skip to Main Content

Concorso di colpa del danneggiato incapace

di Monica La Pietra Abstract: Nel provvedimento in commento del 13 febbraio 2013 la Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema relativo all’applicabilità al soggetto incapace di intendere o di volere della previsione di cui all’art. 1227, comma 1, c.c. in forza della quale se il fatto colposo del creditore ha concorso a produrre il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nota a Corte di Cassazione civile, sezione III, 13 febbraio 2013, n. 3542 Sommario: 1. Il caso. – 2. Concorso di colpa del danneggiato incapace. 1. Il caso Un bambino di tre anni, sceso dalla bicicletta della nonna per rincorrere il cugino, viene investito da un’autovettura mentre attraversa la strada. Per la Corte d’Appello di Venezia la conducente avrebbe potuto evitare il sinistro se avesse tenuto una velocità inferiore a 40 km/h, adeguata alle circostanze di tempo e di luogo. La sua responsabilità, tuttavia, è quantificabile nel 15%, mentre la maggiore responsabilità va attribuita, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., al danneggiato, avendo egli attraversato la strada lontano dalle strisce pedonali e di corsa. 2. Concorso di colpa del danneggiato incapace Con sentenza n. 3542 del 13 febbraio 2013 la Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema relativo all’applicabilità della previsione di cui all’art. 1227, comma 1, c.c. al soggetto incapace di intendere o di volere. La norma prevede che se il fatto colposo del creditore ha concorso a produrre il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate [1]. Il principio è riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c. ed era già riconosciuto in giurisprudenza e in dottrina sotto il vigore del codice del 1865 [2]. Al fine di verificare se tale fattispecie possa realizzarsi nel caso dell’incapace ovvero se un fatto colposo del creditore possa essere ravvisato in quello commesso da un soggetto che non ha facoltà di intendere o di volere è necessario analizzare la ratio della norma [3] e considerare, altresì, che la condotta del danneggiato si inserisce in un quadro complesso, in cui viene in rilievo un fatto illecito altrui [4]. La giustificazione su cui si fonda la riduzione del risarcimento per il fatto del creditore va individuata per un primo indirizzo interpretativo nel principio di “autoresponsabilità”. Alla norma va assegnata una funzione sanzionatoria e general-preventiva, in quanto attraverso la minaccia di una sanzione si vuole influire sulla condotta degli eventuali danneggiati, inducendoli ad agire in modo tale da prevenire i danni che potrebbero subire [5]. In questa prospettiva si è osservato che «l’ordinamento non si preoccupa in generale di impedire che gli individui danneggino se stessi, sebbene ciò possa nuocere alla società considerata nel suo complesso; ma nelle ipotesi in cui la prevenzione viene imposta dalla legge agli estranei, si ritiene giusto ed opportuno che anche i titolari degli interessi minacciati contribuiscano al perseguimento del medesimo fine» [6]. L’autoresponsabilità del danneggiato viene considerata un mezzo di cui la legge si serve per assicurare il migliore funzionamento del sistema della responsabilità e trova giustificazione nell’interesse generale, in quanto consente che il fine delle norme sulla responsabilità civile, ossia la prevenzione dei danni, possa essere attuato con mezzi meno gravosi di quelli che altrimenti sarebbero necessari, sia per i singoli che la collettività. Ciò in quanto sollecitando una condotta diligente delle potenziali vittime, la norma consente «di attenuare i doveri di diligenza che gravano sugli altri soggetti, ampliando la loro sfera di libertà. In tal modo si realizza indubbiamente un migliore equilibrio tra gli interessi dei consociati, senza per questo diminuire l’efficacia complessiva delle norme che mirano alla prevenzione dei danni» [7]. Questa interpretazione appare, altresì, coerente con il dato letterale, atteso che l’art. 1227, comma 1, c.c. fa riferimento al “fatto colposo” del creditore e alla “gravità della colpa”. Si sottolinea che «prevedendo un “fatto colposo del creditore”, e richiamando nel capoverso il criterio dell’“ordinaria