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Amministrazione di sostegno e attualita’ dello stato di incapacita’

di Monica La Pietra Abstract: La designazione “de futuro” dell’amministratore di sostegno sarebbe ammissibile in virtù della previsione dell’art. 406 c.c., che legittima il beneficiario ad attivare la procedura senza limiti cronologici predeterminati, e dell’art. 408, comma 2, c.c., in base al quale l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. Nota a Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza del 20 dicembre 2012 , n.23707. Sommario: 1. Il caso. – 2. Nomina dell’amministratore di sostegno e attualità dell’incapacità. – 3. Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento sanitario. 1. Il caso. Un soggetto nel pieno delle sue facoltà fisiche e psichiche, con scrittura privata autenticata designa un amministratore di sostegno e ne chiede la nomina, in previsione di una futura ed eventuale incapacità. Con la medesima scrittura privata esprime la propria volontà circa le cure mediche alle quali essere o non essere sottoposto in futuro (consenso all’adozione di cure dirette ad alleviare il dolore, compreso l’uso di oppiacei, e rifiuto alla rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione o alimentazione forzata artificiale in caso di malattia allo stato terminale, trattamenti o sistemi artificiali impeditivi della normale vita di relazione). Il giudice tutelare e la Corte di Appello di Trento respingono l’istanza, osservando che la richiesta di nomina di un amministratore di sostegno non può provenire da persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica, presupponendo l’istituto uno stato di incapacità attuale e non futuro. Ricorre per Cassazione il designante, ritenendo che l’attualità dello stato di incapacità non sia presupposto per l’introduzione dell’istituto e che un amministratore di sostegno possa essere nominato anche al soggetto attualmente capace, che preveda di trovarsi in futuro nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi. 2. Nomina dell’amministratore di sostegno e attualità dell’incapacità. La Suprema Corte è, dunque, chiamata a verificare la necessità di una condizione attuale di incapacità ai fini dell’attivazione della procedura dell’amministrazione di sostegno[1]. Sul punto sono state formulate in dottrina e giurisprudenza diverse ipotesi ricostruttive. Secondo una prima opzione interpretativa un amministratore di sostegno può essere nominato anche al soggetto attualmente capace, che preveda di trovarsi in futuro nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi a causa di una menomazione fisica o psichica e che abbia provveduto alla designazione dell’amministratore nelle forme previste dall’art. 408 c.c. La designazione “de futuro” dell’amministratore di sostegno sarebbe ammissibile in virtù della previsione dell’art. 406 c.c., che legittima il beneficiario ad attivare la procedura senza limiti cronologici predeterminati, e dell’art. 408, comma 2, c.c., in base al quale l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata [2]. Si osserva, inoltre, che l’art. 406 c.c., nell’attribuire la legittimazione al ricorso allo stesso beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, comporta che nella normalità dei casi il ricorso può essere presentato da un soggetto con piena capacità di agire[3]. Le norme citate suggeriscono all’interprete che il legislatore ha individuato l’attualità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo, ma non anche come requisito per la sua istituzione. Questa conclusione appare, altresì, coerente con la natura volontaria della giurisdizione in cui si colloca l’amministrazione di sostegno e con l’esigenza di tutela degli interessi della persona coinvolta[4]. Così «la mancata attualità dello status invalidante non potrà elevarsi a circostanza preclusiva della misura protettiva; ciò parrebbe altresì essere supportato dal tenore letterale dell’articolo 404 c.c., il quale – stabilendo che la persona impossibilitata a provvedere ai propri interessi «può essere assistita» da un amministratore di sostegno – suggerisce all’interprete che il legislatore abbia individuato nell’attualità dello stato d’incapacità del beneficiario (solo) il presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo e non il requisito necessario alla sua istituzione. Dirimente allora è il ruolo della menomazione, la quale, da condizione per la nomina, andrà (unicamente) considerata alla stregua di una condizione per l’esercizio delle funzioni dell’amministratore di sostegno: quest’ultimo ben può essere nominato quando ancora il beneficiario si trovi in uno stato di capacità (momento istitutivo), potendo tuttavia svolgere le sue mansioni solo qualora si appalesi la menomazione fisica o psichica del secondo (momento funzionale)»[5]. Secondo questo orientamento la non attualità dell’incapacità non può essere ritenuto circostanza preclusiva della misura protettiva, anche in considerazione della peculiarità del diritto coinvolto e dei potenziali pregiudizi che il disponente potrebbe subire. Viene sottolineato che la mera esistenza di una scrittura predisposta ai sensi dell’art. 408 comma 2 c.c. potrebbe essere inidonea, in concreto, a fornire effettiva tutela al disponente, per l’impossibilità di ottenere in tempi rapidi il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno[6]. In senso opposto si è espressa altra parte della giurisprudenza di merito[7]: per questo orientamento l’attivazione dell’istituto di protezione presuppone che vi siano effettivi ed attuali bisogni di tutela cui far fronte. La nomina di un amministratore di sostegno impone una valutazione della complessiva situazione della persona in difficoltà. Si afferma, pertanto, che «appare conforme alla lettera ed allo spirito della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno attingere a questa misura protettiva quando ve ne sia un concreto e soprattutto attuale bisogno, non potendosi accedere a domande presentate per la mera e futura eventualità del venir meno di un sistema di protezione spontaneo. Peraltro, l’avvio del procedimento sempre e comunque, senza un’articolata valutazione della situazione della persona in difficoltà rischia poi di allargare a dismisura l’ambito di concreta applicazione dell’istituto, sino a renderlo praticamente inefficace perchè in concreto non gestibile nei tempi e nei modi previsti dal legislatore»[8]. La procedura non può essere attivata “ora per allora”, e cioè sotto la condizione del verificarsi dello stato di incapacità, in previsione del quale è compiuta la designazione in via anticipata dell’amministratore, perché l’attualità dello stato di incapacità è condicio sine qua non per l’istituzione e non solo per l’efficacia della misura protettiva[9]. L’apertura della procedura dell’amministrazione di sostegno ha come presupposto l’attualità della situazione di infermità psichica o fisica di provvedere ai propri interessi; ai fini della nomina «è necessaria, pertanto, l’attualità della situazione e non già la mera eventualità che essa si realizzi in un futuro più o meno prossimo così da strutturare il provvedimento come una sorta di nomina condizionata ad un evento incertus an ed incertus quando»[10]. Così «è sempre possibile, ai sensi dell’art. 408 c.c., designare un soggetto in previsione della eventuale futura incapacità con scrittura pubblica o privata autenticata, ma non è possibile sulla base di quest’ultima dichiarazione, prima del manifestarsi dell’incapacità, depositare il ricorso al giudice tutelare chiedendo di pronunciarsi in largo anticipo sull’eventuale futura incapacità»[11]. Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ritiene che questa seconda interpretazione sia maggiormente condivisibile ed afferma che al fine dell’attivazione della procedura e della nomina dell’amministratore di sostegno è necessaria la sussistenza di una condizione attuale di incapacità del designante. Quando è designato in vista di una futura situazione di incapacità o infermità, l’amministratore di sostegno può essere nominato dal giudice solo se e quando tale condizione si sarà verificata. I Giudici di legittimità osservano che alla luce del combinato disposto degli artt. 404 e 407 c.c. si deve ritenere che la procedura diretta alla nomina di un amministratore di sostegno implica il manifestarsi della condizione di infermità o incapacità della persona. La prima norma citata prevede che «la persona che, per effetto di un’infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio»; l’art. 407 c.c., comma 1, stabilisce poi che «il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve indicare le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno», e al comma 2 prevede che il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa. La Corte di Cassazione, inoltre, richiama la pronuncia n. 13584 del 12 giugno 2006, che ha chiarito la funzione dell’amministrazione di sostegno, quale strumento di assistenza per la persona carente di autonomia a causa della sua condizione di infermità o incapacità, che consente di escludere gli interventi più invasivi costituiti dagli istituti tradizionali posti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione[12]. L’istituto ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire[13]. Coerentemente con tale ratio, l’intervento del giudice non può che essere contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto e dunque della situazione di incapacità o infermità da cui quell’esigenza deriva. La condizione di incapacità è, dunque, presupposto di ammissibilità dell’istituto e non dei suoi soli effetti[14]. Ulteriore conferma emerge dalla lettura degli art. 407 e 720 bis c.p.c., secondo cui il provvedimento giudiziale viene disposto “rebus sic stantibus”, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti legittimati ai sensi dell’art. 406 c.c.[15]. La legittimazione a proporre il ricorso, che l’art. 406 c.c. attribuisce anche al beneficiario, e la facoltà concessa dall’art. 408 c.c. allo stesso interessato di designare l’amministratore di sostegno in previsione della propria futura incapacità, non smentiscono questo quadro ricostruttivo. La designazione dell’amministratore di sostegno e il procedimento giurisdizionale operano, infatti, su piani distinti. Gli effetti della designazione preventiva, si realizzano sul piano privatistico e non richiedono l’intervento del giudice. La designazione è valida, ma la sua funzione è destinata a compiersi solo al verificarsi dell’incapacità e nell’ambito del procedimento giurisdizionale, attraverso la nomina da parte del giudice tutelare. I Giudici di legittimità si soffermano, quindi, sulla natura della designazione preventiva ed affermano che essa è espressione del principio di autodeterminazione della persona e ha la funzione di valorizzare il rapporto di fiducia tra designante e amministratore di sostegno. Il designato è tenuto di agire non solo nell’interesse del beneficiario, esercitando la funzione di protezione e garanzia tipica della sua investitura, ma con esso, per attuarne i propositi dichiarati con l’atto di designazione. Egli, pertanto, non può essere considerato quale fiduciario del designante, perchè non è esclusivamente incaricato di esternare la volontà di quest’ultimo, né quale rappresentate legale al pari del tutore, né infine quale mero sostituto del beneficiario[16]. Quanto al giudice tutelare, che in presenza di gravi motivi può discostarsi dalla designazione, allo stesso modo può discostarsi dalle indicazioni espresse nell’atto di designazione quando sussistono gravi ragioni[17]. 3. Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento sanitario. La Corte di Cassazione, inoltre, pur premettendo l’estraneità dell’argomento al thema decidendum, affronta per la prima volta la problematica attinente alla natura e agli effetti delle direttive anticipate di trattamento sanitario[18], non ancora disciplinate dal nostro legislatore, ed afferma che «l’intervento dell’amministratore di sostegno designato, pur con i limiti operanti in materia di diritti personalissimi, è vincolato alle indicazioni manifestate nella condizione di capacità dal soggetto, occorre aggiungere sempre revocabili, ed ha il potere ed il dovere di esternarle, senza che si ponga la necessità di ricostruire la volontà attraverso atti e/o fatti compiuti in stato di capacità». La Suprema Corte osserva, innanzitutto, che l’art. 408 c.c. prevede che la scelta dell’amministratore di sostegno avvenga con «esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona» e che l’art. 410 c.c., comma 1, gli impone di agire tenendo conto dei bisogni e delle “aspirazioni” del beneficiario, soprattutto se questi le abbia già dichiarate con l’atto di designazione in previsione della sua futura incapacità[19]. La Corte richiama poi gli artt. artt. 2, 13 e 32, comma 2, Cost.; gli artt. 2, 3 e 35 della Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 5, 9 e 21 della Convenzione di Oviedo che impongono di tener conto, con riferimento ad un intervento medico, dei desideri del paziente non in grado di esprimere la sua volontà; l’art. 38 del Codice Deontologico, che impone al medico di considerare quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato; la Risoluzione del Parlamento Europeo del 18 dicembre 2008, che reca raccomandazioni alla Commissione sulla protezione giuridica degli adulti; il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica del 18 dicembre 2003 in base al quale è «preferibile far prevalere le indicazioni espresse dal malato quando in possesso delle sue facoltà»; la Convenzione di New York, ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che riconosce l’importanza per le persone con disabilità della libertà di scegliere le cure mediche e ne promuove il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Fa, inoltre, riferimento ai precedenti giurisprudenziali costituiti dalla decisione della Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007[20], dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 438 del 23 dicembre 2008 in materia di consenso informato al trattamento sanitario[21], e dalla pronuncia della CEDU del 29 aprile 2002 nel caso Pretty contro Regno Unito[22]. Per la Corte le norme e gli arresti giurisprudenziali richiamati testimoniano un’attenzione sempre maggiore alla tutela della persona, al rispetto della sua volontà e al valore della dignità, che si esprime nel principio di autodeterminazione, sia per il soggetto capace sia per l’incapace. Il principio di autodeterminazione «a sua volta rappresenta l’asse portante del rapporto che si estrinseca nella “alleanza terapeutica” e che esplicita l’impostazione che ad essa la persona capace intende dare attraverso l’atto di designazione»[23]. La Corte, pertanto, conclude affermando che l’atto di designazione, con le indicazioni terapeutiche in esso espresse: «1. – vincolerà l’amministratore di sostegno, seppur i suoi poteri non sono prestabiliti ma sono fissati dal giudice tutelare nell’esercizio del suo potere decisionale, nel perseguire la finalità della ‘cura’ necessaria a garantire la protezione del beneficiario e nell’attuarne le ‘aspirazioni’, laddove ne venga in rilievo il diritto alla salute, prestando il consenso o il dissenso informato agli atti di cura che impongono trattamenti sanitari; 2. – orienterà l’intervento del sanitario; 3.