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La numerazione automatica dei canali (LCN) tra regolamentazione e contenzioso

 

L’LCN è una funzione attraverso la quale, a ogni programma, viene assegnata una determinata numerazione[1]; “con l’LCN, quindi, ciascun canale è associato in maniera univoca ad un numero e l’utente può selezionare i canali tramite il numero assegnato[2], salva la possibilità di riordinare i programmi secondo le proprie preferenze.

L’obbligo di regolamentare il servizio è stato introdotto a seguito della modifica del D.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 (Testo Unico dei servizi media audiovisivi, anche solo Testo unico) ad opera del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 (Decreto Romani) che, a sua volta, ha recepito la direttiva n. 2007/65/CE (Direttiva Servizi Media Audiovisivi).

In particolare, il comma 2 dell’art. 32 del Testo unico ha attribuito all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) il compito di adottare, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, un apposito programma di numerazione e di stabilire le modalità di attribuzione dei numeri ai vari servizi di media audiovisivi, secondo i criteri stabiliti dalla stessa disposizione normativa[3].

Se la legge ha dato all’Agcom il potere di emanare il piano, parallelamente, ha affidato al Ministero dello sviluppo economico (Mise) il compito di attribuire la numerazione a ogni singolo servizio sulla base del regolamento dell’Autorità, fissare le condizioni di utilizzo del numero assegnato, nonché irrogare sanzioni in caso di violazioni da parte degli assegnatari.[4]

La regolazione dell’LCN è stata introdotta, sia con finalità di tutela dell’utenza, sia in un’ottica di salvaguardia del pluralismo e della concorrenza.

In merito al primo aspetto, l’assenza di regole definite sull’utilizzo dell’LCN aveva avuto come effetto una gestione non coordinata del servizio da parte degli operatori di rete, che aveva portato al conflitto tra i canali e alla conseguente mancata ricezione dei programmi da parte degli utenti i quali, essendo poco avvezzi alla nuova tecnologia, avevano trovato difficoltà nella risintonizzazione del televisore[5].

In relazione ai profili concorrenziali, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), già prima dell’entrata in vigore del Decreto Romani, aveva auspicato un intervento da parte dell’Agcom segnalando che “nella televisione digitale terrestre, a fronte di un’offerta di programmi più ampia rispetto alla televisione analogica, elementi di possibile successo della singola attività d’impresa sono, tra l’altro, rappresentati dalla facilità e rapidità di selezione del programma da parte dell’utente e dal consolidamento di una determinata posizione da parte dell’emittente televisiva nell’ambito della numerazione. In tale contesto, l’Autorità intende sottolineare che l’ordinamento automatico, oltre a rappresentare un servizio importante per l’orientamento dell’utente tra i numerosi canali a disposizione, assume un considerevole rilievo concorrenziale, dal momento che incide sulla visibilità degli operatori esistenti e sulle opportunità di accesso al mercato da parte di nuove imprese.[6]

Nonostante la segnalazione dell’Agcm e il successivo intervento del legislatore, parte della dottrina ha criticato il contenuto dell’art. 32 del Testo unico, sottolineando come la formulazione della norma abbia, di fatto, reso vano l’effetto pro-concorrenziale auspicato.

In particolare, aver dato come rilevo principale, ai fini della redazione del piano, il rispetto delle abitudini e delle preferenze degli utenti, avrebbe frustrato «del tutto la possibilità di utilizzare la disciplina dell’LCN in senso effettivamente pro – concorrenziale e pluralistico»[7].  In questo modo, infatti, gli incumbent, avrebbero automaticamente goduto delle prime, e quindi maggiormente pregiate numerazioni, mentre i nuovi entranti sarebbero stati relegati in posizioni secondarie all’interno dei vari generi di programmazione tematica.

  1. L’attività regolatoria dell’Agcom.

Come precedentemente rilevato, il comma 2 dell’art. 32 del Testo unico stabilisce che l’Autorità adotta l’apposito piano di numerazione e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi sulla base dei criteri, enunciati in ordine di priorità, stabiliti dal medesimo comma 2[8].

Si tratta pertanto di un’attività vincolata nelle finalità – che corrispondono alla garanzia di condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie nell’accesso al mezzo, nonché alla tutela degli utenti – ma anche nei criteri e nei principi per l’attribuzione della numerazione.

A esito della consultazione, è stata pertanto emanata la delibera n. 366/10/CONS recante “Piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre in chiaro e a pagamento, modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica di gitale terrestri e le relative condizioni di utilizzo”.

Al fine di rispettare il criterio maggiormente rilevante imposto dalla legge per la redazione del piano, ossia “le abitudini e le preferenze degli utenti con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali[9], l’Agcom ha commissionato ad una società esterna un’indagine demoscopica, sulla base della quale è emerso quali emittenti gli utenti fossero soliti sintonizzare nelle varie posizioni.

Il piano è stato ideato su archi di numerazione (da 1 a 99, da 100 a 199, da 200 a 299 e così via, fino all’arco 900 – 999), all’interno dei quali trovano la collocazione più alta i programmi maggiormente seguiti in virtù del già citato criterio.

Con specifico riferimento ai servizi di media diffusi in chiaro, i numeri da 1 a 9[10] sono stati riservati ai canali generalisti nazionali ex analogici, intesi come i programmi già diffusi in tutto il territorio nazionale prima dell’introduzione della televisione digitale terrestre[11]; agli altri canali nazionali non qualificabili come generalisti, ossia, sostanzialmente, i nuovi entranti, sono stati attribuiti i numeri da 21 a 70 del primo arco, suddivisi nei seguenti generi di programmazione: semigeneralisti, bambini e ragazzi, informazione, cultura, sport, musica, televendite.

Alle emittenti locali sono state assegnate le posizioni da 10 a 19 e da 71 a 99 e le posizioni corrispondenti al primo arco nei successivi blocchi di numerazione, nonché tutto il settimo arco (700-800)[12].