diligenza”, il legislatore ha infatti chiarito che il nesso causale tra il danno ed un “fatto” qualsiasi della vittima non è sufficiente, essendo invece necessario accertare se la condotta che ha causato l’evento sia stata colposa o diligente» [8]. Se la ratio dell’art. 1227, comma 1, c.c. è quella di far sì che i soggetti si comportino diligentemente al fine di evitare danni, deve ritenersi che una colpa del danneggiato incapace non può configurarsi, dal momento che la previsione non può avere alcun effetto su coloro i quali non sono in grado, per definizione, di comprendere la necessità di agire nel modo richiesto dalla legge [9]. In altri termini, essendo la capacità presupposto della colpa, il soggetto incapace non può porre in essere il fatto colposo richiesto e, quindi, non può considerarsi concorrente in senso giuridico alla produzione del danno. Una diversa opinione ravvisa, invece, nella norma di cui all’art. 1227, comma 1, c.c. un corollario del principio di causalità, per cui al danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile [10]. Alla norma, inquadrata nell’ambito del principio causalistico, viene attribuita la funzione di regolare l’efficienza causale del comportamento del danneggiato, e quindi l’entità del risarcimento [11]. In tale prospettiva, un fatto colposo del creditore può essere ravvisato anche in quello commesso da un soggetto che non ha facoltà di intendere o di volere. Secondo questa interpretazione, la colpa cui fa riferimento l’art. 1227 c.c. non va intesa come criterio di imputazione del fatto, in quanto il soggetto che danneggia sé stesso non compie un atto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non può essere sanzionato come l’autore del danno ingiusto. Nella giurisprudenza più risalente è possibile individuare pronunce che aderiscono ad entrambe le tesi esposte. La prima interpretazione fu recepita da alcuni arresti giurisprudenziali [12], che affermarono il principio secondo cui il risarcimento non può essere diminuito a causa del comportamento del danneggiato incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa. Diverse decisioni ritennero, viceversa, applicabile la riduzione del risarcimento ex art. 1227, comma 1, c.c. anche al soggetto incapace [13]. Il contrasto fu superato dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 17 febbraio 1964 n. 351, che stabilì che il principio della riduzione proporzionale del danno in ragione del comportamento del soggetto danneggiato si applica anche quando costui sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa [14]. Per le Sezioni Unite il danno che un soggetto arreca a sé stesso, sia egli capace di intendere e di volere o meno, non può essere posto a carico dell’autore della causa concorrente, sia in virtù del principio secondo cui il risarcimento deve essere proporzionato all’entità della colpa di ciascun concorrente, sia per l’esigenza equitativa di evitare un indebito arricchimento. La Suprema Corte non ha ritenuto decisivo, a favore della interpretazione contraria, che la riduzione del risarcimento debba essere commisurata alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze derivatene, perché anche il concetto di gravità della colpa non deve essere riferito all’elemento psicologico, ma alla maggiore o minore rilevanza del comportamento negligente o imprudente del soggetto danneggiato. Con l’espressione “fatto colposo del creditore” il legislatore non ha voluto fare necessario riferimento all’elemento soggettivo della colpa: ciò che rileva ai fini dell’art. 1227 c.c. è il comportamento oggettivamente in contrasto con norme positive e di comune prudenza tenuto dal danneggiato. Egli non può pretendere il risarcimento del danno prodotto a sé stesso, né può ritenersi che la sua condotta sia superata da quella del danneggiante, così da generare una responsabilità di quest’ultimo che eccede i limiti dell’efficienza causale della sua azione. La riduzione del risarcimento, nel caso di concorso della condotta dell’incapace, non si pone in contrasto con la norma dell’art. 2046 c.c., il cui ambito di operatività riguarda l’esclusione di responsabilità verso i terzi per le conseguenze del comportamento dell’incapace, ma non giustifica anche la