- ne imporrà la delibazione da parte del giudice nell’esercizio dei suoi poteri, segnatamente nell’attribuzione di quelli da affidare all’amministratore di sostegno, ovvero in sede d’autorizzazione agli interventi che incidono sulla salvaguardia della salute del beneficiato in caso di sua incapacità». Si ribadisce, tuttavia, che non può prescindersi dalla verifica circa l’attualità della volontà del soggetto, che fino al momento della perdita di coscienza ha sempre il potere di revocare o modificare la scelta compiuta, nonché della univocità e specificità del consenso o del dissenso manifestato alle cure mediche. Il rifiuto di sottoporsi ad un trattamento medico deve risultare, infatti, affinché sia efficace, da una manifestazione espressa, inequivoca, informata ed attuale. La volontà di rifiutare una terapia non può essere meramente astratta ed ipotetica. Pertanto, il dissenso deve seguire e non precedere l’informazione avente ad oggetto la rappresentazione di un pericolo di vita imminente e non altrimenti evitabile, deve essere attuale e non preventivo; il rifiuto non può essere espresso “ex ante”, in assenza della consapevolezza della gravità attuale delle proprie condizioni di salute[24]. —————— Note: [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Sull’amministrazione di sostegno cfr. M. Abbamonte, Sulla competenza territoriale del giudice tutelare nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, in Famiglia e diritto, 2011, 4, p. 361; V. Amendolagine, La ricerca del “best interest” del beneficiario nell’amministrazione di sostegno, in Famiglia e diritto, 2011, 8-9, p. 799; M.C. Andrini, L’autodeterminazione nella scelta e la pubblicità del provvedimento di istituzione dell’amministrazione di sostegno, in Quaderni Familia, Milano, 2005, 4, p. 163; L. Balestra, Gli atti personalissimi del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Famiglia e diritto, 2005, 5, p. 659; V. Baroncini, Perpetuatio iurisdictionis e regolamenti di competenza nell’amministrazione di sostegno, in Famiglia e diritto, 2012, 12, p. 1105; C. M. Bianca, La norma giuridica – I soggetti, Milano, 2002, I; A. Batà, A. Spirito, Finalità dell’amministrazione di sostegno, in Famiglia e diritto, 2010, 11, p. 1055; F. Bonaccorsi, Amministrazione di sostegno e disposizioni di fine vita, in Foro it., 2008, 1, p. 2692; G. Bonilini, Il codice civile commentato. Dell’amministrazione di sostegno. Artt. 404-413, Milano, 2008; M.N. Bugetti, Amministratore di sostegno in favore di persona attualmente capace e autonoma: oltre i confini dell’istituto?, in Famiglia e diritto, 2010, p. 171; Idem, Revoca informale della designazione dell’amministratore di sostegno da parte dell’amministranda incapace, in Famiglia e diritto, 2012, 11, p. 1032; E. Calò, L’implosione degli istituti di protezione degli incapaci, in Corriere giur., 2002, p. 775; Idem, L’amministrazione di sostegno al debutto fra istanze nazionali e adeguamenti pratici, in Notariato, 2004, 3, p. 249; P. Cendon, Un altro diritto per i soggetti deboli, l’amministrazione di sostegno e la vita di tutti i giorni, in AA. VV., L’amministrazione di sostegno, Milano, 2005, p. 21; Idem, Un altro diritto per i soggetti deboli: abrogare l’interdizione (e l’inabilitazione), in www.altalex.com, 1.12.2005; Idem, Il diritto al sostegno, in www.altalex.com, 3.10.2006; P. Cendon-R. Rossi, L’interdizione va abrogata, in www.altalex.com, 25.01.2007; S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, p. 34; A. Cordiano, L’esercizio delle situazioni esistenziali del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Dir. Famiglia, 2011, 4, p. 1911; E. Falletti, Amministrazione di sostegno e consenso informato a terapia sperimentale del beneficiario sofferente di alzheimer, in Famiglia e diritto, 2010, 11, p. 1022; P. Fimiani, Amministrazione di sostegno e testamento biologico, in Giust. civ., 2010, 2, p. 93; B. Malavasi, L’amministrazione di sostegno: le linee di fondo, commento alla L. 9 gennaio 2004, n. 6, in Notariato, 2006, 3, p. 319; R. Masoni, Qualità della vita e morte con dignità grazie all’amministrazione di sostegno, in Giur. it., 2008, 1, p. 1932; U. Morello, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai principi), in Notariato, 2004, 3, p. 227; M. Nardelli, L’amministrazione di sostegno tra incerti confini e possibili soluzioni, in Giur. merito, 2008, 1, p. 46; M. Paladini, Amministrazione di sostegno e interdizione giudiziale: profili sistematici e funzionalità della protezione alla caratteristiche relazionali tra il soggetto debole e il mondo esterno, in Riv. dir. civ., 2005, 2, p. 588; M. Paradiso, L’amministrazione di sostegno (leggendo il quaderno di Familia), in Famiglia e diritto, 2005, 3, p. 437; S. Patti, L’amministrazione di sostegno: continuità e innovazione, in Quaderni Familia, Milano, 2005, 4, p. 217; U. Roma, L’amministrazione di sostegno: i presupposti applicativi e i difficili rapporti con l’interdizione, in Le nuove leggi civ. comm., 2004, p. 1026; T. Romoli, Le invalidità dell’amministratore di sostegno, in Quaderni Familia, Milano, 2005, 4, p. 117; A. Scalera, L’amministrazione di sostegno e il consenso ai trattamenti medico-chirurgici, in Famiglia e diritto, 2011, 7, p. 745; F. Tommaseo, Dall’interdizione all’amministrazione di sostegno: sui complessi raccordi fra gli istituti di protezione degli incapaci, in Famiglia e diritto, 2010, 10, p. 911; Idem, Un principio di diritto nell’interesse della legge sui criteri di scelta dell’amministratore di sostegno, in Famiglia e diritto, 2011, 12, p. 1086; A. Tonelli, A. Bulgarelli, Il trust di sostegno, in Trusts e attività fiduciarie, 2010, 4, p. 375; A. Venchiarutti, Gli atti del beneficiario di amministrazione di sostegno, Questioni di invalidità, in AA. VV., L’amministrazione di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, Milano, 2005, p. 166. [2] Sulla designazione dell’amministratore di sostegno cfr. M.N. Bugetti, Revoca informale della designazione dell’amministratore di sostegno da parte dell’amministranda incapace, cit., p. 1032: «la designazione da parte del beneficiario, se non è contestuale al ricorso, deve rivestire la forma prevista nell’art. 408 comma 1 c.c., quella cioè dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata. Invero, tale previsione, se è parsa a cagione della sua particolare rigidità in parziale contrasto con i principi di semplificazione e snellezza delle forme su cui è imperniato l’istituto dell’amministrazione di sostegno merita apprezzamento in quanto consente di dare certezza all’atto stesso, evitando smarrimenti, soppressioni, falsi, ecc. La revoca può essere effettuata con le stesse forme della designazione, e quindi per l’interessato mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, e per il genitore anche mediante testamento. La norma deve essere interpretata nel senso che la revoca è validamente posta in essere se riveste una delle forme anzidette, e non necessariamente la medesima forma con la quale l’autore aveva posto in essere la designazione». [3] Sulla capacità del designante cfr. M.N. Bugetti, Revoca informale della designazione dell’amministratore di sostegno da parte dell’amministranda incapace, cit., p. 1032: «l’atto di designazione richiede la capacità del soggetto designante (…) Se il beneficiando che personalmente agisce per la nomina sia soggetto sostanzialmente capace almeno in riferimento all’indicazione del soggetto cui intende sia attribuito l’incarico – si pensi ad esempio alla persona affetta una mera menomazione, eventualmente anche solo fisica – il giudice potrà discostarsi dalla scelta solo sussistendo i gravi motivi di cui all’art. 408 comma 1 c.c., di cui si dirà; se invece il beneficiando attore non sia sostanzialmente in grado di intendere e di volere, il giudice tutelare dovrà considerare la “designazione” da questi compiuta non diversamente che come elemento di cui tener conto, insieme ad altri, per compiere la più opportuna scelta circa la