisione il signor J. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, ma articolato in tre diversi profili di censura, contro cui resistono M.U. e la Reti Televisive Italiane SpA (già Mediatrade), con controricorso.
  4. La sola RTI spa ha depositato memoria, ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

  1. Con il primo profilo dell’unico motivo di ricorso (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c. , n. 5) il ricorrente denuncia l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello in ordine alla domanda di usurpazione della propria opera (il “soggetto” depositato presso l’Ufficio della Proprietà letteraria) da parte del signor M. e alla conseguente domanda di risarcimento del danno, avendone dedotto causa petendi e petitum.

1.1. Secondo il ricorrente, il giudice distrettuale, avrebbe persino sovvertito quello che era stato un dato pacifico per il giudice di primo grado: l’essere egli l’autore dell’opera. Al contrario, la Corte territoriale, avrebbe asserito che l’appellante nulla avrebbe dedotto in ordine al deposito del soggetto presso l’Ufficio della proprietà letteraria di un soggetto identico al proprio e alla condotta usurpativa, essendosi limitato a evidenziare la mancata cessione dei propri diritti di sfruttamento economico. 1.2. Nella specie, invece, l’appellante avrebbe chiesto, nel corpo della citazione introduttiva e nella memoria ex art. 183 c.p.c. , comma 5, pur senza essere a conoscenza della condotta del M. (il quale aveva depositato la sua opera presso l’Ufficio della proprietà letteraria il 16 novembre 2000, ma di essa si sarebbe avuta certezza solo all’esito del procedimento penale), proprio l’accertamento della condotta usurpativa. Non sarebbe stato possibile, pertanto, allegare quel fatto specifico che la Corte territoriale ha richiesto, perchè fonte solo di un sospetto. 1.3. Senza dire che giammai egli avrebbe riferito la domanda relativa all’inadempimento del contratto a quello del 28 giugno 2001, essendosi riferito solo a quello del 15 dicembre 2000.

  1. Con il secondo profilo del ricorso il ricorrente lamenta la non corrispondenza al vero dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata e secondo la quale una copia del contratto intercorso tra la soc. Mediatrade e Kubla Khan, datato 26 aprile 2001, non sarebbe stato prodotto in atti, onde l’impossibilità di verificare la fondatezza delle affermazioni fatte dall’appellante.

2.1. In realtà, a dire del ricorrente, tale contratto sarebbe stato depositato (come doc. n. 7) dalla società Mediatrade SpA/Rti SpA in data 30 gennaio 2002, in allegato alla comparsa di costituzione e risposta. 2.2. Poichè tale contratto costituirebbe la prova dell’approvazione/accettazione del contratto del 15 dicembre 2000, da una tale omissione ne sarebbe disceso l’illegittimo mancato accoglimento della domanda di inadempimento contrattuale proposta e della conseguente disattenzione della domanda risarcitoria. 3.Con il terzo profilo si lamenta la omessa motivazione ed esame delle richieste istruttorie formulate, unitamente al mancato esame del documento sopra indicato, in quanto idonei a determinare l’accoglimento delle domande risarcitorie, sia quella connessa al fatto usurpativo, sia quella conseguente all’inadempimento contrattuale.

  1. Il controricorrente M. (contumace in appello) eccepisce, in questa sede, con il controricorso, che l’atto d’appello non sarebbe stato ritualmente notificato al suo difensore domiciliatario di primo grado (avv. Luciano Sovena), che si assume cancellato frattanto dall’albo mentre il codifensore (l’avv. Elena Ferrari), non risulterebbe neppure indicata nella richiesta di notifica e nella relativa relata. Deduce, perciò, che la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato nei suoi confronti.
  2. In disparte la fondatezza della censura (che rinvia ad accertamenti di fatto non consentiti in questa sede – come quello relativo alla effettiva cancellazione dell’avv. Sovena dall’albo professionale; accertamento problematico in quanto, dalla relata allegata all’appello, l’atto risulta notificato ad un collega dello studio professionale – e neppure documentati dal controricorrente), il controricorso è, tuttavia, inammissibile, mancando di una sia pur minima esposizione delle vicende processuali nelle quali collocare una doglianza meritevole di essere proposta con ricorso incidentale.
  3. Il primo profilo dell’unico motivo di ricorso è fondato e merita accoglimento.