pretesa risarcitoria nei confronti di terzi per i danni che egli abbia prodotto a sé stesso [15]. La successiva giurisprudenza di legittimità [16] non si è discostata dai principi fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite. Il suddetto indirizzo interpretativo ha resistito anche al vaglio di costituzionalità; con ordinanza n. 14 del 23.01.1985 la Corte Costituzionale ha, infatti, escluso che contrasti con il principio di eguaglianza la norma di cui all’art. 1227 c.c. nella parte in cui impedisce la risarcibilità della parte di danno che sia stata causata dal comportamento del danneggiato incapace di intendere e di volere [17]. Il giudice delle leggi ha precisato che il comportamento del creditore, sia egli capace o meno, è un evento di cui il debitore non deve rispondere, perché non l’ha cagionato, e che la violazione del principio di eguaglianza non sussiste neppure sotto il profilo del contrasto dell’art. 1227, comma 1, c.c., con gli artt. 2046 e 2047 c.c., atteso che queste norme concernono l’autore dell’illecito, mentre l’art. 1227 c.c. riguarda la persona offesa. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha ritenuto di uniformarsi all’orientamento consolidato e ha ribadito che il principio di cui all’art. 1227, comma 1, c.c. trova applicazione anche quando il danneggiato è un soggetto incapace, cui debba addebitarsi in parte l’evento, dovendosi prescindere, quindi, dalla sua imputabilità. Il comportamento del soggetto incapace di intendere e di volere, concorrente nella produzione dell’evento dannoso, può integrare il fatto colposo del creditore previsto dall’art. 1227, comma 1, c.c. con la conseguente riduzione proporzionale del danno da risarcire, in quanto l’espressione “fatto colposo” deve intendersi come comportamento oggettivamente in contrasto con norme positive o di comune prudenza, e non come comportamento colposo [18]. Secondo la Suprema Corte, questa interpretazione è coerente con il principio secondo cui non può attribuirsi al colpevole una responsabilità maggiore di quella derivante dalla effettiva efficienza causale del suo comportamento. La Corte di Cassazione, inoltre, ha ritenuto operante il limite costituito dal concorso colposo del soggetto danneggiato, indipendentemente dal fatto che nel caso di specie questo comportamento anomalo potesse essere ascrivibile alla omessa vigilanza della nonna. Con la decisione in commento ha, quindi, ribadito che quando un soggetto incapace per minore età o per altra causa subisce un danno in conseguenza di un fatto illecito altrui in concorso con il proprio fatto colposo, l’indagine del giudice deve essere limitata all’esistenza e incidenza della causa concorrente, prescindendo sia dall’imputabilità del fatto, sia dalla responsabilità di chi è tenuto a sorvegliarlo [19]. —————— Note: [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] C.M. Bianca, La responsabilità, Milano, 1994, p. 136 ss.; G. Alpa- M. Bessone, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, Torino, 14, p. 298; G. de Angelis, Il danno risarcibile (contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale) ed il nesso di causalità. La tutela per equivalente pecuniario: funzioni, tipologie e tecniche liquidative del risarcimento danni, in P. Fava (a cura di), La responsabilità civile, Milano, 2010, p. 683 ss.; F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, p. 645; R. Scognamiglio, Note sui limiti della c.d. compensazione di colpa, in Riv. dir. comm., 1954, p. 108 ss.; P.L. Carbone, Norme di comportamento e circolazione dei pedoni, in Danno e responsabilità, 2013, 2, p. 214. [2] G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, in Riv. dir. civ., 1967, p. 460 ss.: «Il codice civile vigente, regolando il concorso del fatto colposo del creditore, ha posto fine alle discussioni che si erano svolte in epoca precedente attorno al problema della cosiddetta “compensazione delle colpe”. Disponendo la diminuzione anziché l’esclusione del risarcimento dovuto dal debitore (art. 1227, comma 1°, c.c.) ed estendendo l’applicazione della stessa norma anche alla responsabilità per fatto illecito (art. 2056, comma 1°, c.c.), il nostro legislatore ha accolto in sostanza l’orientamento dominante nella