  1. I ricorsi giurisdizionali e l’annullamento del Primo piano LCN del 2010.

Avverso la delibera n. 366/10/CONS sono stati proposti ricorsi da numerose emittenti e, con quattro sentenze, il Consiglio di Stato ha annullato il piano, eccependo vizi di carattere procedurale e sostanziale.

In particolare:

– le sentenze n. 4658/12 e 4659/12, per quanto riguarda l’emittenza locale, hanno censurato il criterio scelto dall’Agcom ai fini dell’attribuzione delle singole posizioni nell’arco di riferimento: l’Autorità, infatti, aveva preso come parametro per determinare la preferenza degli utenti per le singole emittenti locali le graduatorie dei Corecom utilizzate per l’attribuzione dei contributi statali ex art. 45, comma 3, della Legge 23 dicembre 1998 n. 448. Secondo il Supremo Consesso, essendo le graduatorie compilate esclusivamente sulla base del fatturato delle emittenti, non potevano rappresentare un parametro idoneo a rappresentare le preferenze degli utenti, contrariamente ad altri indici ritenuti più attendibili come i dati di ascolto. In proposito, il Consiglio di Stato ha statuito che “anche ove si consideri che una delle principali voci di fatturato è rappresentata dalla raccolta della pubblicità, cionondimeno l’ulteriore passaggio, tra la raccolta della pubblicità e le preferenze degli utenti, rimane non dimostrato” (sent. n. 4659/12).

– la sentenza n. 4659/12, oltre a ribadire l’inidoneità delle graduatorie dei Corecom, ha espresso rilievi in merito all’attribuzione alle emittenti nazionali ex analogiche anche dei numeri 8 e 9, ritenendo che, alla luce del palinsesto diffuso, due di queste non potessero essere considerate generaliste. È stata inoltre rilevata l’illegittimità procedurale del termine di quindici giorni per la consultazione previsto dalla delibera, in violazione dell’art. 11 del D.lgs. n. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che prescrive un termine di almeno trenta giorni per i provvedimenti che abbiano un impatto rilevante sul mercato di riferimento.

– la sentenza 4660/12 ha eccepito vizi sostanziali riguardo all’assegnazione dei numeri 7, 8 e 9 alle emittenti nazionali, censurando i criteri di assegnazione e rilevando che gli esiti dell’indagine per accertare le preferenze e le abitudini degli utenti non risultavano suffragati da corrispondenti e univoci riscontri in ragione della disomogeneità dei dati prodotti. Tale disomogeneità sarebbe scaturita sia dalla esiguità del campione statistico preso in considerazione[13], sia dal fatto che, nel 2010, il passaggio al digitale non fosse stato realizzato in tutto il territorio. Rilevato tale vizio, pertanto, il Consiglio di Stato ha affermato che l’Agcom avrebbe dovuto emanare un nuovo piano sulla base di una istruttoria che ricostruisse “le abitudini e preferenze degli utenti”, alla luce di “adeguati criteri che garantiscano univocità dei dati ed omogeneità di elementi di comparazione”.

– la sentenza n. 4661/2012 ha rimarcato l’illegittimità del termine di quindici giorni per la consultazione pubblica, non censurando invece l’attribuzione delle posizioni da 10 a 19 alle emittenti locali e il posizionamento dei canali nativi digitali a partire dal numero 21.

Sostanzialmente, le quattro sentenze del Consiglio di Stato, pur censurando ognuna anche sole singole parti del procedimento, hanno di fatto demolito interamente il piano, imponendo all’Autorità l’espletamento di una nuova istruttoria.

  1. Il sindacato del giudice amministrativo sugli atti regolatori della autorità indipendenti, in particolare, sulla discrezionalità tecnica.

Le pronunce del Consiglio di Stato del 2012 in tema di LCN hanno risollevato un tema molto dibattuto negli ultimi anni, ossia la portata che ha assunto il sindacato giurisdizionale sugli atti delle autorità indipendenti.

Come noto le authorities, nell’esercizio delle loro funzioni, si avvalgono della discrezionalità tecnica, ossia quel modello di valutazione che “ricorre ove l’esame di fatti o situazioni rilevanti per l’esercizio del potere pubblico necessiti del ricorso a cognizioni tecniche o scientifiche di carattere specialistico, caratterizzate da margini di opinabilità…” con cui “non si tende ad operare una comparazione tra interesse pubblico primario e interessi secondari, bensì a compiere una valutazione dei fatti: si tratta di un giudizio da effettuarsi alla stregua di canoni scientifici e tecnici, che non implica il potere di scegliere quale sia la soluzione più opportuna per l’interesse da perseguire[14].

Dalla definizione riportata, oltre alla nozione di discrezionalità tecnica, emerge la differenza con la discrezionalità amministrativa. Attraverso la discrezionalità tecnica l’amministrazione non effettua alcuna valutazione dell’interesse pubblico, già individuato a monte dal legislatore, ma procede esclusivamente all’applicazione di regole tecniche per tradurre in provvedimento amministrativo l’interesse pubblico già determinato a livello primario.

