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Economia delle reti, capitale intellettuale e centralità dei valori costituzionali

di Andrea Stazi E’ oramai evidente che nel nostro tempo – come peraltro rilevato già all’inizio degli anni duemila dal sociologo statunitense Jeremy Rifkin – i mercati stanno cedendo il passo alle reti, i beni ai servizi, ed il concetto di proprietà è sempre più sostituito da quello di accesso. Le imprese ed i consumatori tendono ad abbandonare la tipologia di rapporto che ha costituito sinora il fulcro dell’economia moderna, ovvero lo scambio su un mercato di titoli di proprietà fra un venditore e un acquirente, a favore di un rapporto che si svolge nell’ambito di una rete e si basa sull’accesso e l’utilizzo temporaneo di una risorsa. L’odierna economia globale delle reti è guidata – guidandola, allo stesso tempo – dalla repentina ed incessante accelerazione del processo d’innovazione tecnologica. Da ciò consegue che, in un ambiente mediato elettronicamente, i processi di produzione, le attrezzature, i beni e i servizi risultano obsoleti con notevole rapidità. Essere per primi sul mercato consente di imporre un prezzo più elevato e godere di margini di profitto più ampi, per cui anche pochi mesi di anticipo sulla concorrenza possono risultare determinanti. Sono queste le giustificazioni economiche più evidenti che conducono i nuovi entranti nel mercato di riferimento ad evitare il più possibile investimenti in costi fissi o irrecuperabili, in quanto appunto sussiste il serio rischio che tali investimenti non siano recuperati affatto. La cessione della titolarità dei beni, quindi, lascia il passo ad un accesso temporaneo agli stessi, o più di frequente ai servizi, che viene negoziato tra fornitore e utente in una relazione di rete. In questo modo, nel processo economico la proprietà del capitale fisico, in precedenza fondamento della civiltà industriale, diviene assai meno rilevante. Mentre nell’economia di mercato si parlava di venditori ed acquirenti, oggi si parla di fornitori ed utenti, e le transazioni cedono spesso il passo alle alleanze strategiche, ad esempio sotto forma di accordi per mettere in comune risorse o condividere ricavi, creando reti allargate per cogestire le rispettive attività. 2. Il capitale intellettuale: il problema dell’accesso. Anche il capitale intellettuale, del quale si pone in evidenza sempre più la rilevanza centrale nel nuovo sistema, risulta coinvolto in tale processo di “deviazione” verso uno scambio basato sull’accesso e sull’uso temporaneo. Esso viene scambiato raramente, restando piuttosto in possesso del fornitore, il quale lo noleggia o ne autorizza un uso limitato da parte di terzi, attraverso una pluralità crescente di modelli di distribuzione (fra i quali ad esempio risulta di particolare interesse quello che associa la fruizione gratuita dei contenuti alla ricezione di promozioni commerciali da parte degli utenti). In questo contesto, evidentemente, assume particolare rilevanza la questione delle forme e dei limiti dell’accesso alle reti da parte dei fornitori di contenuti ed ai contenuti da parte degli operatori di rete. Il problema dell’accesso, appunto, rappresenta lo snodo fondamentale con il quale il legislatore, nonché le autorità di regolazione e concorrenza, devono e dovranno sempre più confrontarsi. Il passaggio dal regime della proprietà – fondato sul concetto della cessione della titolarità dei beni – al regime dell’accesso – basato sulla garanzia della disponibilità temporanea di beni o servizi (controllati per lo più da reti di fornitori) – muta radicalmente la nozione stessa di potere economico. In questo senso il potere maggiore, già attualmente e sempre più negli anni a venire, sembra destinato a confluire nelle mani di quei soggetti che si pongono quali “gatekeepers” (o “guardiani”) rispetto all’accesso alle reti ovvero ai beni o servizi scambiati attraverso esse. In un sistema basato sull’accesso, chi possiede i canali di comunicazione e controlla gli ingressi alle reti stabilisce chi opera nel sistema e chi ne resta fuori. E’ per questa ragione che, ad esempio, le principali società d’intrattenimento, software e telecomunicazioni, consapevoli del ruolo essenziale dei gatekeepers, stanno acquistando i fornitori di servizi e contenuti di maggiore successo: le multinazionali dei media sono impegnate in una lotta incessante per il controllo dei canali di comunicazione e delle risorse culturali, al fine