persona a cui conferire l’incarico». Non va escluso, inoltre, poi, che la designazione possa essere anche “negativa”: «il soggetto interessato potrebbe cioè avere interesse non già o non solo ad indicare il soggetto (o i soggetti) cui conferire l’incarico di amministrazione, bensì nominare il soggetto o i soggetti che non vuole assumano detto incarico». Sulla designazione cfr. da ultimo Cass., 20.03.2013, n. 6861: «la designazione della persona indicata dallo stesso beneficiario – particolarmente quando, come nella specie, questi abbia espressamente manifestato la propria volontà di non essere assistito dai propri familiari ed il proprio assenso alla scelta in via definitiva dell’amministratore provvisorio, già “collaudato” – contiene in sé una intensa carica sintomatica della valorizzazione degli interessi della persona beneficiata, quanto meno sotto il profilo della agevolazione della creazione di un rapporto sereno con l’amministratore». [4] Trib. Parma, 2.04.2004, in Giur. merito, 2005, 10, p. 2087, in Giur. it., 2005, p. 1839, con nota di A. Bulgarelli; cfr. Trib. Siena, 18.06.2007, in www.personaedanno.it; Trib. Modena, 13.05.2008, in Foro it., 2008, 9, I, p. 2692, con nota di F. Bonaccorsi, Amministrazione di sostegno e disposizioni di fine vita, e in www.personaemercato.it, con nota di A. Gorgoni, Il rifiuto del trattamento salvavita da parte dell’amministratore di sostegno. Il Giudice tutelare ritiene che «Può procedersi alla nomina di un amministratore di sostegno per persona attualmente capace, ma affetta da un gravissimo morbo progressivo, allo scopo di sostituirla – una volta sopravvenuto uno stato di incapacità – nell’espressione del diniego ad eventuali e future terapie rianimatorie invasive»; Trib. Modena, 23.12.2008, in Dir. famiglia, 2009, p. 699, secondo il quale «la nomina di un a.d.s. è legittima anche quando la persona richiedente la nomina non sia ancora in uno stato patologico o di difficoltà che ne determini l’inabilità totale o parziale ai sensi e per gli effetti della l. 9 gennaio 2004, n. 6». Trib. Modena, 5.11.2008, in Foro it., 2009, 1, I, p. 37, con nota di G. Casaburi, Autodeterminazione del paziente, terapie e trattamenti sanitari salvavita, e R. Romboli, Il conflitto tra i poteri dello Stato nella vicenda E.: un caso di evidente inammissibilità; in Guida al diritto, 2009, 11, p. 35, con nota di P. Cendon, R. Rossi, Individuato un neo-segmento operativo che l’istituto può sostenere a pieno titolo; in Famiglia e diritto, 2009, p. 280, con nota di G. Ferrando, Amministrazione di sostegno e rifiuto di cure; in Giur. merito, 2010, 1, p. 102, con nota di R. Masoni, Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento medico-sanitarie: contrasti, nessi e relazioni, e in www.amministratoredisostegno.com; in Diritto e Giustizia, 7.11.2008, con nota di B. Manzella, L’amministratore di sostegno come garante, a futura memoria, delle volontà biologiche; in Fam. e min., 2008, 81 ss., con nota di M. Leo, Nutrizione e idratazione: trattamenti sanitari come quelli tradizionali; in Fam. pers. succ., 2009, 10, p. 802, con nota di G. Coscioni, L’amministrazione di sostegno non presuppone lo stato di incapacità del beneficiario; in Dir. famiglia, 2009, 1, p. 277, con nota critica di F. Gazzoni, Continua la crociata parametafisica dei giudici-missionari della c.d. “morte dignitosa”, il quale osserva che l’amministrazione di sostegno «presuppone che il beneficiario si trovi in una delle condizioni previste dall’art. 404 c.c. e cioè sia persona inferma o menomata fisicamente o psichicamente, onde è escluso che essa possa essere disposta per chi è in perfetta forma fisica e psichica, sol perché in un domani potrebbe non esserlo più. Un’amministrazione di sostegno incerta nella sua attuazione nell’an e nel quando è pura invenzione (…) La designazione riguarda la futura amministrazione, tant’è che solo in chiave di interpretazione estensiva si è ritenuto che la designazione possa essere fatta dall’interessato con il ricorso, con riferimento, cioè, alla contestuale richiesta di dar luogo all’amministrazione, sempre che l’interessato sia un disabile, un soggetto, cioè, capace di intendere e di volere, con esclusione dei minori, interdetti e inabilitati, a conferma del fatto che presupposto per la presentazione del ricorso è quello che il beneficiario si trovi nella condizione prevista dall’art. 406, comma 1, c.c.». [5] L. Vignudelli, Amministrazione di sostegno e incapacità fra autonomia e nesso imprescindibile, in Famiglia e Diritto, 2012, 11, p. 993. [6] Cfr. Trib. Modena, 5.11.2008, cit.: «vale sottolineare l’incidenza probabilistica di eventi, non preannunciati né prevedibili ma con conseguenze lesive immediate e tali da porre la persona in uno stato vegetativo irreversibile: dall’ictus all’infarto del miocardio, dall’infortunio sul lavoro al sinistro stradale. In tutte queste situazioni la mera esistenza di una scrittura confezionata ai sensi del secondo comma dell’art. 408 c.c. potrebbe essere inidonea, in concreto, a fornire effettiva tutela al diritto, primario e assoluto, della persona che rischierebbe di trovarsi sottoposta, per impossibilità del mandatario di ottenere in tempo reale il decreto di nomina dell’amministratore, alle terapie non volute ma doverosamente praticate dai sanitari, in esecuzione dei propri obblighi professionali e deontologici, in presenza di una situazione di pericolo per la vita». [7] Trib. Verona, 4.01.2011, in www.ilcaso.it e in Corriere giur., 2011, 9, p. 1289, con nota di G. Spoto, Testamento biologico e amministrazione di sostegno: il giudice tutelare compie un passo indietro; Trib. Varese, 25.08.2010, in www.ilcaso.it, secondo cui «l’art. 408 c.c. consente che la designazione dell’amministratore possa essere effettuata dal beneficiario in previsione della futura eventuale incapacità. L’amministrazione di sostegno, però, potrà essere aperta solo nel momento in cui il suddetto stato di infermità si sarà verificato non potendo il procedimento giurisdizionale che essere attuale e contestuale alle esigenze per le quali si chiede la misura di protezione, ciò anche per garantire all’adulto incapace la massima tutela, garantita dalla presenza del giudice tutelare cui è demandato il compito di svolgere tutti gli accertamenti del caso». Anche per App. Firenze, 3.07.2009, in www.ilcaso.it, «non è ammissibile la nomina da parte del giudice tutelare di un amministratore di sostegno in previsione di un’eventuale incapacità futura, con particolare riferimento alle scelte di autodeterminazione terapeutica, in difetto di una condizione attuale d’incapacità del beneficiario richiesta dall’art. 404 codice civile». Cfr. altresì Trib. Roma, 3.04.2009, in Giur. merito, 2010, 1, p. 103, con nota di R. Masoni: «Il provvedimento del giudice di apertura dell’amministrazione di sostegno di cui all’art. 404 c.c. ha come proprio indefettibile presupposto l’attualità della situazione di infermità fisica o psichica di provvedere ai propri interessi»; Trib. Pistoia, 8.06.2009, in Giur. merito, 2010, 1, 103, con nota di R. Masoni, in Foro it., 2011, 2, I, p. 608, «al fine della nomina dell’amministratore di sostegno occorre l’attualità del requisito rappresentato dall’impossibilità del beneficiario di provvedere ai propri interessi, non essendo possibile anticipare l’emanazione del decreto di nomina affinché produca effetti successivamente in caso di sopravvenuta incapacità di autodeterminazione del beneficiario». [8] Trib. Busto Arsizio, sez. dist. Gallarate, 12.10.2011, in www.ilcaso.it: «l’attivazione di una figura di protezione presuppone, nell’accertato riscontro di una disabilità latu sensu intesa del beneficiario, che vi siano effettivi ed attuali bisogni cui far fronte e che a tal fine non soccorra già un’idonea rete