Questa ricostruzione, di origine dottrinaria, è stata in seguito recepita dal  Consiglio di Stato con la sentenza n. 601 del 1999; sostanzialmente la discrezionalità tecnica, concretizzandosi nell’accertamento di determinate situazioni, condotto in applicazione di criteri non certi o di concetti giuridici indeterminati, non concerne il merito amministrativo  “ma la ricostruzione del fatto su cui cade la valutazione amministrativa dell’interesse pubblico, e può quindi costituire oggetto della cognizione del giudice, al quale deve riconoscersi il potere di verificare direttamente l’attendibilità delle operazioni tecniche compiute dalla P.A. sotto il profilo della correttezza dei poteri utilizzati e dei procedimenti applicati.”[15]

Come è stato sottolineato, è esclusa “la possibilità di invocare la nozione di discrezionalità tecnica in funzione di generale limitazione del sindacato giurisdizionale amministrativo sulle valutazioni di fatto della pubblica amministrazione. La complessità delle valutazione da compiere, l’opinabilità del fatto da analizzare e le prerogative organizzative dell’amministrazione non sono elementi da cui trarre una ritrazione del sindacato in punto di fatto. In altri termini, la nuova disciplina del processo amministrativo non consente di riproporre una nozione di “riserva di valutazione tecnica” in funzione di generale limitazione dei poteri cognitori del giudice amministrativo.[16]

 Questo tipo di sindacato, che consentirebbe pertanto al giudice di verificare direttamente l’attendibilità del criterio tecnico adoperato dall’amministrazione e del procedimento applicativo seguito, è stato definito “intrinseco”, e la sua applicazione è stata certamente facilitata dall’introduzione, sin dalla l. n. 205 del 2000, della consulenza tecnica d’ufficio all’interno del processo amministrativo; grazie a tale attività, infatti, il giudice può procedere al riscontro sulla adeguatezza e ragionevolezza delle operazioni tecnico-scientifiche effettuate dalla pubblica amministrazione.

Il tema che non è stato particolarmente affrontato con la sentenza del 1999 e che, pertanto, non ha sopito il dibattito negli anni a venire, è il grado d’intensità di tale sindacato.

In particolare, è nata una contrapposizione tra i fautori di un sindacato “forte”, secondo il quale il giudice avrebbe il potere di sostituire la propria valutazione tecnica a quella dell’amministrazione ritenuta non idonea o semplicemente inadeguata e chi, contrariamente, ha sostenuto l’esclusiva legittimità di un sindacato “debole”, attraverso il quale l’organo giudicante potrebbe esclusivamente annullare il provvedimento dell’amministrazione[17] senza esercitare il potere sostitutivo. Tale ultima impostazione è stata quella che ha più trovato il favore della giurisprudenza[18], soprattutto alla luce di due pronunce del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite.

Da un lato, il Giudice amministrativo ha ritenuto che, a prescindere dalle definizioni adoperate, il sindacato deve tendere a un modello comune a livello europeo ispirato al principio di effettività della tutela, da coniugarsi con la specificità delle controversie per cui, nel caso di contenziosi inerenti agli atti delle autorità, il giudice non dovrebbe sostituirsi a queste esercitando un potere affidato dalla legge a una pubblica amministrazione, ma verificare solo se questo potere sia stato correttamente esercitato[19].

Ancora più incisiva la pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui, ferma restando la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato, che si estende anche ai profili tecnici, nel caso in cui le valutazioni includano apprezzamenti che abbiano un oggettivo margine di opinabilità, il sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, deve limitarsi alla verifica della non esorbitanza da tali margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’autorità.[20]

Come sottolineato dalla dottrina, sono pertanto effettuate delle valutazioni intrinseche “in cui si ammette che il giudice, pur senza potersi sostituire all’Amministrazione possa, comunque, censurare le valutazioni tecniche che risultino inattendibili non solo agli occhi del profano, ma anche a quelli dell’esperto, attraverso il controllo dell’attendibilità del criterio tecnico utilizzato e del suo esito applicativo…” ma che comunque “a fronte di più soluzioni tutte fisiologicamente opinabili, ma allo stesso tempo tutte attendibili, debba prevalere la scelta tecnica compiuta dall’amministrazione. E così, a fronte di una norma che presenta margini di elasticità e quindi compatibile con una pluralità di soluzioni tecniche, il giudice non deve imporre la soluzione tecnica in cui crede di più (in quanto altrimenti diventerebbe amministratore), ma solo verificare se l’Amministrazione ha rispettato quel margine di elasticità, collocandosi entro i confini dell’attendibilità[21]

Tornando alla questione LCN e alla luce dei principi sopra enunciati, il Consiglio di Stato ha censurato l’operato dell’Autorità sia relativamente alla legalità procedimentale, che a quella sostanziale.

In merito al primo aspetto, sembra potersi sostenere che l’Agcom sia incappata nel vizio di violazione di legge, essendo la procedura di consultazione pubblica disciplinata direttamente dall’art. 11 del Codice delle comunicazioni elettroniche.

Per quanto riguarda la legalità sostanziale, i Giudici di Palazzo Spada hanno operato una valutazione piuttosto penetrante, ritenendo che alcune delle scelte tecniche operate dall’amministrazione, come per esempio l’utilizzo delle graduatorie Corecom e i dati dell’indagine demoscopica, non potessero neanche essere considerati “attendibili” per rilevare abitudini e preferenze degli utenti; ha invece ritenuto opportuno fornire esplicite direttive all’Autorità, attraverso l’indicazione di parametri ritenuti più idonei, come la valutazione dei dati di ascolto. È stato pertanto imposto all’Agcom di pronunciarsi nuovamente sulla base di tali indici, che, secondo il Consiglio di Stato, avrebbero garantito una maggiore  “univocità di dati ed omogeneità di elementi di comparazione[22].

  1. Il secondo piano LCN del 2013.

A seguito dell’annullamento del provvedimento da parte del Consiglio di Stato, l’Autorità ha innanzitutto prorogato gli effetti del piano per evitare un vuoto regolamentare nelle more del nuovo procedimento.

L’Agcom ha quindi avviato l’istruttoria e commissionato un’ulteriore indagine demoscopica sulle preferenze degli utenti, così come richiesto dal Consiglio di Stato.

A valle della consultazione pubblica, è stato emanato il secondo piano LCN di cui alla delibera n. 237/13/CONS recante “Nuovo piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre e relative condizioni di utilizzo”.