di poter espandere il proprio potere di controllo del mercato delle esperienze e dell’intrattenimento. Con la riorganizzazione della società e dell’economia come fondate sulle reti di comunicazione, la funzione dei guardiani risulta determinante, in quanto essi definiscono i termini di accesso alle reti stesse, nonché ai servizi o contenuti su queste veicolati. La possibilità di svolgere il ruolo del gatekeeper, in sostanza, consente di controllare porzioni strategiche di una rete e/o un canale trasmissivo, in cui confluiscano beni, servizi o contenuti, in modo da poter decidere se la risorsa che vi si sta diffondendo possa essere ammessa o no. 3. Gli interessi rilevanti: le questioni giuridiche. Dal punto di vista delle relazioni tra i fornitori-professionisti e gli utenti-consumatori, le esigenze dei primi di svolgere liberamente la propria iniziativa economica in rete e di ricevere un equo compenso per i contenuti di cui detengono i diritti di sfruttamento si contrappongono all’interesse dei secondi a poter partecipare alle relazioni sociali e commerciali on line liberamente – oggi anche divenendo autori e si stessi con il sempre più diffuso strumento dello user generated content – al riparo da minacce indesiderate alle proprie libertà personali ed economiche, e disponendo dei contenuti digitali con flessibilità tramite i diversi canali multimediali. L´intersezione fra queste divergenti istanze dá luogo sempre piú di frequente a contrasti fra il diritto d´autore ed altri istituti fondamentali del nostro ordinamento, ad esempio la libertá di espressione, o quella di manifestazione del pensiero, ovvero – spesso di recente – alla riservatezza dei dati personali (come nei recenti casi Peppermint e Pirate Bay). In particolare, le possibilità offerte dalla tecnologia digitale danno luogo al rischio che la circolazione dei contenuti on line avvenga senza che i legittimi titolari di essi possano esercitare un effettivo controllo. Al riguardo, ad esempio, nei giorni scorsi è sorta una polemica riguardo alle condizioni d’uso del social network Facebook, in cui, anche nell’ultima versione successiva alla loro modifica poi ritirata, si prevede che l’utente riconosca alla società titolare, anche ove decida di rimuovere i contenuti che ha immesso in rete, la possibilità di conservarne le copie “tecniche” archiviate per garantire il servizio agli altri utenti. Sempre nei giorni scorsi, poi, un’ordinanza del Tribunale di Milano ha disposto la rimozione dal sito web Corriere.it di quattro video (su cinquantanove contestati), estratti dalle trasmissioni Mediaset di Canale 5 e Italia 1 in violazione dei relativi diritti esclusivi di trasmissione. Ancora, la scorsa estate il caso statunitense Viacom/YouTube ha trovato il suo omologo italiano nel caso Mediaset/YouTube, in cui la società televisiva ha lamentato presso il Tribunale di Roma la diffusione non autorizzata sul portale, da parte degli utenti, di migliaia di video tratti dalle sue trasmissioni, richiedendo un ingente risarcimento danni. Con il progresso tecnologico, quindi, si pongono complesse questioni relative alla tutela dei diritti sia personali sia economici, in uno scenario in cui ciascuno può con relativa semplicità raccogliere informazioni e dati personali, produrre copie perfette di opere esistenti, così come editarli e pubblicarli su siti web quali appunto YouTube, MySpace, etc. Su questi temi, come noto, si è sviluppato un movimento d’opinione, di portata ormai globale, che rigetta l’idea che la fruizione della cultura e dell´informazione comportino il pagamento di prezzi elevati e non in linea con le potenzialità della rete. Ma, d’altronde, restando all’esempio sopra proposto, i video immessi in rete dagli utenti traendoli da trasmissioni televisive o da altre fonti protette da copyright rappresentano o no “cultura digitale”? A questa domanda, sembra potersi rispondere: no. Questi contenuti appaiono opere creative spesso di mero intrattenimento, sulle quali un certo soggetto è titolare di un diritto di sfruttamento economico tutelato dall’ordinamento. Per simili ipotesi, non vengono in rilievo la libertà d’informazione o della cultura, bensì appunto diritti di sfruttamento economico. Al riguardo, peraltro, rileva anche il concetto, di cui si parla specie in ambito statunitense ma ormai anche europeo, di “neutralità” della rete, in base al quale le c.d. autostrade dell’informazione on line dovrebbero restare libere e consentire l’accesso a