familiare, ove non sussistono conflitti ovvero dubbi sul perseguimento degli esclusivi interessi del soggetto debole da parte del contesto familiare che lo assiste, anche svolgendo talune incombenze per suo conto; pertanto, la nomina di un amministratore di sostegno non è affatto necessaria ed opportuna in ogni situazione di “incapacità” ma impone piuttosto una valutazione della complessiva situazione della persona in difficoltà». [9] S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, cit., p. 34: «condizione necessaria ai fini dell’apertura dell’amministrazione di sostegno è la sussistenza di un’infermità o di una menomazione, fisica o psichica, per effetto della quale il soggetto si trovi a versare nell’impossibilità, sia pure parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi». Cfr. F.D. Busnelli, Problemi giuridici di fine vita tra natura e artificio, in Riv. dir. civ., 2011, 2, p. 169, per il quale nel caso di mancata attualità della condizione dell’infermità, si realizza un «travisamento della finalità dell’istituzione dell’amministrazione di sostegno, chiaramente enunciata dall’art. 1 della l. 6/2004, nella tutela di persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente»; V. Amendolagine, La ricerca del “best interest” del beneficiario nell’amministrazione di sostegno, cit., p. 799: «la necessità dell’attualità del presupposto dell’impossibilità di provvedere ai propri interessi può desumersi non solo dalla lettera del primo comma dell’art. 404 c.c. (la nomina dell’amministratore di sostegno è prevista per la persona che “si trova” nella situazione di impossibilità), ma anche dall’immediata esecutività del decreto di nomina prevista dal primo comma dell’art. 405 c.c. In tale ottica, le ipotesi di differimento dell’esecutività del decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, previste dal secondo e dal terzo comma dell’art. 405 c.c. (per le situazioni di impossibilità di provvedere ai propri interessi che riguardano minori, interdetti o inabilitati) non si pongono in contrasto con quanto innanzi rilevato, essendo basate non sulla mancanza di attualità dell’impossibilità di provvedere ai propri interessi da parte della persona, ma, piuttosto, sull’esistenza di soggetti che sono già investiti di funzioni relative alla protezione e cura della medesima persona, nonché alla gestione dei suoi beni. La norma richiede dunque l’attualità del requisito rappresentato dall’impossibilità del beneficiario di provvedere ai propri interessi». [10] Trib. Firenze, 8.04.2009, in Dir. famiglia, 2009, 3, p. 1277. [11] Trib. Firenze, 8.04.2009, cit., p. 1277. [12] Cass., 12.06.2006, n. 13584, in Guida al diritto, 2006, 27, p. 81, con nota di M. Fiorini, Uno strumento di intervento flessibile adattabile a tutte le situazioni di disagio; in Dir. famiglia, 2007, 1, p. 126, con nota di A. Venchiarutti, Il discrimen tra amministrazione di sostegno e interdizione: dopo la Corte Costituzionale si pronuncia la Corte di Cassazione; in Il civilista, 2009, 1, p. 6, con nota di M. Campagnoli; in Dir. famiglia, 2006, 4, p. 1671; in Riv. notariato, 2007, 2, p. 485, con nota di A. M. Pedron, La Cassazione si pronuncia: actio finium regundorum tra amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione e necessità di difesa tecnica. [13] Sul carattere residuale dell’interdizione e dell’inabilitazione rispetto all’amministrazione di sostegno, cfr., in giurisprudenza, Cass., 1.03.2010, n. 4866, in Giur. it., 2010, I, p. 2301; Cass., 24.07.2009, n. 17421, in Famiglia e diritto, 2009, p. 1085; Trib. Trieste, 5.10.2006, in Giur. it., 2007, I, p. 84. Da ultimo Trib. Varese, 31.01.2012, in www.ilcaso.it, ha ribadito che «Il discrimine tra interdizione e amministrazione di sostegno passa per un giudizio che non è di tipo scientifico o medico-legale ma prettamente giuridico, posto che l’adeguatezza dell’una o dell’altra misura di protezione corrisponde ad una valutazione di tipo qualitativo e non quantitativo. (…) L’interdizione, di fatto, è misura marginale, residuale, che, in genere, è superabile dall’amministrazione di sostegno». In dottrina cfr. E. Calò, L’amministrazione di sostegno al debutto fra istanze nazionali e adeguamenti pratici, cit., p. 249, secondo cui la coesistenza dell’interdizione e dell’inabilitazione con l’amministrazione di sostegno è problematica, in quanto «interdizione e inabilitazione vivono di vita propria, a prescindere dalla designazione del tutore e del curatore, mentre l’amministrazione di sostegno esiste solo se e in quanto vi sia un amministratore di sostegno in carica; – interdizione e inabilitazione sono istituti rigidi e predeterminati, mentre l’amministrazione di sostegno è un istituto modellato in tutto e per tutto dal giudice; – interdizione e inabilitazione sono, nei loro rispettivi ambiti, totalizzanti, mentre l’amministrazione di sostegno si applica sempre in via residuale, in quanto la regola è la capacità e l’incapacità è l’eccezione. Quindi, il problema centrale, nell’intera vicenda dell’amministrazione di sostegno, è costituito dalla problematicissima sua coesistenza con l’interdizione e l’inabilitazione. Un istituto moderno (l’amministrazione di sostegno) si trova a coesistere con due reperti storici (interdizione e inabilitazione), che gli ordinamenti più avanzati hanno via via provveduto a espungere. I costi dell’interdizione e dell’inabilitazione hanno prodotto un risultato non invidiabile, che è quello di lasciare senza protezione migliaia di disabili; questa ma anche altre ragioni consigliano di accantonare questi due istituti in favore dell’amministrazione di sostegno». [14] Cfr. U. Roma, L’amministrazione di sostegno: i presupposti applicativi e i difficili rapporti con l’interdizione, cit., p. 1026. [15] Ai sensi dell’art. 406 c.c. la legittimazione a proporre il ricorso spetta allo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, al coniuge, alla persona stabilmente convivente, parenti entro il quarto grado, affini entro il secondo grado, tutore, curatore e pubblico ministero. I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre il ricorso al giudice tutelare o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero. Sulla legittimazione del soggetto stabilmente convivente cfr. E. Calò, Amministrazione di sostegno, Studio n. 4858 approvato dalla Commissione Studi del C.N.N. il 20 gennaio 2004; la formula generica utilizzata dal legislatore consente di ritenere legittimati attivi il convivente more uxorio, ma anche soggetti legati al beneficiario da rapporti di amicizia. Sulla legittimazione a proporre il ricorso del responsabile dei servizi sociali cfr. Trib. Roma, 19.02.2005, in Giur. it., 2005, 11, p. 2077; Trib. Varese, 13.06.2012, in www.ilcaso.it, che ha ritenuto che «l’inciso “responsabili dei servizi sanitari e sociali”, scolpito nell’art. 406, comma 3, si riferisce ai servizi di tipo “pubblico” e non anche alle società private che, seppur accreditate secondo le disposizioni di Legge, non sono equiparabili né ai servizi sociali territoriali, né ai responsabili dei servizi sanitari del SSN in relazione all’art. 406 cit.»; Trib. Mantova, 20.01.2011, in www.ilcaso.it, secondo cui «l’art. 406, comma 3, c.c. attribuisce la legittimazione a proporre il ricorso di cui all’art. 404 unicamente ai responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura della persona e tale legittimazione spetta unicamente a coloro che hanno la rappresentanza esterna dei servizi e non anche ai singoli operatori». Sulla possibilità di un’iniziativa d’ufficio Trib. Varese, 21.02.2012, in www.ilcaso.it, ha affermato che «il procedimento per l’istituzione di una amministrazione di sostegno non può essere avviato ex officio dal giudice tutelare, in quanto la legge consente a questi, officiosamente, solo di attivare