Gli esiti dell’istruttoria hanno portato alla conferma dei numeri 7, 8 e 9 ai canali generalisti nazionali ex analogici. Sono invece stati attribuiti maggiori spazi nel primo arco di numerazione per i “canali nativi digitali”, al fine di incentivare l’ingresso di nuove imprese sul mercato (numeri da 21 a 96). Per quanto riguarda l’emittenza locale, alla luce delle prescrizioni del Consiglio di Stato, come criteri preferenziali per l’assegnazione della numerazione, sono stati considerati: la qualità della programmazione con riferimento ai palinsesti degli ultimi cinque anni; il numero del personale dipendente; le preferenze degli utenti e il radicamento sul territorio sulla base degli indici di ascolto e, infine, la storicità e il grado di copertura del canale.

Tuttavia, anche la sopracitata delibera è stata impugnata ed oggetto di censure da parte del Giudice amministrativo.

In particolare, a seguito della delibera n. 442/12/CONS, che poneva in consultazione il nuovo piano, una delle emittenti locali già ricorrenti avverso il primo piano instaurava un giudizio di ottemperanza ritenendo che l’Autorità, con il nuovo atto, non avesse dato corretta esecuzione alla sentenza n. 4660/12, uno dei quattro provvedimenti che aveva censurato il primo piano e che, in particolare, aveva annullato la parte che pianificava per le emittenti nazionali ex analogiche generaliste, i numeri 7, 8 e 9, posizioni ambite dalla ricorrente.

Il nuovo provvedimento avrebbe eluso il giudicato della sentenza poiché emanato sulla base di un’indagine volta a sondare le preferenze e le abitudini degli utenti nel periodo dell’espletamento dell’istruttoria, ossia nel 2013, mentre il Consiglio di Stato aveva ordinato all’Autorità di effettuare un nuovo sondaggio che, alla luce di criteri che garantissero univocità di dati e omogeneità di elementi di comparazione rispetto alla precedente indagine, fornisse dei dati riferibili all’anno 2010, ossia all’epoca dell’attuazione del primo piano, così da eseguire puntualmente il dispositivo della sentenza.

  1. La sentenza del Consiglio di Stato n. 6021/2013.

Il ricorso presentato dall’emittente locale è stato accolto dalla sentenza n. 6021/13 del Consiglio di Stato, che ha annullato la delibera n. 237/13/CONS per violazione del giudicato ai sensi dell’art. 114 del c.p.a. c. 4 lett. b), nelle parti in cui, non rinnovando gli accertamenti istruttori secondo le disposizioni della sentenza n. 4660/12, confermava l’attribuzione delle posizioni 7, 8 e 9 alle emittenti generaliste ex analogiche.

In particolare, l’Autorità non si sarebbe limitata a dare esecuzione alla sentenza del 4660/12, ma avrebbe esercitato contestualmente il potere di revisione periodica del piano “in base allo sviluppo del mercato” attribuitole dall’art. 32 co. 2 lett. f) del Testo unico.

Secondo la sentenza, la revisione periodica sarebbe riconducibile al potere regolamentare/dispositivo dell’Agcom e, pertanto, sarebbe di natura diversa rispetto all’ottemperanza della decisione passata in giudicato.

Il Consiglio di Stato ha statuito che l’Autorità, ai fini della corretta esecuzione della sentenza, avrebbe dovuto provvedere “ora per allora”, ricostruendo le abitudini e le preferenze degli utenti all’epoca del precedente sondaggio, ossia nel 2010, in modo che le risultanze avrebbero sostituito con efficacia ex tunc le disposizioni annullate dalla sentenza n. 4660/12.

Invece, operando diversamente, ovvero effettuato l’indagine prendendo come parametro le preferenze degli utenti nel 2013, avrebbe di fatto predisposto nuove prescrizioni con effetto ex nunc, frustrando l’effetto conformativo alla sentenza.

Nonostante l’Agcom avesse eccepito l’irragionevolezza di una ricostruzione “ora per allora” alla luce del nuovo contesto del mercato radiotelevisivo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che tale circostanza non avrebbe rappresentato un motivo per non ottemperare alla sentenza, in quanto sussistevano ancora dei margini di eseguibilità del provvedimento.

Il Supremo Consesso riteneva infatti che, pur se ovviamente la ricorrente non avrebbe potuto concretamente materializzare, per il periodo intercorso tra il primo e il secondo piano, la possibilità di vedersi assegnata la numerazione a cui aspirava, un esito favorevole della ricostruzione delle preferenze degli utenti “ora per allora” avrebbe dato alla ricorrente il titolo per ottenere “se non la restituito in integrum per il tempo ormai trascorso, almeno il risarcimento per equivalente per il pregiudizio subito per la mancata assegnazione nel 2010 di una posizione di LCN in osservanza del criterio delle preferenze ed abitudini degli utenti.

Veniva inoltre argomentato che nulla vietava all’Agcom di revisionare il piano, ma che dovendo osservare l’obbligo di ottemperanza della sentenza, l’Autorità avrebbe dovuto, in primis, ripronunciarsi ai sensi dell’art. 32, co. 2 lett. b) del Testo unico, ossia come se procedesse per la prima volta all’emanazione del piano; solo successivamente, nel caso in cui ne avesse riscontrato i presupposti di legge, avrebbe potuto esercitare il potere di periodica revisione del piano in corrispondenza allo sviluppo del mercato ai sensi dell’art. 32, co. 2, lett. f) del Testo unico, instaurando un distinto e separato procedimento.

Ulteriore vizio veniva ravvisato nella valutazione dei dati del sondaggio, con particolare riguardo alla ricostruzione delle preferenze ed abitudini degli utenti all’epoca del completo passaggio alla televisione digitale: in particolare, il Consiglio di Stato riteneva che i dati forniti dall’istituto che aveva effettuato il sondaggio non erano stati valutati correttamente dall’Autorità, mentre doveva essere accolta la diversa interpretazione dei dati fornita dalla ricorrente.[23]

Così come le quattro sentenze del 2012 hanno annullato il primo piano, anche il giudizio sulla nuova istruttoria rappresenta una posizione del Consiglio di Stato piuttosto netta rispetto all’istruttoria condotta dell’Autorità e al conseguente provvedimento.