dottrina e nella giurisprudenza anteriori, oltre che nella maggior parte delle legislazioni straniere». Cfr. C.M. Bianca, La responsabilità, cit., p. 136. [3] Cfr. F. Cafaggi, Profili di relazionalità della colpa. Contributo ad una teoria della responsabilità extracontrattuale, Padova, 1996, p. 72 ss.; C. Cossu, Illecito e responsabilità civile, La responsabilità e il danno cagionato dall’incapace, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, Torino, 2005, p. 208. [4] In proposito A. De Cupis, Sulla riduzione del risarcimento per concorso del fatto del danneggiato incapace, in Foro it., 1958, I, p. 933, osserva che la responsabilità del danneggiante è «condizione necessaria, seppur da sola non sufficiente, della produzione dell’intero danno. Il fatto del soggetto danneggiato integra l’efficacia causale di tale colpa; ma senza questa, ch’è fattore estraneo ed ingiusto, i beni personali, il patrimonio, del soggetto non sarebbero rimasti pienamente lesi». Per G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 469, «la norma occupa nel sistema una posizione del tutto particolare. Da un lato, infatti, la condotta colposa od intenzionale del danneggiato va senza dubbio contrapposta, in quanto produce la lesione di un interesse proprio, agli atti illeciti commessi a danno di altri. Da un altro punto di vista, però, l’autoresponsabilità appare strettamente connessa con la responsabilità civile e il risarcimento: dal momento che l’atto colposo della vittima concorre per ipotesi a cagionare quello stesso danno che è prodotto dall’illecito o dall’inadempimento altrui, esso presenta una serie di problemi assai simili a quelli che sorgono in tema di responsabilità». U. Violante, Principio causalistico e declino del principio di autoresponsabilità, in Danno e responsabilità, 2010, 8/9, p. 790, osserva che «tutte le volte in cui si configura un’ipotesi di concorso di colpa, il fatto dannoso si presenterà come conseguenza di due fattori: la condotta imputabile al danneggiante e il comportamento del danneggiato. Quest’ultimo, ponendosi come fattore esterno rispetto alla causa del danno – costituita dalla condotta colposa del danneggiante o dalla relazione, per così dire qualificata, che intercorre tra un dato soggetto e la fonte del danno (si pensi al caso della responsabilità del custode)-, non determina l’interruzione del nesso causale per l’assenza dei caratteri idonei a conferirgli forza esimente, ma si inserisce nel processo eziologico, divenendo così parte integrante della catena causale. L’evento di danno rappresenterà perciò il frutto della combinazione tra la fonte originaria (del danno) e il fattore sopravvenuto. Sin qui l’indagine preliminare diretta all’individuazione dei (cor)responsabili. Da questo momento in poi si apre una nuova fase (che dalla prima non può prescindere ed anzi ne presuppone il completamento): quella relativa alla misurazione dell’efficienza causale da attribuirsi a ciascun tortfeasor nella produzione del danno. A questi fini, conducendo un esame comparativo delle condotte poste in essere da ciascun coautore, il giudice sarà chiamato a stabilire se l’impatto causale prodotto da ognuna di esse sia stato di alto, basso o medio livello; solo così sarà possibile determinare il grado di responsabilità, espresso in quote percentuali, da apporzionare su ciascun tortfeasor». C.M. Bianca, La responsabilità, cit., p. 136, nota 68, osserva che il concorso di colpa può essere opposto anche dai terzi responsabili. «Ciò deve dirsi anche con riguardo all’assicuratore contro la responsabilità per danni a terzi. Esso risponde infatti nei limiti del massimale e nei limiti di ciò che il danneggiante deve al danneggiato, tenuto conto, quindi, anche del concorso di colpa di quest’ultimo». Sul punto cfr. anche C. Lanzani, Surrogazione dell’assicuratore e concorso colposo del creditore, in Danno e Responsabilità, 2008, 11, p. 1095. [5] G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 481 ss.; A. De Cupis, Sulla riduzione del risarcimento per concorso del fatto del danneggiato incapace, cit., p. 933; Idem, Postilla sulla riduzione del risarcimento per concorso del fatto del danneggiato incapace, in Riv. dir. civ., 1965, II, p. 62; M. Bussani-A. Venchiarutti, Variazioni