il procedimento di revoca della misura di protezione eventualmente aperta (v. art. 413 c.c.) oppure di optare per una determinata protezione pur a fronte dell’attivazione di un’altra (v. art. 418 c.c.)». [16] M.N. Bugetti, Revoca informale della designazione dell’amministratore di sostegno da parte dell’amministranda incapace, cit., p. 1032, sottolinea che la designazione «non determini il sorgere del potere rappresentativo in capo all’amministratore; ché l’ufficio dell’amministratore trova la sua unica fonte nel decreto di nomina del giudice tutelare, subordinato ai presupposti sostanziali di cui all’art. 404 c.c. (attuale mancanza di autonomia cagionata da una malattia o infermità fisica o psichica) ed alla richiesta di nomina avanzata da uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’art. 406 c.c.». [17] Cfr. Trib. Varese, 28.06.2012, in www.ilcaso.it: «La designazione dell’amministratore di sostegno resta un atto del giudice Tutelare, il quale ben può disattendere la stessa indicazione ufficiale e formale del beneficiario, ex art. 408, comma I, c.c. L’atto di designazione del soggetto rappresentante, da parte del beneficiario, non è, infatti, vincolante per il magistrato della tutela che avrà solo il dovere di muovere da quella designazione per poi, eventualmente, disattenderla con motivazione che ne illustri i (gravi) motivi». Da ultimo Cass., 20.03.2013, n. 6861: «il criterio fondamentale che il giudice deve seguire nella scelta dell’amministratore di sostegno è esclusivamente quello che riguarda la cura e gli interessi della persona beneficiata. Tale criterio assicura a chi deve decidere una ampia facoltà di valutazione su quale sia il miglior soggetto da scegliere come amministratore per assicurare al massimo la cura degli interessi del beneficiario. Ciò del resto trova conferma nell’art. 408, ultimo comma, c.c., là dove viene data al giudice tutelare la facoltà di scegliere, ove ricorrano gravi motivi, anche una persona diversa da quelle indicate dall’art. 408, primo comma». Cfr. T. Pasquino, Autodeterminazione e dignità della morte, Padova, 2009, p. 121 ss. Per M.N. Bugetti, Revoca informale della designazione dell’amministratore di sostegno da parte dell’amministranda incapace, cit., p. 1032, «l’indagine non può che muovere dai due principi che informano di sé la scelta del giudice tutelare per l’ipotesi in cui il soggetto interessato abbia effettuato illo tempore una designazione: la libertà di autodeterminazione del soggetto capace in ordine alla gestione della propria eventuale e futura incapacità, da un lato, ed il perseguimento del suo benessere e della sua più adeguata protezione, dall’altro. In tale prospettiva il giudice deve riempire di contenuto concreto la generica espressione normativa, individuando di volta in volta se vi siano motivi tanto gravi da disattendere la scelta effettuata dal beneficiando. Nel novero non rientrano, a ben vedere, le ipotesi di impossibilità di fatto o giuridica allo svolgimento dell’incarico-come nel caso della morte o della sopravvenuta incapacità della stessa, i quali impediscono senza meno l’ossequio della designazione; vi rientrano, invece, per esemplificare, i casi di inidoneità della persona designata allo svolgimento dell’incarico per motivi morali o a cagione dello stile di vita che conduce, così come previsto dall’art. 348, u.c., c.c., ovvero di carenza di competenze professionali necessarie-sempre che non possano essere superate mediante l’ausilio di un consulente, ovvero ancora di particolari situazioni ambientali od oggettive che mettano a rischio la possibilità per l’amministratore designato di occuparsi adeguatamente della cura del patrimonio o della persona del beneficiario. A quest’ultimo riguardo, il giudice tutelare potrebbe essere indotto a disattendere la designazione effettuata, magari anni prima, dal beneficiando, avuto riguardo ad un mutamento di residenza dell’amministratore designato, il quale abiti ora in altra città; o, ancora, trattandosi di parente, considerando che siano sorti accesi conflitti familiari tali da rendere opportuno nell’interesse del beneficiario che l’incarico sia svolto da un soggetto terzo estraneo alla famiglia. (…) Occorre poi evidenziare come non possa considerarsi sufficiente a disattendere la designazione la dichiarazione del beneficiando non pienamente capace, a meno che essa non sia corredata da ulteriori dirimenti gravi motivi. (…) Di qui la necessità che il giudice tutelare valuti attentamente la sussistenza di ulteriori elementi di fatto che, unitamente alla dichiarazione del beneficiando, facciano nel complesso ritenere che sussistano motivi gravi tali da sconsigliare la nomina dell’amministratore designato. (…) Nel valutare tali eventuali ulteriori elementi di fatto il giudice tutelare non potrà tuttavia discostarsi dai principi enunciati in apertura, ovverosia la sovranità della autodeterminazione del beneficiario ed il perseguimento del pieno interesse di questo». F. Tommaseo, Un principio di diritto nell’interesse della legge sui criteri di scelta dell’amministratore di sostegno, cit., p. 1086, osserva che il giudice tutelare deve osservare, «l’assorbente criterio degli effettivi bisogni personali e interessi patrimoniali del disabile ossia, per ripetere la formula utilizzata dall’art. 408, avere “esclusivo riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario”. Si tratta di un criterio che non soltanto gli consente di scegliere, fra i soggetti indicati dal legislatore, la persona più idonea a dare effettiva e fruttuosa assistenza al beneficiario ma eventualmente anche di individuare “altra persona idonea” ogni qual volta esistano valide ragioni di opportunità che lo inducano ad evitare di far cadere la propria scelta sui soggetti contemplati dall’elenco normativo. A ragione, quindi, l’annotato provvedimento del Supremo collegio ribadisce che tale elenco non contiene alcun criterio preferenziale poiché ciò contrasterebbe con la necessaria discrezionalità che il giudice deve dispiegare per finalizzare la propria scelta esclusivamente all’attuazione degli interessi del beneficiario. Conviene però da ultimo notare che l’ordine dato all’elenco formulato dal legislatore, pur essendo privo di efficacia imperativa, conserva una sua funzione poiché può indubbiamente aiutare il giudice ad orientare la propria scelta e indurlo a preferire persone che già vivano con il disabile e che siano con lui in comunione di affetti». [18] Per il dibattito sulle direttive anticipate di trattamento sanitario cfr. S. Agosta, Note di metodo al disegno di legge in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento (tra molteplici conclusioni destruens ed almeno una proposta construens), in Diritto e Società, 2009, p. 615; G. Alpa, Il principio di autodeterminazione e il testamento biologico, in Vita not., 2007, 3-9; L. Balestra, L’autodeterminazione nel “fine vita”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 4, p. 1009; A. Bellelli, Decisioni di fine vita e disposizioni anticipate di trattamento, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 85; A. Cordiano, Il disegno di legge sul testamento biologico: l’autodeterminazione mancata e alcune antinomie sistematiche, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 411; M. Di Masi, Fine vita: vecchi e nuovi paradigmi a confronto, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 143; A. Gambino, Rifiuto del paziente, libertà del medico e ruolo del diritto, in www.personaedanno.it, 15.02.2009; Idem, Biotestamento. Obiezioni alla tesi della autodeterminazione assoluta, in www.dimt.it, 1.04.2011; D. Infantino, Direttive anticipate a amministrazione di sostegno, in Nuova giur. civ. comm., 2011, p. 490; T. Pasquino, Autodeterminazione e dignità della morte, cit., 62 