In particolare, sembra opportuno sottolineare che il Giudice amministrativo non abbia considerato che, nell’effettuare la nuova istruttoria, l’Autorità avrebbe dovuto dare esecuzione coordinata a quattro diversi provvedimenti che annullavano, in parti diverse, il primo piano.

Ne discende che l’Agcom non si sarebbe potuta limitare a una nuova pronuncia che tenesse esclusivamente conto della sentenza n. 4660/12; pertanto, nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa, ha rinnovato tutto il procedimento anche alla luce del fatto che il primo piano doveva essere tempestivamente e completamente sostituito per evitare un vacuum regolamentare, così come tra l’atro imposto dallo stesso Consiglio di Stato.

Come efficacemente sottolineato dalla dottrina proprio in riferimento al caso di specie, “non sfugge ovviamente che il Consiglio di Stato, come ogni giudice, conosce del caso concreto sottoposto alla sua attenzione e non può adottare, come invece dovrebbe fare il regolatore, – provvedimenti di sistema. Ma tale argomento si attenua grandemente allorché, come in questo caso, dinnanzi al giudice siano portate più controversie aventi ad oggetto i punti cruciali (oltre che interdipendenti) di un atto regolatorio ed il giudice decida di pronunciarsi con sentenze coeve e con statuizioni di tipo conformativo, cui seguono fasi di ottemperanza (con il conseguente esercizio della giurisdizione di merito), in cui il controllo giudiziario si avvicina sempre di più alla decisione regolatoria[24].

  1. La nomina del commissario ad acta.

Come noto, il giudizio di ottemperanza è caratterizzato da una natura mista, che oltre alla cognizione e all’esecuzione, tende alla vera e propria attuazione del comando giudiziale.

Come sottolineato dalla dottrina, l’aspetto saliente dell’istituto risiede nel potere di sostituzione del giudice all’amministrazione: al fine di rendere effettiva la tutela del ricorrente, accertato l’inadempimento della p.a., il giudice giunge fino all’adozione di atti amministrativi che comportino uso di discrezionalità amministrativa[25], trattandosi di una delle ipotesi di giurisdizione di merito ex art. 134, comma 1, lett. a) c.p.a. Tra i poteri del giudice, secondo l’art. 114 c.p.a.[26], rientra la facoltà della nomina del “commissario ad acta”, organo ausiliario[27] del giudice alla quale quest’ultimo ricorre soprattutto in caso di vicende complesse e che comportano lo svolgimento di ampi poteri discrezionali e all’attività del quale “si riconosce la funzione strumentale di adeguamento della realtà materiale e giuridica alle statuizioni contenute nel provvedimento esecutivo; trattasi, infatti, di quella stessa attività che il giudice dell’ottemperanza, in via di sostituzione dell’amministrazione, ha il potere di porre in essere direttamente.[28]

In relazione al caso di specie, il Consiglio di Stato, già nel dispositivo della sentenza, ha sostituito all’amministrazione il commissario che ha poi svolto le proprie attività secondo le norme che disciplinano l’azione dell’Agcom: pertanto, visto l’impatto rilevante sul mercato di riferimento rappresentato dal piano LCN, ha avviato una consultazione pubblica ai sensi dell’art. 11 del Codice delle comunicazioni elettroniche, secondo le precise disposizioni impartite dal Supremo Consesso.[29]

Il commissario, in breve, ha avuto il compito di accertare se, sulla base dell’indagine demoscopica effettuata nel 2013 (e non su quella del 2010 che, come già rilevato, era stata dichiarata non attendibile da parte del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4660/12), all’epoca della televisione analogica gli utenti sintonizzassero una emittente locale nelle posizioni 7, 8 e 9 e se comunque, all’epoca, esistessero nove emittenti ex analogiche generaliste che giustificassero la riserva delle prime nove posizioni, appunto, a tali emittenti.

Terminati i lavori il commissario, pur con una differente metodologia rispetto all’Autorità, ha confermato l’attribuzione delle posizioni 7, 8 e 9 alle emittenti nazionali ex analogiche generaliste; tuttavia dall’analisi dei palinsesti ha ritenuto che l’assegnataria della posizione nove non avesse quel carattere “generalista” che le consentisse di occupare la posizione, avendo riscontrato che il palinsesto fosse prevalentemente costituito da programmazione musicale e non, appunto, di tipo generalista[30].

  1. Il ricorso in Cassazione per motivi di giurisdizione e la sentenza n. 1836/2016.

Parallelamente allo svolgimento del giudizio in fase ottemperanza e dei lavori del commissario, l’Agcom e il MISE, unitamente ad altri operatori, hanno instaurato avverso la sentenza di ottemperanza, ricorso in Cassazione per violazione delle norme sulla giurisdizione ex artt. 110 c.p.a. e 362 c.p.c.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 1836/2016 del 1 dicembre 2015, hanno accolto il ricorso, proposto per “violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa” che, secondo la giurisprudenza, sussiste  qualora il giudice “compia una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità[31].

Secondo il giudizio della Cassazione, il Consiglio di Stato, accertando l’inottemperanza dell’Autorità senza che nemmeno vi fossero i presupposti per instaurare il giudizio, avrebbe, di fatto, esercitato una giurisdizione di merito, andando appunto oltre i limiti della giurisdizione.

In particolare, le Sezioni Unite hanno censurato la decisione del Giudice amministrativo che imponeva all’Autorità di pronunciarsi “ora per allora” attraverso la ricostruzione delle abitudini e preferenze degli utenti nel 2010, ritenendola del tutto in contrasto con il nuovo contesto di fatto verificatosi con il passaggio dall’analogico al digitale.