6.1. Anzitutto esso è ammissibile in quanto, ad onta della contraria eccezione formulata dalla controricorrente Mediatrade, benchè formulato con riferimento all’art. 360 c.p.c. , n. 5, la censura evidenzia un error in procedendo del primo giudice, non corretto dal secondo, e come tale implicante la possibilità per il giudice di legittimità di accedere direttamente agli atti del giudizio di merito e quindi di controllarne il contenuto. 6.2. La doglianza, infatti, espressa come vizio di motivazione, lamenta un errore nell’interpretazione e nella qualificazione della domanda giudiziale, con una sorta di suo travisamento da parte dei giudici della fase di merito, per non aver ben compreso la portata dei fatti posti a base di essa (causa petendi) e lo stesso petitum proposto dall’attore. 6.3. Ebbene, dalla consultazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, è evidente che l’attore, aveva formulato, oltre ad una domanda di inadempimento contrattuale (a p. 12 dell’atto), anche una ulteriore richiesta risarcitoria, per i danni (patrimoniali e non) subiti, “per le causali di cui all’atto di citazione introduttivo” (a p. 11 dello stesso testo) e, quindi, tra queste, anche per i fatti allegati nel corpo della citazione (ossia la presentazione del soggetto “come opera dello stesso M.U.” (p. 2, cap. 6), la conclamata “usurpazione della paternità dell’opera”, presente “anche in caso di variazione e nuove stesure del testo plagiario rispetto a quello plagiato” (p. 2 cap. 7), opera di cui “rivendica la titolarità economica e morale” (p. 2, cap. 8)) e della memoria ex art. 183 c.p.c. , comma 5, (ove è espressamente affermato che il “soggetto letterario “Arrivi e Partenze” del Sig. I., (è stato) “usurpato” dal convenuto M.” (p. 1, cap. 1) e che “quanto appena rilevato evidenzia (…) una grave lesione sia del diritto morale d’autore, sia dei diritti patrimoniali al medesimo spettanti” (p. 2, cap. 3). Sicchè v’è più d’un elemento per dire che la domanda risarcitoria, avanzata a p. 11 della citazione introduttiva, era una vera e propria azione di accertamento del plagio ovvero dell’usurpazione dell’opera dall’attore depositata da costui presso l’Ufficio della proprietà letteraria. 6.4. Infatti, questa Corte ha più volte affermato il principio di diritto secondo cui “Il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale” (da ultima, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23794 del 2011). 6.5. Nè può dirsi (come pure ha fatto la Corte territoriale) che una tale azione sia subordinata alla necessaria deduzione del deposito di un soggetto identico presso l’Ufficio della proprietà letteraria, atteso che: in tema di proprietà intellettuale, le condotte dell’illecito usurpativo non sono tipizzabili e possono essere diverse e tra loro assai varie, fino a giungere all’estremo, già verificato, della condotta plagiaria di un’opera ancora non pubblicata (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18037 del 2012) e, quindi, per logica coerenza, finanche al plagio di un’opera registrata (come nella specie, il concept di un’opera cinetelevisiva) da parte di altra similare affidata, dai suoi autori, solo ad appunti o a tracce, purchè se ne verifichi l’imitazione servile di quanto creato dall’autore con l’opera suscettibile di protezione. 6.6. D’altro canto, nella specie, l’opera che si assume come usurpata consisterebbe esclusivamente in un c.d. concept, ossia in una presentazione esterna di un’idea, da sviluppare in un serial cinetelevisivo, avente come tratto (chiaramente indicato anche nel titolo) quello di essere fisicamente ambientata nella principale e nota Stazione ferroviaria di Roma Termini, luogo di arrivi e partenze per eccellenza, la cui valutazione preliminare (rispetto al plagio) della sua creatività e novità (Cass. Sez. 1, Sentenze nn. 24594 del 2005 e 25173 del 2011) è compito del giudice di merito, le cui valutazioni sono insindacabili in questa sede (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20925 del 2005), ove sufficientemente motivate.

  1. Il secondo profilo si censura è inammissibile sotto due diversi profili.

7.1. Da un lato, perchè viene prospettato più che un vizio di motivazione, un vizio revocatorio, dal momento che il ricorrente sostiene non essere vero che non fosse in atti un contratto (quello datato 26 aprile 2001) dal quale pretende desumere la prova dell’approvazione di Mediatrade alla produzione dello sceneggiato televisivo, cui era subordinata l’efficacia del precedente contratto con il M. e la società Kubla Khan di cui l’attore ha lamentato l’inadempimento; dall’altro lato in quanto la Corte d’appello ha anche aggiunto che, viceversa, la mancata approvazione dell’operazione da parte di Mediatrade era circostanza non contestata in primo grado e, quindi, pacifica, e su tale ulteriore motivazione il ricorrente nulla dice.