sulla colpa, in Riv. critica di dir. priv., 1987, p. 47; R. Scognamiglio, Responsabilità civile, in Nss. D.I., XV, Torino 1968, p. 628; P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, p. 129 ss. Per S. Pugliatti, (voce) Autoresponsabilità, in Enc. dir., Milano, 1959, «Si può ritenere, in linea generale, che, nel nostro ordinamento positivo, anche l’autoresponsabilità riposi sul fondamento della colpa. (…) Nelle ipotesi nelle quali impropriamente si suole fare riferimento alla cosiddetta compensazione delle colpe, vengono a trovarsi di fronte la responsabilità (per illecito) del danneggiante e l’(auto)responsabilità del danneggiato. Quest’ultima viene assunta come causa paralizzatrice, in tutto o in parte, degli effetti dell’illecito, e quindi influisce sulla risarcibilità del danno o sulla misura del risarcimento (…) Non si tratta qui del puro rischio, come nozione extragiuridica, bensì della particolare rilevanza giuridica da attribuirsi alla condotta del danneggiato (…) Risulta evidente che quel rischio implica autoresponsabilità». G. Grisi, Causalità materiale, causalità giuridica e concorso del creditore nella produzione del danno, in I Contratti, 2010, 6, p. 617, nota 20, osserva che «bisogna intendersi sul significato da assegnare al concetto di auto-responsabilità. Il richiamo ad esso può giudicarsi, qui, pertinente per la sua efficacia evocativa della negligenza imputabile al creditore, costretto per essa a pagare un prezzo, ma non può assumersi in senso tecnico come espressivo dell’idea di responsabilità verso se stesso». [6] G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 481. [7] G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 482. [8] G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 464 ss., in particolare p. 474 l’Autore osserva che la causalità non è sufficiente per identificare la ratio della norma, dovendosi invece spiegare anche la necessità della colpa: «a una diversa conclusione si potrebbe giungere solo a patto di negare ogni significato ai termini “colposo” e “colpa”, contenuti nel primo comma dell’art. 1227 c.c. Ma tale interpretazione, che contraddirebbe in modo palese la lettera della legge, manca di qualsiasi fondamento». G. Grisi, Causalità materiale, causalità giuridica e concorso del creditore nella produzione del danno, cit., p. 617, sottolinea che «non è casuale che l’art. 1227 comma 1 c.c. parli di “concorso del fatto colposo”. Questa espressione sta a testimoniare l’inserimento, nel contesto delineato, di un dato, rappresentativo della negligenza dal creditore mostrata per non essersi adoperato, avendone la possibilità, per prevenire l’insorgenza di un danno, in definitiva per aver mancato di cooperare alla realizzazione del proprio interesse. Questo contegno del creditore non genera imputazione di responsabilità, non costituisce inadempimento di un obbligo, ma è semmai fonte di autoresponsabilità e rivela l’inosservanza di un onere: l’art. 1227 comma 1 c.c. è lì ad affermare che, se si dimostra che senza quel comportamento il danno sarebbe stato in parte evitato – in ciò si sostanzia l’idea che esso abbia “concorso a cagionare il danno” – pienamente giustificata appare, quale sanzione di detta inosservanza, la riduzione del risarcimento. Si associa comunemente la colpa all’assenza di diligenza ed è quanto si registra nella fattispecie: ma con l’avvertenza che la previsione, non tanto esprime un giudizio di riprovazione del comportamento del creditore, ma vale ad evidenziare come quest’ultimo non abbia da temere decurtazioni dell’entità del risarcimento là dove, avendo assicurato detta cooperazione, si sia – nel senso poc’anzi precisato – diligentemente comportato. È significativo il testuale riferimento alla violazione di oneri di cooperazione che la giurisprudenza di legittimità ha operato proprio ai fini della configurazione del concorso di colpa. La prevista diminuzione del risarcimento e la circostanza che essa avvenga “secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate” ben si armonizzano in questo contesto, evidentemente ispirato dalla valenza preventiva e promozionale che la previsione legale in esame chiaramente esibisce». [9] G. Visintini, Imputabilità e danno