Hanno specificato le S.U. che l’Autorità, in sede di adozione del nuovo piano, non poteva non tenere conto del radicale mutamento del contesto tecnico e di mercato venutosi a creare per effetto del passaggio dal sistema televisivo analogico a quello digitale e che, soltanto una completa e rinnovata valutazione delle dinamiche del settore, avrebbe potuto garantire la completezza dell’indagine.

Sostanzialmente, la Corte ha legittimato il metodo con cui l’Autorità aveva condotto l’istruttoria e, in particolare, la scelta di rinnovare l’indagine sulla base delle abitudini degli utenti a seguito del passaggio alla televisione digitale.

Le Sezioni Unite hanno statuito che “la materiale impossibilità di esercitare un potere di indagine “retroattivo” alla luce dell’attualizzarsi dell’esigenza di procedere all’assegnazione della numerazione dei canali del nuovo contesto digitalizzato ha pertanto indotto l’Autorità a svolgere una nuova valutazione comparativa delle singole posizioni delle emittenti radio-televisive interessate alla nuova procedura di assegnazione dei canali, su di un presupposto tecnico-fattuale irreversibilmente mutato, non essendo più replicabile, nemmeno fittiziamente o figurativamente, la situazione la cui sentenza oggi impugnata mostra di fare riferimento per giungere alla conclusione della necessità di nomina a quel (non più praticabile) fine, di un commissario ad acta”.[32]

La nuova situazione, pertanto, avrebbe fatto venir definitivamente meno la possibilità di una istruttoria avente lo stesso oggetto del primo piano annullato dalla sentenza n. 4660/12.

Le Sezioni Unite hanno inoltre sancito che “la assoluta impredicabilità di tale possibilità si poneva, pertanto, ex se e in radice, in termini del tutto ostativi alla vittoriosa instaurazione di un giudizio di ottemperanza, il cui esito non avrebbe potuto in alcun modo spingersi al compimento di un’attività che neppure una condotta spontanea dell’Amministrazione sarebbe stata in condizione di realizzare: onde la decisiva influenza di tale (negativo) presupposto logico giuridico sugli effetti e sulla concreta attuabilità del giudicato amministrativo.[33]

Ha concluso la Corte stabilendo che “le conseguenze del giudicato di annullamento, in termini di ottemperanza, non avrebbero potuto in alcun modo tradursi nell’obbligo, per l’Autorità delle Telecomunicazioni, di procedere ad un esame “virtuale” e retrospettivo della situazione da regolamentare invece hic et nunc – senza per questo incidere sul diritto consequenziale al risarcimento del danno, se esistente, in capo al soggetto che si assumeva nella specie leso dalla condotta della P.A.

In relazione a tale ultimo passaggio, le Sezioni Unite hanno sostanzialmente affermato che, in conseguenza del giudicato di annullamento del primo piano, la ricorrente avrebbe certamente potuto ottenere un risarcimento del danno derivante da una corretta pianificazione della numerazione, ma che altrettanto sicuramente lo stesso giudicato non avrebbe potuto imporre all’Autorità di rivalutare retroattivamente un contesto ormai superato in via di fatto.

  1. Osservazioni conclusive.

Alla luce della sentenza delle Sezioni Unite, sembra opportuno svolgere alcune considerazioni.

Il contenzioso LCN, per la complessità tecnica e novità della materia, ha generato una grande incertezza nel mercato dei servizi di media audiovisivi[34].

Tale incertezza è riconducibile allo stallo nella regolazione per effetto del contenzioso instaurato; basti considerare che, almeno fino alla sentenza delle Sezioni Unite, era ancora vigente in regime di proroga una disciplina risalente al 2010, ovvero prima della completa digitalizzazione del segnale in tutto il Paese.

Sembra interessante rilevare come la giurisdizione amministrativa abbia avuto, nel caso di specie, un rilevante impatto sull’attività regolamentare, come dimostrano le numerose censure sulle valutazioni dell’Autorità, sia durante le istruttorie per l’emanazione di entrambi i piani, sia nella fase di ottemperanza.

Tuttavia, dalla sentenza delle Sezioni Unite, emerge un giudizio piuttosto netto sull’iter logico-giuridico della motivazione con cui il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per ottemperanza e, conseguentemente, sul tema della valutazione giurisdizionale della discrezionalità tecnica delle autorità.

Come efficacemente sostenuto, la Cassazione, in altri termini, oggi ci dice che questo tipo di valutazione, che attiene ai fatti e alla loro analisi attraverso discipline tecniche, è rimessa al regolatore. Che ad esso non può essere sottratta. E ciò anche dinanzi a una pronuncia di illegittimità: se, a seguito della declaratoria del giudice, l’amministrazione regolatrice deve intervenire nuovamente, deve essere messa in condizione di poterlo fare. Specialmente laddove i confini della materia, come nel caso di specie, sono incerti.

Su un piano generale, riemerge con forza il tema del sindacato giurisdizionale sugli atti regolatori delle autorità indipendenti. L’accesso al fatto del giudice, ai sensi del nuovo sistema processuale, è pieno. Tuttavia, si deve lasciar operare la discrezionalità tecnica, ossia quella specificità dei saperi che è alla base della presenza, nell’ordinamento, di amministrazioni neutrali.”[35]

Ciò posto, per effetto della pronuncia sembra che, allo stato, l’atto regolamentare vigente corrisponda al secondo Piano di cui alla delibera n. 237/13/CONS, avendo la sentenza demolito il giudizio di ottemperanza che ne aveva sospeso l’applicazione.

A prescindere da ogni ulteriore considerazione e in attesa di capire come il Mise gestirà i nuovi bandi di assegnazione alla luce della repentina modifica della regolamentazione e delle successive modifiche normative intervenute[36], sembra senz’altro opportuno un intervento immediato; intervento che, data la complessità della materia e dell’impasse a cui si è andati incontro a seguito del contenzioso, sarebbe stato certamente opportuno già da tempo, magari attraverso un atto normativo primario, al fine di dare certezza sia ai player del mercato, sia agli utenti.

Note*

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto ad un referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista.