  1. L’ultima doglianza (relativa alla mancata ammissione delle prove dedotte) appare del tutto inammissibile perchè assolutamente generica (oltrechè priva di specifiche indicazione relative al contenuto di tali prove).
  2. In conclusione, il ricorso è fondato con riferimento al primo profilo dell’unico mezzo di ricorso e, in relazione ad esso, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per il governo delle spese di questa fase.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 7 ottobre 2015. Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2015   L’usurpazione del concept televisivo di Ramon Romano  Abstract La nota che si presenta tratta il problema della tutela autoriale del c.d. concept televisivo, indagandone limiti e prospettive. La riflessione ne propone una preliminare verifica di originalità attraverso il criterio di giudizio della substantial similarity. Il criterio, in particolare, informa una comparazione tra schema di genere e “soggetto” autenticamente creativo; a seguire, può anche valere rispetto all’accusa di plagio o imitazione servile. L’analisi suggerisce, infine, un ritorno alle formalità costitutive al fine di realizzare una tutela anticipata degli sviluppi dell’opera concepita.  This paper deals with the tv concept’s copyright, investigating its limits and prospects. The analysis wants to check the concept’s originality and compares, trough the substantial similarity criterium, the tv genre on public domain and the creative type. The goal is intended to focalize, respect to the idea, a real expression; only after, we can understand if the other’s work is a plagiarism, a slavish imitation or really original. Lastly a return to formalities could protect, also, the work’s developments.   SOMMARIO: 1. Fatto. 2. La pronuncia della Suprema Corte. 3. Il problema della tutela del concept, tra regole e prospettive. L’originalità qualificata. 4. Il problema della tutela del concept, tra regole e prospettive, le formalità.

 1. Fatto

La vicenda in esame origina da una supposta usurpazione, da parte degli odierni convenuti, del “soggetto” di una serie televisiva [1] di cui il ricorrente è autore e del quale avrebbe dovuto curare lo sviluppo dettagliato sulla base di un apposito contratto stipulato tra le parti. Il Tribunale rigettava le ragioni del primo non essendo stati, adeguatamente, allegati e provati i fatti usurpativi di tale concept televisivo. La Corte d’Appello avallava il giudizio di prime cure. In particolare tenendo conto del regime delle preclusioni processuali [2], considerava la mancata e tempestiva proposizione sia della domanda di accertamento del plagio che di quella di inadempimento, ossia il difetto dell’oggetto dell’azione (petitum). Veniva, in ogni caso, – ai fini del rigetto della doglianza di plagio – rappresentata la mancata deduzione dell’altrui deposito dello stesso “soggetto” presso l’Ufficio della proprietà intellettuale, nonché – ai fini del rigetto di quella dell’inadempimento – la mancata produzione del contratto probante l’accordo di sviluppo del concept, cioè il difetto dei fatti costitutivi della domanda attorea (causa petendi). Il ricorrente opponendo l’effettività delle domande e delle allegazioni – quindi la completezza dell’azione espressiva sia del petitum che della causa petendi – ha proposto ricorso in Cassazione per l’omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’usurpazione e sull’inadempimento contrattuale.

2.La pronuncia della Suprema Corte

La Suprema Corte riconosce innanzitutto l’error in procedendo del primo giudice, non corretto in appello, che non avrebbe qualificato le doglianze dell’atto introduttivo come espressive di una domanda di inadempimento contrattuale e di risarcimento. Accede, dunque, al merito e controlla il contenuto del giudizio; nel dettaglio – per il plagio – verifica la sussistenza della domanda di accertamento del plagio [3] siccome insita nella doglianza di danno, poi – rispetto all’inadempimento – riconosce nella produzione del contratto tra emittente televisiva e casa di produzione la sussistenza, de relato, di un accordo con il ricorrente per lo sviluppo dettagliato del “soggetto”. Acclarata l’assenza di preclusioni e l’effettiva presenza delle allegazioni dichiarate ritiene fondata la pretesa ed accoglie il ricorso operando il rinvio al giudice dell’appello. In particolare, la formulazione della domanda risarcitoria conteneva in sé quella di accertamento del plagio; se il giudice di merito avesse esaminato – come ampiamente indicato da un indirizzo consolidato del giudice di legittimità [4] – il “contenuto sostanziale della pretesa”, come desumibile dai fatti allegati, avrebbe compreso la doglianza dell’usurpazione del concept. Soprattutto, evidenzia la Suprema Corte, l’impossibilità di tipizzare le condotte dell’illecito usurpativo, giacché esse sono assai diverse le une dalle altre e ben possibili sia rispetto ad opere inedite che registrate [5]; di guisa che non importerebbe allegare l’altrui deposito, il plagio può infatti pacificamente sussistere anche rispetto ai “soggetti” televisivi non pubblicati [6]. Anzi – brevemente si osserva che – è questa la tendenza prevalente, atteso che il concept – quale rappresentazione minima di un’idea tutta da sviluppare – soggiace ad esigenze commerciali che ne impongono il segreto. Ad ogni modo, la valutazione sull’esistenza del bene autoriale, insindacabile in sede di legittimità, è stata effettuata dal giudice di prime cure. Ne consegue la congruenza della cassazione della pronuncia e del rinvio in appello per l’esame comparato dei due format, cioè per la verifica dell’usurpazione e delle eventuali conseguenze dannose in capo all’autore del primo “soggetto”. Le riflessioni che seguiranno saranno brevi appunti utili a tale comparazione.  

 3.Il problema della tutela del concept, tra regole e prospettive. L’originalità qualificata.