cagionato dall’incapace, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, p. 118. Per G. Criceti, Concorso del danneggiato incapace e riduzione del danno nei confronti delle «vittime secondarie», in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 125, «il danneggiante può invocare una riduzione del risarcimento solo nel caso in cui abbia concorso a causare il danno il comportamento colpevole del danneggiato. Conseguentemente, la riduzione del risarcimento non potrebbe essere invocata nel caso in cui abbia concorso a causare il danno un soggetto incapace, rispetto al quale non può farsi imputazione di un comportamento propriamente colpevole. L’art. 1227 c.c., in altri termini, sembra fare del problema della riduzione del risarcimento una questione di imputabilità, nel senso che il fatto del danneggiato è rilevante solo se pienamente imputabile a quest’ultimo». G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 511 s. osserva che «Il vero motivo per cui molti autori, e lo stesso nostro supremo organo giudicante, si sono schierati in favore della diminuzione del risarcimento, sta forse nel fatto che molto spesso, in presenza del concorso di un incapace, il risarcimento totale pare sproporzionato alla lievità della colpa commessa dal danneggiante, specie se il fatto della vittima ha avuto una maggiore “efficienza causale”». Tuttavia «questa considerazione non può essere tenuta presente in base al diritto positivo italiano. E comunque, se si volesse introdurre una riforma in tal senso, essa dovrebbe riguardare in generale tutti i casi in cui vi sia una sproporzione tra la colpa del responsabile e il danno da lui provocato, e non essere limitata alle sole ipotesi di concorso dell’incapace e di stato di necessità. Quanto poi alla disparità di trattamento, che con la nostra soluzione si produrrebbe fra i diversi danneggianti, obbligati a risarcire l’intero danno oppure una parte di esso a seconda che il danneggiato sia o non sia capace, si può osservare che le norme sulla responsabilità civile non si preoccupano affatto di assicurare un trattamento uguale ai responsabili di danni ingiusti di pari gravità. Basti infatti considerare che, a parità di altre circostanze, il danno deve essere risarcito per intero se a produrlo concorre un fatto fortuito e imprevedibile, ma viene invece risarcito parzialmente se la concausa è costituita da un fatto colposo del danneggiato». [10] C.M. Bianca, La responsabilità, cit., p. 137, evidenzia che l’esigenza che al danneggiante non faccia carico il danno per quella parte che non è a lui casualmente imputabile è già avvertita dalle fonti romane: D.50.17.203 (Pomponius libro VIII ad Quintum Mucium) «quis ex culpa sua damnum sentit, non intellegitur damnum sentire». Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 718; A. Liserre, Ancora sul concorso colposo del danneggiato incapace, in Foro pad., 1962, I, p. 1265; E. Ondei, Nota sulla responsabilità civile dei non imputabili, in Riv. dir. civ., 1965, II, p. 462; L. Devoto, L’imputabilità e le sue forme nel diritto civile, Milano 1964, p. 91 ss., p. 98 ss.; G. Gentile, Ancora sul concorso di colpa dell’incapace, in Resp. civ. prev., 1964, p. 18; C. Salvi, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica-P. Zatti, Milano, 2005, p. 237; Idem, Responsabilità extracontrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., 1988, XXXIX, p. 1224, osserva che il principio di autoresponsabilità «se è idoneo a indicare la ratio della disposizione, non vale a escluderne la riconducibilità al profilo causale, bensì a fondarla sulla qualità colpevole del comportamento del danneggiato, secondo quello che del resto è l’ordinario modo di operare delle regole eziologiche nell’imputazione per colpa. Un giudizio in termini causali è d’altronde sempre necessario: preliminarmente, per accertare se il comportamento della vittima non sia idoneo a escludere del tutto la responsabilità (e quindi l’applicazione dell’art. 1227), in quanto tale – per la sua anormalità o eccezionalità – da interrompere il rapporto di causalità con il fatto del convenuto; in secondo luogo, per valutare l’efficienza causale rispettiva delle due condotte, che è uno dei due criteri, insieme alla gravità delle