[1] Dal punto di vista tecnico, il servizio è gestito dall’operatore di rete che attribuisce la numerazione tramite il multiplex esercito.

[2] L. Spadaro, I nuovi canali di accesso, 203 ss. in La regolamentazione dei contenuti digitali, pag. 205, a cura di E. Apa e O. Pollicino, Roma, Aracne editrice, 2015.

[3] 2. Fermo il diritto di ciascun utente di riordinare i canali offerti sulla televisione digitale nonché la possibilità per gli operatori di offerta televisiva a pagamento di introdurre ulteriori e aggiuntivi servizi di guida ai programmi e di ordinamento canali, l’Autorità, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotta un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi in ordine di priorità:
a) garanzia della semplicità d’uso del sistema di ordinamento automatico dei canali;
b) rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali;

  1. c) suddivisione delle numerazioni dei canali a diffusione nazionale, sulla base del criterio della programmazione prevalente, in relazione ai seguenti generi di programmazione tematici: semigeneralisti, bambini e ragazzi, informazione, cultura, sport, musica, televendite. Nel primo arco di numeri si dovranno prevedere adeguati spazi nella numerazione che valorizzino la programmazione delle emittenti locali di qualità e quella legata al territorio. Nello stesso arco di numeri non dovranno essere irradiati programmi rivolti a un pubblico di soli adulti. Al fine di garantire il più ampio pluralismo in condizioni di parità tra i soggetti operanti nel mercato, dovrà essere riservata per ciascun genere una serie di numeri a disposizione per soggetti nuovi entranti;
  2. d) individuazione di numerazioni specifiche per i servizi di media audiovisivi a pagamento;
    e) definizione delle condizioni di utilizzo della numerazione, prevedendo la possibilità, sulla base di accordi, di scambi della numerazione all’interno di uno stesso genere, previa comunicazione alle autorità amministrative competenti;
  3. f) revisione del piano di numerazione in base allo sviluppo del mercato, sentiti i soggetti interessati.

[4] 3. Il Ministero, nell’ambito del titolo abilitativo rilasciato per l’esercizio della radiodiffusione televisiva in tecnica digitale terrestre, attribuisce a ciascun canale la numerazione spettante sulla base del piano di numerazione e della regolamentazione adottata dall’Autorità ai sensi del comma 2 e stabilisce le condizioni di utilizzo del numero assegnato. L’attribuzione dei numeri ai soggetti già abilitati all’esercizio della radiodiffusione televisiva in tecnica digitale terrestre è effettuata con separato provvedimento integrativo dell’autorizzazione.
4. In caso di mancato rispetto della disciplina adottata dall’Autorità ai sensi del comma 2 o delle condizioni di utilizzo del numero assegnato stabilite ai sensi del comma 3, il Ministero dispone la sospensione dell’autorizzazione a trasmettere e dell’utilizzazione del numero assegnato per un periodo fino a due anni. La sospensione è adottata qualora il soggetto interessato, dopo aver ricevuto comunicazione dell’avvio del procedimento ed essere stato invitato a regolarizzare la propria posizione, non vi provveda entro il termine di sette giorni. In caso di reiterata violazione, nei tre anni successivi all’adozione di un provvedimento di sospensione, il Ministero dispone la revoca dell’autorizzazione a trasmettere e dell’utilizzazione del numero assegnato.

[5] Un’associazione di categoria degli operatori televisivi aveva cercato di ovviare il problema tramite procedure di co-regolamentazione notificate anche all’Autorità, iter tuttavia fermatosi a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Romani.

[6] AGCM, 1 febbraio 2010, segnalazione AS661 ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287 su “Ordinamento automatico dei canali”.

[7] M. Cuniberti, Digitale Terrestre e telecomando: il nuovo Piano di numerazione dei canali, occasione mancata?, www.medialaws.it, 6 dicembre 2012.

[8] Vd. nota n. 3.

[9] A ben vedere, il primo criterio enunciato dall’art. 32 corrisponde alla “garanzia della semplicità d’uso del sistema di ordinamento automatico dei canali” che tuttavia, per la sua genericità e forse ovvietà, è ricaduto in secondo piano rispetto alle preferenze degli utenti.

[10] E per quelli rimasti fuori da tale fascia, almeno il numero 20 del primo arco di numerazione.

[11] Comma 1 lettera g) delibera n. 366/10/CONS: canale legittimamente irradiato in ambito nazionale in tecnica analogica e in simulcast in tecnica digitale terrestre che trasmette in chiaro prevalentemente programmi di tipo generalista con obbligo di informazione.

[12] Per completezza, si rileva che ai servizi di media audiovisivi a pagamento sono riservati il quarto e quinto arco di numerazione.  Infine le posizioni 0, 100, 200, 300, 400, 500, 600, 700, 800, 900 sono riservate ai servizi di interesse generale come le guide ai programmi, i canali mosaico e tutti gli aiuti alla navigazione e alla libera scelta dei programmi.

[13] In questo senso L. Spadaro, I nuovi canali di accesso, 203 ss. in La regolamentazione dei contenuti digitali a cura di E. Apa e O. Pollicino, Roma, Aracne editrice 2015.

[14] F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, pag 118, Roma, 2012, Dike giuridica editrice

[15] idem, pag 120

[16] P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, pag. 209, CEDAM, 2001.

[17] In tal senso vd. D. De Pretis, Dizionario di diritto pubblico a cura di S. Cassese, voce Valutazioni tecniche della pubblica amministrazione, Milano, 2006

[18] Cons. Stato, Sez. V, 2479/15; Id. 6041/14; Id. 6154/2014; Id. 2901/12; Id. 5140/12

[19] Cons. Stato, Sez. III, 1856/13.

[20] Cass. SS.UU. n. 1013/14.

[21] R. Giovagnoli, Le Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercati, in www.giutizia-amministrativa.it, relazione al convegno tenutosi presso il Consiglio di Stato il 28 febbraio 2013.