Per largo tempo la tutela del format [7], di cui il concept televisivo [8] è specie, è stata praticata attraverso il ricorso agli strumenti contro la concorrenza sleale, in particolare riferendosi all’imitazione servile (art. 2598, co. 1, c.c.); ci si è chiesti, poi, se il format fosse anche tutelabile come opera dell’ingegno [9] , cioè secondo la tutela del diritto d’autore. Il bene concept, quale nuovo bene [10] autoriale ad idea piena ed espressione parziale [11], si caratterizza per una difficile distinguibilità tra, appunto, idea ed espressione e – proprio per questo – riporterebbe in auge, almeno sul piano probatorio, il sistema delle formalità. Prima di sceverare la prospettiva delle formalità occorre, tuttavia, comprendere se vi sia possibilità di dare al “soggetto” una tutela immediata tramite il diritto d’autore, tutela che si informa al principio per cui, di norma, è l’espressione di un’idea e mai l’idea in sé ad essere protetta; se, dunque, si considera che il concept realizza la concentrazione dell’espressione in una mera traccia ancora da svolgere, è semplice intuire che quello del diritto d’autore è un riferimento di difficile applicazione rispetto al concept. Onde attrarre il “soggetto” ed i suoi sviluppi alla tutela autoriale potrebbe eccepirsi che il sistema del diritto d’autore ha considerato, altrove, la proteggibilità delle idee “di secondo grado” dando tutela a tutte le c.d. opere derivate, siano esse traduzioni, modifiche, adattamenti o sviluppi (artt. 4, 18 e 20 LDA). Eppure un simile sforzo ermeneutico non basterebbe; infatti si comprende subito che in tali ipotesi l’eccezione è solo apparente poiché, anche in questi casi, è irrinunciabile il riferimento ad un sostrato sufficientemente espressivo, pena trasformare le garanzie del diritto d’autore in un monopolio sulle idee, cioè in un inaccettabile limite alla altrui libertà di pensiero. Sicché mai può rinunciarsi all’espressione di un’idea, per così dire, “di primo grado”. Per quanto premesso è, dunque, da chiedersi se il concept supposto usurpato abbia, anzitutto, la sufficienza espressiva necessaria alla mera traccia per emanciparsi dal mondo delle idee e costituirsi in bene giuridico, estendendo così la tutela a quelle opere che, derivandone, ne costituiranno il compimento. Certa giurisprudenza, sulla base del principio tradizionale per cui il diritto d’autore tutela solo quanto espresso, nega al mero “soggetto” tale compiutezza espressiva e, quindi, ne preclude la tutela autoriale [12]. Altra linea di pensiero [13] cerca, però, di recuperare l’opera alla tutela autoriale valorizzandone i profili di novità, originalità, creatività in una lettura ampia ed evolutiva degli artt. 1 LDA e 2575 c.c. [14]; in questa linea è il diritto d’autore che si adatta al mutare del panorama della creatività e non già la creatività a costiparsi nelle strette maglie della legge. La prospettiva dell’originalità [15] tenta di segnare un confine tra idea ed espressione meritevole di tutela autoriale. Si tratta di comprendere la soglia di giustificazione dell’esclusività sul contenuto espresso sinteticamente nel concept, il che equivale qui a definire ciò che è nel pubblico dominio e ciò che rimane, in quanto mera bozza, nel limbo delle idee. Un criterio distintivo è stato rinvenuto nell’eccezione di scenes a faire [16] , per la quale un’opera non merita tutela allorquando gli elementi per i quali la si invoca siano obbligati dall’intento rappresentativo, cioè costretti entro un canale espressivo che delinea uno schema di genere. Tali elementi sono, infatti, di pubblico dominio. Il riferimento non è peregrino a segnare la linea; infatti il concept, come l’eccezione di scenes a faire, si fonda sul concetto di “trama di base” (basic plot); l’uno fa della trama il bene oggetto della pretesa autoriale, l’altra la richiama come limite pubblico ad ogni intento egoistico [17]. Bisogna, quindi, acclarare quale sia il livello minimo di meritevolezza di tale trama o schema di base [18]. Come già visto, per poter parlare materialmente di bene giuridico occorre la presenza di “titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi” [19]; questi elementi qualificanti meritano, però, anche di essere giudicati originali, sia rispetto alle altrui opere che agli elementi di pubblico dominio. Si presentano, così, i termini per un doppio giudizio di comparazione. Per primo quello tra il concept, supposto sufficientemente espressivo ed originale, ed un ipotetico modello autoriale di genere, privo di ogni fantasia che oltrepassi i tratti tipici di quel genere cui inerisce; solo poi quello tra tale concept, supposto usurpato, e l’altro format accusato di plagio [20]. In entrambi i passaggi il giudizio di comparazione cui si fa, qui, riferimento è mutuato dall’esperienza statunitense e costringe l’opera a superare ogni similarità sostanziale [21] che la connoti come plagiaria [22] e, già prima, come lavoro di genere ma vile, cioè privo di una adeguata compiutezza espressiva a renderlo distinto dal tema narrativo di fondo. Il criterio, in particolare, si struttura su un giudizio di similarità [23] che contempla l’analisi comparata delle idee, delle forme espressive, delle tecniche di creazione e delle modalità di estrinsecazione, anche rispetto allo specifico contesto di riferimento, tra “soggetto” ed il minimo comune denominatore tipico del “genere” [24]. Ne consegue, per noi, che se la sinossi di una serie televisiva non è già ad un’impressione d’insieme, di per sé, originale – cioè estrinsecante una peculiare sostanza ed un peculiare valore creativo, che la distinguono da un approssimativo feuilloton [25] – non può dirsi che il concept raggiunga il livello minimo di creatività richiesto per il richiamo della tutela autoriale [26]. Per esemplificare, se si vuole rappresentare una serie poliziesca non assurgeranno a compiutezza e novità espressiva l’ambientazione in una città ad alto livello criminogeno, la presenza di un poliziotto eroe e di un gangster antagonista; servirà un quid pluris. In siffatta linea il concept peccherebbe di quella originalità, invero necessaria, se si arrestasse ad un livello di elaborazione creativa tale da non dipanare, anche per sommi capi, tutta la trama della storia che si intende rappresentare (qui il primo requisito della compiutezza espressiva) ovvero tale da non far assurgere, ex ante [27], la trama ad originale (qui il secondo requisito dell’originalità espressiva). Solo se questo test risulta superato è possibile accedere ad un giudizio di usurpazione del proprio concept; principio pratico che, simmetricamente al riconoscimento di un diritto d’autore, delinea la mancanza di usurpazione laddove il plagio riguardi elementi, che per la loro genericità, appartengono al pubblico dominio.