qualsiasi servizio o contenuto in modo libero e alla velocità più elevata possibile. D’altronde, nelle nuove norme proposte per il pacchetto di direttive in materia di comunicazioni elettroniche attualmente all’esame del Parlamento europeo, si prevede la possibilità di filtraggio di contenuti, applicazioni e servizi, e la cooperazione tra i fornitori di accesso ed i settori interessati alla promozione di contenuto legale. Nello scenario fin qui delineato, dunque, risulta chiara la necessità dell’individuazione di soluzioni di tutela che, contemperando i suddetti interessi ed esigenze, consentano un equilibrato sviluppo delle relazioni sociali e delle dinamiche commerciali nel nuovo ambiente tecnologico. 4. La ricerca di nuove regole: la centralità dei valori costituzionali. Per quanto concerne il profilo delle regole, anche nella nuova era è opportuno che la “stella polare” resti l’ordinamento giuridico vigente, con gli istituti in esso previsti. Lo sviluppo dell’informatica e della telematica ha già comportato il sorgere di nuove figure contrattuali, tanto da un punto di vista contenutistico, come ad esempio per i contratti di fornitura dei servizi informatici o telematici, quanto da un punto di vista formale, attraverso l’impiego dei nuovi strumenti di conclusione dell’accordo messi a disposizione dalla tecnologia. I “nuovi beni”, creazioni intellettuali e non, prodotti dall’evoluzione tecnologica, dal canto loro, sono – fisiologicamente e necessariamente, per la loro stessa esistenza – oggetto di diritti, e quindi appunto beni, che hanno bisogno di essere tutelati in quanto tali. Il concetto di proprietà, pur dematerializzata e intellettuale, resta quindi un punto di riferimento essenziale. Sul piano delle soluzioni rispetto agli illeciti commessi in rete, in generale, le tendenze in atto negli ultimi mesi in diversi Paesi europei, fra cui l’Italia – lo scorso anno con il lavoro del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore ed ora con quello del Comitato tecnico per la lotta alla pirateria presso la Presidenza del Consiglio – appaiono dirigersi verso scelte condivise adottate con la collaborazione dei diversi soggetti interessati. Con specifico riguardo al profilo dei controlli, però, la soluzione che viene spesso riproposta è quella di un ampliamento delle responsabilità poste in capo ai fornitori di connettività (c.d. providers): al riguardo, in questi giorni si sta sviluppando un’accesa polemica su un emendamento al ddl n. 733 sulla sicurezza pubblica approvato al Senato secondo cui, ove sussistano concreti elementi che facciano ravvisare attività di apologia o d’istigazione sulla rete Internet, il Ministro dell’interno, previa comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre l’interruzione dell’attività, ordinando ai fornitori di connettività di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine (è la stessa linea operativa prevista in Francia nella legge Hadopi sulla pirateria on line, in discussione in questi giorni all’Assemblea nazionale e anche lì oggetto di un intenso dibattito). Una via per evitare di giungere a soluzioni estreme di oneri “diabolici”, ed allo stesso tempo per ricomporre le pur legittime istanze “libertarie” ed “economiche” in un approccio sistematico, appare quella di indirizzare le suddette tendenze in atto verso scelte normative condivise su un approccio che combini agli strumenti della coregolamentazione o dell’autodisciplina un solido ancoraggio costituzionale delle norme, perseguendo il necessario equilibrio tra i diversi principi fondamentali in gioco (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 29 gennaio 2008, caso Promusicae). Nello stesso senso, pensando agli esempi richiamati ed all’accennata distinzione fra i contenuti espressione della libertà d’informazione o della cultura e quelli per cui prevalgono gli interessi economici e l’intrattenimento, sembra giunto il momento di un dialogo sereno, fra i rappresentanti delle diverse posizioni, affinché le petizioni sulla “libertà” o “neutralità” della rete, o viceversa sulla sua “commercialità”, si riconcilino in una “ricodificazione” della rete basata sui valori o interessi specificamente rilevanti nelle differenti ipotesi concrete. In quest’ottica, dunque, la via migliore per una risposta alle nuove sfide giuridiche che derivano dal progresso tecnologico dovrebbe essere ricercata in una rilettura di nozioni più o meno recenti (privacy, copyright, property right), che sembrano