ss.; S. Rodotà, Civiltà del testamento biologico, in www.personaedanno.it, 28.02.2011; Idem, Legge sul testamento biologico, l’ultima volontà espropriata, in www.personaedanno.it, 13.07.2011; G. Salito, Designazione preventiva dell’amministrazione di sostegno e testamento biologico, in Iustitia, 2009, p. 207; A. Scalera, La proposta di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, in Famiglia e diritto, 2010, p. 627; P. Zatti, Le disposizioni del paziente: ci vorrebbe un legislatore, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 313. [19] Cfr. A. Lombardi, Direttive anticipate, testamento biologico ed amministrazione di sostegno, in Giur. merito, 2008, 10, p. 2518, osserva che «In assenza di un’espressa limitazione contenutistica dell’atto di cui all’art. 408 comma 2 c.c. deve, senza dubbio, ritenersi che lo stesso possa essere corredato di contenuto ulteriore rispetto alla mera designazione dell’amministratore, ed eventualmente ricomprendere specifiche direttive sulla salute, ivi incluso il dissenso a determinati trattamenti sanitari e terapeutici, che orienteranno il giudice tutelare nella scelta dell’amministratore e nel rilascio delle autorizzazioni, e l’amministratore nello svolgimento dei compiti di cura ed assistenza. Numerosi indici depongono, tuttavia, nel senso della non perfetta sovrapponibilità tra la designazione anticipata ai sensi dell’art. 408 comma 2 c.c. ed il testamento biologico, così come apprezzato nell’esperienza di altri ordinamenti e disciplinato nei numerosi disegni di legge presentati nelle ultime legislature. Che dalle intenzioni del legislatore ex lege n. 6 del 2004 esuli quella di fornire una specifica regolamentazione delle direttive anticipate e del testamento biologico lo si evince con chiarezza dalla circostanza che il contenuto dell’atto viene espressamente confinato alla mera designazione del nominativo dell’amministratore. Poco adeguata appare, inoltre, nella prospettiva della valorizzazione dell’atto di cui all’art. 408 comma 2 c.c., in chiave di testamento biologico, la necessità che le direttive e la nomina di un fiduciario siano impartite in un atto notarile o a forma rafforzata. L’assenza di determinazioni di contenuto patrimoniale, l’attinenza alla sfera dei diritti personalissimi e la revocabilità o modificabilità in ogni tempo delle direttive, determina, difatti, l’iniquità di onerosi formalismi, apparendo preferibile che le stesse siano raccolte in una dichiarazione autografa e sottoscritta (in analogia con la forma del testamento olografo, contrapposto a quello per atto di notaio ai sensi dell’art. 601 c.c.) ovvero rese verbalmente ai sanitari e da questi messe per iscritto». [20] Cfr. Cass., 16.10.2007, n. 21748, in Guida al diritto, 2007, 43, p. 29, con nota di G.M. Salerno, L’apertura del testamento biologico non cancella i problemi applicativi; in Foro it. 2008, 1, I, p. 125, con nota di V. D. Maltese, Convincimenti già manifestati in passato dall’incapace in stato vegetativo irreversibile e poteri degli organi preposti alla sua assistenza; ivi, 2008, 9, I, p. 2609, con nota di S. Cacace, Sul diritto all’interruzione del trattamento sanitario “life-sustaining”; in Famiglia e diritto, 2008, p. 83, con nota di M.C. Venuti, Il diritto all’autodeterminazione sanitaria dei soggetti in stato vegetativo permanente: la Cassazione sul caso E.E.; ivi, p. 129, con nota di R. Campione, Stato vegetativo permanente e diritto all’identità personale in una importante pronuncia della Suprema Corte; in Nuova giur. civ. comm., 2008, con nota di A. Santosuosso, La volontà oltre la coscienza: la Cassazione e lo stato vegetativo; in Dir. e giur. 2007, p. 572, con nota di C. Ghionni, Il “consenso dell’incapace” alla cessazione del trattamento medico; in Corriere giur., 2007, p. 1676, con nota di E. Calò, La Cassazione “vara” il testamento biologico; in Giust. civ., 2008, I, p. 1725, con nota di D. Simeoli, Il rifiuto di cure: la volontà presunta o ipotetica del soggetto incapace; in Resp. civ., 2008, II, p. 1103, con nota di G. Gennari, La Suprema Corte scopre il substituted judgement; in Riv. it. medicina leg., 2008, p. 607, con nota di G. Iadecola, La cassazione civile si pronuncia sul caso «Englaro»: la (problematica) via giudiziaria al testamento biologico, e con nota di C. Sartea e G. La Monaca, Lo stato vegetativo tra norme costituzionali e deontologia: la Cassazione indica soggetti e oggetti; in Dir. uomo, 2008, p. 7, con nota di L. Tria, Problematiche di fine vita alla luce dei principi costituzionali e sopranazionali: con particolare riferimento ai casi Welby, Englaro e Santoro; in Iustitia, 2008, I, p. 55, con nota di P. Stanzione e G. Salito, Il rifiuto “presunto” alle cure: il potere di autodeterminazione del soggetto incapace; in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 83, con nota di A. Venchiarutti, Stati vegetativi permanenti: scelte di cure e incapacità; in Dir. famiglia, 2008, I, p. 77, con nota di F. Gazzoni, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull’eutanasia, in spregio al principio della divisione dei poteri), di A. Galizia Danovi, L’interruzione della vita tra volontà e diritto, e di G. Galuppi, Brevi osservazioni sulla sentenza n. 21748/2007 della corte di cassazione; ed ivi p. 594, con nota di P.Virgadamo, L’eutanasia e la Suprema Corte: dall’omicidio del consenziente al dovere di uccidere; in Danno e resp. 2008, p. 421, con note di F. Bonaccorsi, Rifiuto delle cure mediche e incapacità del paziente: la Cassazione e il caso Englaro, e G. Guerra, Rifiuto dell’alimentazione artificiale e volontà del paziente in stato vegetativo permanente; in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 363, con nota di E. Palmerini, Cura degli incapaci e tutela dell’identità nelle decisioni mediche. «Il giudice può autorizzare il tutore – in contraddittorio con il curatore speciale – di una persona interdetta, giacente in persistente stato vegetativo, ad interrompere i trattamenti sanitari che la tengono artificialmente in vita, ivi compresa l’idratazione e l’alimentazione artificiale a mezzo di sondino, sempre che: a) la condizione di stato vegetativo sia accertata come irreversibile, secondo riconosciuti parametri scientifici, b) l’istanza sia espressiva della volontà del paziente, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dai suoi convincimenti». Inoltre «Salvi i casi nei quali la legge prevede la obbligatorietà di trattamenti sanitari utili alla salute di chi vi è sottoposto e finalizzati ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri, il diritto alla salute implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire» e ancora «Il rifiuto delle terapie medico-chirurgiche, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale». T. Pasquino, Le decisioni di fine vita, a cura di M. Bianca, Milano, 2011, p. 64, osserva che con la citata sentenza la Suprema Corte ha «sottolineato come la doverosità medica trovi il proprio fondamento legittimante nei principi di ispirazione solidaristica, che consentono ed impongono l’azione in quegli interventi urgenti che risultino nel miglior interesse terapeutico del paziente; e come, tuttavia, anche in siffatte evenienze, superata l’urgenza dell’intervento derivante dallo stato di necessità, l’istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio della parità di trattamento tra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongano di ricreare il dualismo dei soggetti nei processi di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche, e paziente che, attraverso il legale rappresentante, possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati». [21] Corte Cost., 23.12.2008, n. 438, in Giur. cost., 2008, 6, p. 4945, con nota di R. Balduzzi, D. Paris, Corte costituzionale e consenso informato tra