 4. Il problema della tutela del concept, tra regole e prospettive. Le formalità.

E’, così, evidente che è con difficoltà che – fermo l’intento di mantenere il numero chiuso dei diritti sulle opere d’autore (art. 2 LDA) – si riesce a dar tutela inoppugnabile a tutte quelle creazioni che esprimono meno di quanto non abbiano in animo. Ne consegue, onde realizzare la tutela futura, normale la prassi del ricorso a strumenti sussidiari [28] rispetto alla tutela del diritto d’autore, come l’uso di formalità volontarie (art. 103 LDA), il ricorso a strumenti negoziali cautelativi, quali la commissione d’opera d’autore [29], ovvero – come detto – il riferimento alle norme della concorrenza sleale [30] (art. 2598 c.c.) o ancora tramite l’azione generale di arricchimento senza causa [31] (art. 2041 c.c.); si amplia così, dall’espresso all’inespresso, la protezione autoriale. La tutela delle “opere embrionali” dell’industria editoriale e dell’intrattenimento – come si potrebbero definire format, canovacci e concept – vive perciò di queste due contraddizioni, acuite dalla rapida diffusione digitale delle idee e della loro facile usurpabilità: di essere espressivamente insufficienti ad ottenere la copertura del copyright, perché vocate ad un’espressione solo parziale dei contenuti ideati, e di essere, però, sfruttabili (e, dunque, usurpabili) per la realizzazione di opere compiute e foriere di significativi introiti. Si tratterebbe di opere ascrivibili ad una nuova categoria di beni del diritto d’autore in cui la funzione di tutela del diritto d’autore non si riduce all’atto creativo ma ha riguardo anche ai futuri usi imprenditoriali delle opere create; queste sono le c.d. “creazioni utili” [32]. In questo contesto il concept vive circostanze di necessaria segretezza che, per assicurare il successo del prodotto d’intrattenimento, ne limitano l’espressione degli sviluppi; ma, parallelamente, esso soffre del vivere in un sistema autoriale oramai scevro dalle formalità costitutive [33]. Ne consegue che, onde ottenere tutela autoristica, il “soggetto” non possa più limitarsi ad essere iscritto in un novero di contenuti protetti, a prescindere da particolari valutazioni tecniche, ma debba soddisfare – come qualsiasi opera d’autore – i requisiti di creatività (art. 6 LDA) e novità [34], i quali però postulano qui un più basilare requisito che è quello della compiutezza espressiva, cioè dell’esistenza chiara di un quid tutelabile. In altri termini, risulta difficile effettuare l’estrazione del contenuto del diritto da quella che è una mera espressione di sintesi. In questo limite si racchiude tutto il conflitto in commento, che è conflitto tra tutela del lavoro creativo e libertà di pensiero [35]. Il fatto di non poter godere né della tutela autoriale né di un sistema di formalità costitutive, che dia tutela piena, immediata e sicura, mostra quindi la necessità di ottemperare legislativamente. Tanto considerato, nella dottrina internazionale [36], già da tempo, ci si avvede della necessità di una riforma, di un pieno ritorno al passato. Il ricorso ad un esame, seppur minimo e generale, preliminare consentirebbe di vincere ogni dubbio sull’esistenza del concept come bene giuridico meritevole della tutela autoriale. La registrazione, effettuata depositando un “soggetto” rispondente ad uno schema predefinito di elementi chiari ed indefettibili [37], avrebbe infatti il pregio di realizzare una tutela immediata del concept e, soprattutto, la capacità di realizzare una sorta di effetto prenotativo sul “soggetto” definito (art. 103, co. 5, LDA). Altra soluzione, meno radicale, potrebbe essere quella di attuare un sistema c.d. bipolare, in cui la creazione risulti titolo del diritto morale di paternità del concept e la registrazione presso l’Ufficio della proprietà letteraria titolo sul collegato fascio di diritti patrimoniali [38]. Quel che è certo, in ogni caso, è il distacco che sempre più c’è tra norme giuridiche e mutamenti tecnologici e sociali; lo sviluppo dell’industria dell’intrattenimento secondo un marketing frammentato nel tempo rende, infatti, attuale il problema di una tutela autoristica dei contenuti non pienamente sviluppati ma anche evidente il pericolo di una privatizzazione della conoscenza e, così in sintesi, vibrante il conflitto tra esigenze dell’impresa (art. 41 Cost.) e libertà creativa (art. 21 Cost.) [39].  