poste in discussione dal progresso medesimo, attraverso un orizzonte “costituzionalmente orientato”, che ne rintracci significati più coerenti nell’odierno scenario della società dell’informazione ed in particolare (per quanto qui di rilievo) dell’economia delle reti. Nell’ordinamento italiano, è opportuno ricordare che le rationes per la disciplina del diritto d’autore trovano, se pur non espresso comunque evidente, riferimento in diversi principi fondamentali di rango costituzionale. Così, per quanto concerne i diritti più strettamente connessi alla sfera personale-espressiva, innanzitutto può ritenersi che il diritto di paternità, quale diritto fondamentale della personalità dell´autore, deve essere considerato inviolabile ai sensi dell´art. 2 della Costituzione. La pubblicazione o comunicazione al pubblico dell´opera, poi, risulta essenzialmente un’espressione della libertà di manifestazione del pensiero di cui all´art. 21 Cost., da considerarsi unitamente ai principi di sviluppo della cultura e della libertà di creazione artistica di cui agli artt. 9 e 33 Cost. Ma la pubblicazione o comunicazione possono caratterizzarsi altresì – ecco il dualismo del copyright – come attività economiche, esercitate direttamente dall´autore o (più spesso) da intermediari imprenditoriali: in tali ipotesi, per esse rilevano quindi la tutela ed i limiti posti dall´art. 41 della Costituzione, da leggersi alla luce dei diritti inviolabili, dei doveri inderogabili e del principio di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost. Riguardo ai diritti di utilizzazione economica conseguenti alla prima pubblicazione dell´opera, la loro riconduzione alla tipologia proprietaria ne comporta l´inquadramento nell´art. 42 Cost., con i relativi limiti, oltre che l´eventuale ulteriore tutela ex art. 35 e ss. Cost. là dove l´attività creatrice si inserisca in un rapporto di lavoro dipendente. Infine, nel caso – assai frequente – di sfruttamento dell´opera da parte di intermediari professionali, a maggior ragione vengono in rilievo le previsioni di cui agli artt. 41 e 42 Cost.. Dall´individuazione di questi fondamenti costituzionali della disciplina in materia derivano delle conseguenze di notevole rilievo. Volendo accennare in generale alle principali, anzitutto risulta evidente che devono essere respinti gli orientamenti negazionisti della disciplina medesima, a pena di compromettere quello è stato definito dalla Corte Suprema statunitense come il “motore” per lo sviluppo e la libertá dell´espressione culturale e artistica. Inoltre, deve considerarsi che le disposizioni richiamate quali suoi fondamenti rappresentano al contempo i limiti costituzionali del diritto d´autore, sia nel necessario bilanciamento con gli interessi protetti all´accesso culturale o alla libertá di pensiero e di creazione artistica in favore dei terzi, autori o fruitori, sia nella compatibilitá sociale che gli art. 41 e 42 impongono per i diritti patrimoniali nello sfruttamento imprenditoriale ovvero proprietario dei beni. In quest´ultima direzione, pare deporre anche la norma comunitaria di cui all´art. 151 del Trattato CE, la quale, nel prevedere espressamente la tutela della “creazione artistico-letteraria”, pone altresí l´accento sul “miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura”, fornendo in tal modo un fondamento positivo, anche nell´ordinamento costituzionale comunitario, per lo sviluppo e la circolazione delle opere dell´ingegno. Il corollario che puó trarsi da una simile ricostruzione, pertanto, è quello del carattere non eccezionale, bensí “fisiologico”, dei limiti al diritto d´autore, ogni volta che essi siano giustificati da un interesse protetto almeno di pari rango nell´ordinamento costituzionale. In conclusione, dunque, sia in sede coregolamentare o autodisciplinare (approcci che sembrano prevalere in Europa), sia in sede giudiziaria, dovrà necessariamente considerarsi che i principi fondamentali della disciplina del diritto d´autore sopra richiamati ne rappresentano, oltre che appunto i valori costituzionali fondanti, al contempo i parametri di riferimento per il suo necessario bilanciamento con gli interessi protetti all´accesso culturale, alla libertà di pensiero e di creazione artistica in favore dei terzi, autori o fruitori, ed alla correlata compatibilità sociale prevista per i diritti patrimoniali. Intervento presentato al Seminario I-COM il 20 marzo 2009

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