[22] Consiglio di Stato n. 4660/2012.

[23] Secondo il CdS, i dati prodotti dalla ricorrente, provenienti dal medesimo istituto incaricato di espletare il sondaggio, sarebbero stati più corretti poiché basati sul dato disaggregato  che valutava esclusivamente le risposte del 65% del campione che ricordava i dati sul posizionamento delle emittenti locali e non il 100% delle risposte degli intervistati.

[24] O. Grandinetti, Numerazione del telecomando: un groviglio sempre più intricato, in Giornale di diritto amministrativo, 2014, fasc. 7 pp 722-732.

[25] Vd. in proposito S. Tarullo, in Giustizia amministrativa a cura di F.G. Scoca, Giappichelli, Torino, 2014.

[26] 1. L’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l’azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

  1. Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato.
  2. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
  3. Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:
  4. a) ordina l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione;
    b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
    c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;
  5. d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
  6. e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce

titolo esecutivo.

  1. Se è chiesta l’esecuzione di un’ordinanza il giudice provvede con ordinanza.
    6. Il giudice conosce di tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle

inerenti agli atti del commissario.

  1. Nel caso di ricorso ai sensi del comma 5 dell’articolo 112, il giudice fornisce chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, anche su richiesta del commissario.
    8. Le disposizioni di cui al presente Titolo si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza.
    9. I termini per la proposizione delle impugnazioni sono quelli previsti nel Libro III.

[27] Sulla figura del commissario ad acta si rileva un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale in merito alla qualificazione della natura giuridica di tale organo, se organo straordinario dell’amministrazione, ausiliario del giudice o organo misto. Nonostante l’inserimento la collocazione nel c.p.a. del commissario tra gli “ausiliari del giudice” (art. 21 c.p.a.), la questione non è stata totalmente risolto sebbene numerose pronunce giurisprudenziali confermino l’impostazione seguita dal legislatore (da ultimo Consiglio di Stato Sez. VI, 15 settembre 2015 n. 4299)

[28] S. Tarullo, in Giustizia amministrativa a cura di F.G. Scoca, Giappichelli, Torino, 2014.

[29] A) rinnovare ora per allora l’istruttoria svolta da Agcom in vista dell’adozione del Primo Piano LCN al fine di verificare quali fossero le abitudini e le preferenza degli utenti con riguardo alle emittenti collocate ai numeri 7, 8 e 9, attraverso un riesame dei dati raccolti con il sondaggio del 2013 o attraverso un nuovo sondaggio ove lo ritenesse necessario; B) verificare se all’epoca del Primo Piano LCN fossero effettivamente operative n. 9 emittenti analogiche nazionali generaliste; C) limitare alle sole posizioni 7, 8 e 9 sia le elaborazioni dei dati riferite a tali posizioni nel 2010 con il sistema analogico, sia la conseguente individuazione, ora per allora, delle emittenti cui il Piano del 2010 avrebbe dovuto assegnare le posizioni se l’Autorità avesse effettuato una lettura corretta dei risultati del primo sondaggio e se questo fosse stato effettuato correttamente. Si rileva che la prima bozza di determinazione del commissario non ha avuto seguito a causa dell’ordinanza n. 5127/2014; successivamente, l’ordinanza 5859/14 ha impartito al Commissario ulteriori indicazioni per la corretta esecuzione dell’incarico e specificando che: 1) rilevato che il commissario non riteneva opportuno effettuare un nuovo sondaggio, esaminare solo i dati raccolti dal secondo sondaggio e non prendere in considerazione i dati dell’indagine del 2010 (dichiarata non completa dal CdS); 2) chiarimenti sulla lettura di alcuni dati; 3) esistenza di n. 9 emittenti analogiche nazionali generaliste che avessero titolo per rientrare nelle prime nove posizioni.

[30] Si rileva inoltre che, nelle more dei lavori del commissario, è stato promosso dall’Autorità, dal Mise e da altri operatori un giudizio di revocazione. L’Autorità e il Ministero deducevano l’errore di fatto nel quale sarebbe intercorso il Collegio nel ritenere che l’Agcom non avesse correttamente valutato i dati del secondo sondaggio relativi alle preferenze e le abitudini degli utenti e che avrebbe costituito un “abbaglio dei sensi” che, ricadendo su un punto decisivo della controversia, avrebbe costituito l’ipotesi tipica di revocazione per errore di fatto.

L’errore sarebbe consistito nel valutare diversamente i dati dedotti dalla ricorrente in sede giudizio di ottemperanza rispetto a quelli utilizzati dall’Agcom durante l’istruttoria.

Le ricorrenti sostenevano, specificamente, che entrambi i dati avrebbero ricondotto al medesimo risultato e che l’apparente diversità fosse data solo dalla diversa base di calcolo utilizzata per la lettura dei dati stessi.

Il ricorso, tuttavia non veniva accolto dal giudice: in particolare, nonostante il CdS avesse riconosciuto l’errore di fatto, non ha rilevato il requisito della decisività dell’errore, elemento necessario ai fini dell’accoglimento del ricorso.

[31] Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 30/10/2013 n. 24468

[32] SS.UU. n. 1836/2016 del 01 dicembre 2015, pag. 2

[33] Idem, pag. 3

[34] Secondo la relazione annuale 2013, l’85% della popolazione usufruisce dei contenuti televisivi attraverso il segnale digitale terrestre, pertanto la questione LCN, nel nostro Paese, assume un’importanza assolutamente rilevante.

[35] A. Preto, Lcn, la Cassazione dà ragione a Agcom. Ma non solo sul telecomando tv in www.corrierecomunicazioni.it del 5 febbraio 2016.

[36] Si veda in tal senso l art.6 comma 9-septies del decreto – legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n.9, come modificato dall’art.1, comma 147, della legge 23 dicembre 2014, n.190, in tema di LCN per l’emittenza locale.

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