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Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Intitolata “Arrivi e Partenze (Stazione Termini)” e depositata presso l’Ufficio della Proprietà Intellettuale. [2] Introdotto dalla l. 353/1990 che limita la mutatio libelli alla prima udienza di trattazione del processo di primo grado. In proposito C. Consolo, Il processo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. Dir. Civ., 1995, I, p. 321. [3] Sia in citazione che in memoria ex art. 183, co. 5, c.p.c. . [4] Da ultimo Cass. Civ., sez. I, sent. n. 23794/2011 in CED Cassazione, 2011. [5] Come nel caso di specie rispetto al concept di un’opera televisiva, che può essere depositato o meno presso l’Ufficio della proprietà letteraria. [6] Su cui si rimanda a A. Cogo, Annotazioni in tema di tutela dell’opera inedita, in Giurisprudenza Commerciale, 2, 2014, p. 184. Su questo punto chiaro l’indirizzo favorevole della Suprema Corte in Cass. Civ., sez. I, n. 18037/2012 in Danno e responsabilità, 7, 2013, con nota di G. Dore, Plagio mascherato dell’opera letteraria inedita: la prima linea di difesa del diritto d’autore, p. 732. [7] Cioè il contenitore che, definiti taluni riferimenti minimi, rende possibile lo sviluppo delle idee creative. Di pregio per comprendere l’attualità del problema il recentissimo volume di J: K. Chalaby, The format age: television’s entertainment revolution, Londra, 2015. Sotto un profilo più prettamente giuridico S. Bechtold, The fashion of tv show formats, in Mich. St. L. Rev., 2013, p. 451. In Italia in genere sul format per una prima lettura introduttiva può farsi riferimento a S. Giudici, Appunti sulla protezione del format, in Riv. Dir. Ind., 6, 2011, p. 401. Assai più diffusamente E. Prosperetti, F. Tozzi, V. Visco Comandini, I format televisivi tra acquisto di know-how e tutela della proprietà intellettuale, in Dir. Informatica, I, 2007, p. 1, per i quali – condivisibilmente – la logica sottesa alla tutela del format è la stessa che da protezione al know-how. Il format, infatti, non sarebbe altro che un “saper costruire” un contenuto autoriale, anziché brevettuale. Per approfondire i profili circolatori, che sarebbero secondo la prassi della commissione dello sviluppo d’opera, similari alla logica dell’appalto v. G. Santini, Commercio e servizi. Due saggi di economia del diritto, Bologna, 1988, p. 481 e ss. . Ancora un riferimento utile, sebbene non strettamente sul format, si ha in U. Patroni Griffi, I semilavorati della produzione televisiva, in L. Nivarra (a cura di), I diritti televisivi nell’era digitale, in AIDA, 8, Milano, 2003, p. 72. [8] Un contributo, che valorizza la riflessione che si darà nel prosieguo sulla necessità di escogitare un sistema di formalità costitutive, è dato da M. Spence, La tutela dei format scoperti negli archivi televisivi, in L. Nivarra (a cura di), op. cit., p. 35. [9] “Un’opera dell’ingegno avente struttura originale esplicativa e compiuta nell’articolazione delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un’azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l’opera deve comunque presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi” (Bollettino SIAE n. 66 del 1994, p. 546, nonché Delibera AGCOM n. 699/01/CSP). [10] In generale su i nuovi beni immateriali AA. VV., (a cura di) G. Resta, Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Milano, 2011. In particolare sul format p. 497. A chiare lettere D. Caterino, I telegiornali, i reportage ed i magazine televisivi, in L. Nivarra (a cura di), op. cit., p. 9. [11] Sulla protezione della forma anziché del contenuto un’importante riflessione, originata dalla serie di libri e film del famoso personaggio di Harry Potter, è offerta da I. Avgoustis, Drawing the line between unprotectable ideas and protectable expressions: the “Harry Potter” case, in Queen Mary Journal of Intellectual Property, vol. I, 2011, p. 188 e ss. . I casi della serie di Harry Potter dimostrano, in un’economia dell’intrattenimento sempre più volta a sfruttare un’idea in una serie cadenzata di opere, la necessità di allargare la tutela autoriale anche alle future opere derivate. Infatti ogni libro ha in sé il concept dei seguiti. [12] In tal senso Cass. Civ., 17 febbraio 2010, n. 3817 in Foro It., 2011, 3, 1, p. 877 con nota di B. Tassone e G. Biferali, La tutela del format in Cassazione, fra principi generali e merito dell’opera, anche in Dir. aut., 2011, 1, p. 108. Nonché Cass. Civ., 13 dicembre 2012, n. 22938, in Dir. Ind., 2013, 3, p. 225 con nota di I. Musco, Il format visto a tv spenta. Il giudizio di contraffazione e la concorrenza sleale. [13] In un caso simile a quello in commento, seppur rigettando la pretesa dell’autore del format (ma solo perché non abbastanza specifico il soggetto), si pone la Cass. Civ., 13 ottobre 2011, n. 21172 in Dir. Ind., 2011, 6, p. 584 con nota di I. M. Prado e B. Zamboni. [14] M. Bertani, Tutela dei format dei programmi televisivi, nota a Trib. Milano, ord. 29 gennaio 1996, in AIDA, 1997, p. 455. Vigorosamente sostengono la tesi P. Auteri, Diritto d’autore, in AA. VV., Diritto Industriale, Torino, 2005, p. 489 e, seppur con intenti di equilibrio, V. Falce, op. cit., Torino, 2012, p. 44. Contra .G. Sena, Considerazioni sulla proprietà intellettuale, in Riv. Dir. ind., 1994, I, p. 5. [15] Su di essa S. Longhini, Diritto d’autore e format televisivi, prospettive e attualità, in IDA, 1998, p. 427. [16] Ex plurimis la concezione è ben espressa da L. A. Kurtz, Copyright: the scenes a faire doctrine, in Fla. L. Review, 41, 1989, p. 79.