colpe rispettive, per la riduzione del risarcimento (analogamente a quanto previsto dall’art. 2055 comma 2)». [11] Incidendo il concorso di colpa sul nesso di causalità, esso dev’essere rilevato d’ufficio, se risulta dagli atti del giudizio. L’onere della prova del concorso del danneggiato spetta al danneggiante, trattandosi di circostanza che esclude o limita la pretesa del danneggiato: C.M. Bianca, La responsabilità, cit., p. 141. Cfr. anche F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 645. Per G. de Angelis, Il danno risarcibile (contrattuale, extracontrattuale e precontrattuale) ed il nesso di causalità. La tutela per equivalente pecuniario: funzioni, tipologie e tecniche liquidative del risarcimento danni, cit., p. 685, l’ipotesi del concorso di colpa «non concretando un’eccezione, ma una semplice difesa, deve essere esaminata dal giudice anche d’ufficio». In giurisprudenza cfr. Cass., 30.09.2008, n. 24320, in Giust. civ. Mass., 2008, 9, p. 1405: quando «il danneggiato abbia offerto la prova del danno e della sua derivazione causale dall’illecito – costituisce onere probatorio del danneggiante dimostrare che il danno sia stato prodotto, pur se in parte, anche dal comportamento del danneggiato (art. 1227 comma 1 c.c.) ovvero che il danno sia stato ulteriormente aggravato da quest’ultimo (art. 1227 c.c., comma 2)». Per Cass., 18.09.2008, n. 23851, in Resp. civ. prev., 2009, 6, p. 1342, e per Cass., 2.03.2007, n. 4954, in Foro it., 2007, 7-8, I, p. 2069, «la prova che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza deve essere fornita dal debitore-danneggiante che pretende di non risarcire, in tutto o in parte, il creditore». [12] Cass., 5.07.1950, n. 1749, in Resp. civ. prev., 1950, p. 430; Cass., 11.06.1953, n. 1697, ivi, 1954, p. 253; Cass., 25.03.1957, n. 1016, in Foro it., 1958, I, p. 943; Cass., 3.06.1959, n. 1650, in Foro it., 1959, I, p. 923; Cass., 10.02.1961, n. 291 e App. Milano, 24.11.1961, in Foro it., 1962, I, p. 913; App. Milano, 13.02.1959, in Giur. it., 1960, I, 2, p. 68; App. Firenze, 30.11.1961, in Giur. it., 1963, I, 2, p. 107; Cass., 28.04.1962, n. 827, in Foro it., 1962, I, p. 913. [13] Cass., 20.07.1953, n. 2403; Cass., 25.03.1957, n. 1016, in Resp. civ. prev., 1957, p. 243; Cass., 16.04.1957, n. 1284, in Mon. Trib., 1958, p. 123; Cass., 28.04.1962, n. 827, in Foro it., 1963, I, p. 913. [14] Cass. sez. un., 17.02.1964, n. 351, in Foro it., 1964, I, p. 752. [15] In senso critico G. Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, cit., p. 509. [16] Cass., 21.04.1965, n. 702, Foro it., 1965, I, p. 890; App. Firenze, 17.04.1964, in Resp. civ. prev., 1965, p. 320; Cass., n. 17532/73; Cass., 12.03.1978, n. 1736; Cass., 24.02.1983, n. 1442; Cass., n. 4691/92, in Giust. civ. Mass., 1992, 4; Cass., 5.05.1994, n. 4332, in Giust. civ. Mass., 1994, p. 610, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1994, 953, in Assicurazioni, 1995, II, 13; Cass., 1.04.1995, n. 3929, in Giur. it., 1996, I, 1, p. 222; Cass., 24.05.1997, n. 4633; Cass., 10.02.2005, n. 2704, cit., in Danno e resp., 2005, p. 1175; Cass., 2.03.2012, n. 3242, in Il Corriere giur., 2012, 5, p. 619, con nota di V. Carbone, Concorso di colpa del minore danneggiato, in Guida al diritto, 2012, 27, p. 55; in Giust. civ., 2012, 7-8, I, p. 1719; in Giust. civ. Mass., 2012, 3, p. 254. Cfr. Cass. sez. un., 21.11.2011, n. 24406, in Nuova giur. civ. comm., 2012, 5, I, p. 431, con nota di V. Bachelet, Concorso omissivo colposo del danneggiato: il quasi inestricabile intreccio tra la causalità e la colpa e l’irruzione sul campo della solidarietà. [17] Corte Cost. ord., 23.01.1985, n. 14, in Dir. economia assicur., 1985, p. 610. [18] Cfr. anche Cass., 22.06.2009, n. 14548, in Giust. civ. Mass., 2009, 6, p. 956; Cass., 10.02.2005, n. 2704, cit., p. 1175; Cass., 5.05.1994, n. 4332, cit. [19] Per i giudici di legittimità, inoltre, per la generale portata del principio espresso dall’art. 1227 c.c. la riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito, ma anche nei confronti dei congiunti, che agiscono iure proprio in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito dalla vittima proietta su di essi. Cfr. Cass., 10.02.2005, n. 2704, cit., p. 1175

Back To Top