  1. Goldstein, Goldstein on copyright, Usa, 2013, p. 242. La concezione della scenes a faire deriva dalla c.d. dottrina della fusione (merger doctrine) per la quale lo sviluppo obbligato di una certa idea ne sottrae la forma espressiva alla tutela autoriale; si afferma cioè l’indissolubilità tra idea ed espressione che risulti indispensabile alla comunicazione di una certa idea. In altri termini non è appropriabile l’unico, necessitato, canale espressivo. Con riguardo al format esso non è proteggibile fintanto che esso non scavalchi la soglia creativa obbligata dal genere per definire lo sviluppo della storia in animo.

Per una disamina, rispetto a dei casi concreti di conflitto, J. J. Siprut, Are ideas really free as the air? Recent developments in the law of the ideas, in IDEA – The Intellectual Property Law Review, 51, 1, 2011, p. 111. [17] Un’analisi profonda in tale direzione si deve a Ros. Romano, Imprinting proprietario nella tutela della creazione intellettuale e concorrenza tra prodotti innovativi, in Riv. Dir. Civ., 6, 2008, p. 663 e ss. . [18]In questa direzione P. Lax, E’ possibile parlare di soggetto televisivo?, in Dir. Aut., 1987, p. 55. Nonché Trib. Monza, 26 maggio 1994, in Dir. Aut., 1995, p. 263 con nota di N. Zucchelli, Tutelabilità degli schemi di trasmissioni televisive, p. 271. [19] Cfr. supra nota n. 9. [20] A sua volta costretto a superare il limite dello schema di genere e, comunque, libero di attingervi. [21] Il test, usato per verificare la sussistenza del plagio, è proprio della giurisprudenza americana; un caso di chiara applicazione in cui la similarità viene giudicata non solo attraverso l’oggettiva somiglianza dei caratteri ma anche rispetto al contesto storico e artistico in cui l’opera si colloca è Cariou v. Prince, Docket No. 11-1197-cv (2nd Cir. April 14, 2013). Sul criterio della substantial similarity, quale criterio valutativo dell’impressione complessiva di originalità da parte dell’utente medio, nell’esame dei format televisivi si rimanda a D. Fox, Harsh Realities: Substantial Similarity in the Reality Television Context, in UCLA Ent. L. Rev., 13, 2006, p. 223. [22] Per tutti D. Nimmer, On copyright, LexisNexis, 2013 (1971), passim. A. Cohen, Making copyright decisionmaking:the meaninglessness of substantial similarity, in U.C. Davies L. Rev., 1987, p. 719.

  1. E. Osterberg e E. C. Osterberg, Substantial similarity in copyright law, in Copyright Law, New York, 2003. Il lavoro approfondisce, pure, il successo del criterio contro i differenti criteri di “striking similarity” e “probative similarity”.

[23] Non è criterio, peraltro, davvero estraneo all’esperienza italiana. In proposito, con riguardo all’originalità o alla derivatività di opere cinematografiche incentrate su un medesimo tema narrativo, Trib. Roma, ord. 6 Marzo 2001, in AIDA, 2001, p. 807. Nonché Trib. Roma, 20 Luglio 1989, in Foro it., 1990, I, p. 2998. L’ispirazione comune non esclude l’originalità reciproca ma presuppone, quantomeno implicitamente, una previa verifica di originalità dell’opera supposta usurpata – da prodursi con la medesima tecnica di comparazione delle similarità – rispetto al tema narrativo comune. Ex plurimis Cass. Civ., 27 Ottobre 2005, n. 20925 in Dir. Ind., 2006, 3, p. 290 con nota di G. Bonelli, Contraffazione e rielaborazione non autorizzata. [24] L’identità – o peggio l’inferiorità – del numeratore (il concept) con il denominatore (il genere) elide l’originalità, e quindi la tutela autoriale. [25] Il richiamo al romanzo rosa a puntate è esemplare; nell’Ottocento il genere si caratterizzava per la prevedibilità dello sviluppo delle storie – amori contrasti, eroi ed antieroi, tinte forti – secondo il gusto di un pubblico semplice ed affezionato sempre allo stesso leitmotiv, salve insignificanti varianti. Tant’è che in senso spregiativo la parola è traslata ad indicare un’opera banale, non originale e prevedibile. Così il concept appiattito ad uno schema di genere sembra mancare di quell’originalità necessaria ad emanciparlo dal pubblico dominio. [26] In conclusione, la garanzia autoriale si avrebbe ad un più elevato livello di originalità, cioè secondo una qualificazione che non si arresta all’atto creativo ma assurge ad una differenziazione complessa degli elementi, tale per cui l’opera sarebbe originale, quindi tutelabile, solo se – oltre che inedita – non già in nuce in un altrui canovaccio ovvero, comunque, non appiattita su un catalogo definito di elementi tipici di un genere letterario. [27] Cioè oltre il modello standard proprio del genere e prima dello sviluppo dettagliato dell’idea. [28] Un’analisi puntuale è stata effettuata da I. Garaci, Tutela del format televisivo e prospettive di regolamentazione giuridica, in Resp. Civ., 2009, p. 2. [29] Sulla tutela negoziale O. Grandinetti, La tutelabilità erga omnes del format di programmi radiotelevisivi, in Dir. Autore, 2000, p. 74. La tutela preventiva per via negoziale avverrebbe per il tramite di una clausola di segreto; sul punto T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, pp. 209 e 707. Più in generale V. M. De Sanctis – M. Fabiani, I contratti di diritto d’autore, in Trattato di dir. civ. e comm., Milano, 2007, p. 83. Si segnala che la mancanza di una disciplina generale sulle opere dell’ingegno create su commissione pone le parti che intendano usare lo strumento negoziale in funzione protettiva libere di attagliare il negozio al bisogno, ma anche di escogitare forme abusive che riscontrano rimedio nel solo accertamento della mala fede. [30] T. Ascarelli, op. cit., Milano, 1960, p. 26. [31] O. Grandinetti, op. cit., p. 80. [32] Riterrei sensato, rispetto alla funzione economica e imprenditoriale che esprime, affiancare il concept al software, alle banche dati ed alle opere dell’industrial design. In proposito P. E. Frassi, Creazioni utili e diritto d’autore, Milano, 1997. [33] Per un inquadramento storico (art. 5 C.U.B.) ed in senso critico, rispetto allo spreco di risorse investigative che si realizza laddove il copyright è oggetto d’impresa (come è nel caso in esame), quindi per un ritorno al sistema delle formalities V. Falce, La modernizzazione del diritto d’autore, Torino, 2012, pp. 30 e 83. [34] Sul discrimine tra i due requisiti relativi – la creatività – all’autonomia del lavoro creativo e – la novità – alla autonomia del risultato creativo v. M. Are, L’oggetto del diritto d’autore, Milano, 1963, p. 52. [35] G. Santini, I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959. [36] C. J. Sprigman, Reform(aliz)ing Copyright, in Stan. L. Review, 2004, p. 545. [37] Come quelli sommariamente tratteggiati dalla SIAE: cfr. supra nota n. 9. [38] A. Peukert, A bipolar copyright system for the digital network enviroment, in Hastings Comm. & Ent. L. J., 2005, p. 42. [39] In argomento V. Zeno Zencovich, Diritto d’autore e libertà di espressione: una relazione ambigua, in AIDA, 2005, p. 15.   1 aprile 2016

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