diritti fondamentali e ripartizione delle competenze legislative, con nota di D. Morana, A proposito del fondamento costituzionale per il «consenso informato» ai trattamenti sanitari: considerazioni a margine della sent. n. 438 del 2008 della Corte costituzionale, con nota di C. Coraggio, Il Consenso informato: alla ricerca dei principi fondamentali della legislazione statale. Per la Corte Costituzionale «la circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento negli art. 2, 13 e 32 cost. pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, comma 2, cost.; discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale». [22] Corte europea dir. uomo, 29.04.2002, Pretty c. Regno Unito, ricorso n. 2346/2002, in Foro it., 2003, IV, p. 57, con nota di B. Barbisan, Sacralità della vita e bilanciamenti nella giurisprudenza inglese ed in quella della Corte europea di Strasburgo; in Dir. famiglia, 2002, p. 795, con nota di G. Francolini, Il dibattito sull’eutanasia tra Corte europea e giurisprudenza interna: «l’art. 2 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela il diritto alla vita di ogni persona, sancisce un divieto di ricorso alla forza o a qualsiasi altro comportamento idoneo a provocare la morte di ogni essere umano, ma non attribuisce all’individuo il diritto di morire per mano di un terzo o con l’assistenza di una pubblica autorità. Il divieto di suicidio assistito previsto dal diritto penale degli Stati membri non costituisce un trattamento inumano e degradante, fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 3 della convenzione. La sofferenza dovuta ad una malattia, fisica o psichica, sopraggiunta naturalmente, comunque incurabile, può rientrare nella previsione dell’art. 3 della convenzione se viene o rischia di essere aggravata da un trattamento, conseguente a condizioni di detenzione, espulsione o altre misure, del quale le autorità possono essere ritenute responsabili. Dal combinato disposto degli art. 2 e 3 della convenzione non è dato ricavare, pertanto, un diritto dell’individuo di esigere dallo Stato che consenta o faciliti la morte. Né il diritto alla morte assistita può farsi derivare dalla previsione dell’art. 8 della convenzione che disciplina espressamente il diritto al rispetto della vita privata e che può anche includere il diritto ad autodeterminarsi. Non può escludersi che il divieto di suicidio assistito costituisca lesione del diritto al rispetto della vita privata. Una ingerenza siffatta può. comunque, considerarsi consentita a norma dell’art. 8, par. 2, della convenzione se prevista dalla legge, ispirata da uno o più scopi legittimi e necessaria in una realtà democratica per la protezione dei diritti altrui». Tuttavia, «l’imposizione di un trattamento medico senza il consenso del paziente, se è un adulto e sano di mente, costituirebbe un attentato all’integrità fisica dell’interessato che può mettere in discussione i diritti protetti dall’art. 8, par. 1 della Convenzione. Un individuo può rivendicare il diritto di esercitare la scelta di morire rifiutando di consentire ad un trattamento che potrebbe avere l’effetto di prolungargli la vita». [23] Sull’alleanza terapeutica medico-paziente e il principio di autodeterminazione cfr. T. Pasquino, Autodeterminazione e dignità della morte, cit., p. 147: il diritto di rifiutare le cure appartiene «alla libertà personale dell’individuo e si pone quale correlato del diritto di ricevere tutte le informazioni utili sulle cure da intraprendere o da proseguire. Esso nasce, infatti, nel contesto di un rapporto terapeutico tra medico e paziente, un rapporto all’interno del quale, se riguardato sotto un profilo strettamente giuridico, il rifiuto delle cure, espresso previa adeguata e completa informazione da parte del medico, sembra assumere natura e struttura di diritto soggettivo assoluto, cui corrisponde, da parte del sanitario, un dovere di neminem laedere». [24] La Suprema Corte richiama le decisioni Cass., nn. 4211/2007 e 23676/2008. La prima pronuncia, pubblicata in Resp. civ. e prev., 2007, 9, p. 1881, con nota di G. Facci, Le trasfusioni dei testimoni di Geova arrivano in Cassazione (ma la S.C. non decide); in Danno e resp., 2008, p. 27, con nota di G. Guerra, Il dissenso alla trasfusione di sangue per motivi religiosi; in Dir. giur., 2008, p. 131, con nota di S. Carro, Brevi note sull’efficacia del dissenso al trattamento medico-chirurgico tra il diritto di morire e il dovere di curare. Il consenso presumibile e la scriminante dello stato di necessità; in Guida al diritto, 2007, 10, p. 27, con nota di E. Sacchettini, Quando interviene uno stato di necessità la scelta della terapia passa al sanitario, in Riv. it. med. legale, 2008, p. 1179, con nota di F. Camilletti, Sul valore del “dissenso anteriore” del paziente nel caso in cui durante l’imprevisto stato di incoscienza di questi si renda necessaria, per la sua sopravvivenza, un’emotrasfusione in precedenza espressamente rifiutata; ha affermato che «in materia di rifiuto di determinate terapie, alla stregua di un diritto fondato sul combinato disposto degli art. 32 cost., 9 l. 28 marzo 2001 n. 145 (recante «ratifica ed esecuzione della convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina»), e 40 del codice di deontologia medica, pur in presenza di un espresso rifiuto preventivo, non può escludersi che il medico, di fronte ad un peggioramento imprevisto ed imprevedibile delle condizioni del paziente e nel concorso di circostanze impeditive della verifica effettiva della persistenza di tale dissenso, possa ritenere certo od altamente probabile che esso non sia più valido e praticare, conseguentemente, la terapia già rifiutata, ove la stessa sia indispensabile per salvare la vita del paziente. (…) L’originario dissenso alla trasfusione inizialmente formulato dal paziente con una valutazione altamente probabilistica prima dell’intervento chirurgico da lui accettato non può considerarsi più operante in un momento successivo allorché, nel corso dell’intervento, davanti a un quadro clinico fortemente immutato, si sia prospettato un imminente pericolo di vita, senza più possibilità d’interpello al paziente, non rilevandosi praticabili altri mezzi per salvarlo». La seconda decisione richiamata, Cass., 15.09.2008, n. 23676, è pubblicata in Il civilista, 2009, 1, p. 62, con nota di M. Pulice, Il diritto di rifiutare le cure, la legittimità del dissenso al trattamento sanitario fondato sulle personali credenze religiose; in Resp. civ. e prev., 2009, 1, p. 122, con nota di M. Gorgoni, Libertà di coscienza v. salute; personalismo individualista v. paternalismo sanitario; in Resp. civ. e prev., 2009, 10, p. 2108, con nota di G.E. Polizzi, “E’ vietato mangiare sangue”: il divieto geovista alle emotrasfusioni nei recenti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali; in Guida al diritto, 2008, 39, p. 52, con nota di R. Rossi, La ricerca della volontà effettiva resta il vero nodo da sciogliere; in Corriere giur., 2008, p. 1671, con nota di F. Forte, Il dissenso preventivo alle trasfusioni e l’autodeterminazione del paziente nel trattamento sanitario: ancora la Cassazione precede il legislatore nel riconoscimento di atti che possono incidere sulla vita; in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 170, con nota di G. Cricenti, Il cosiddetto consenso informato; in Dir. fam. pers., 2009, I, p. 50, con nota di R. Masoni, I Testimoni di Geova tra legittimità, merito ed amministrazione di sostegno. La Suprema Corte ha affermato che «il paziente ha sempre diritto di rifiutare le cure mediche che gli vengono somministrate, anche quando tale rifiuto possa causarne la morte; tuttavia, il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale: non è sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex ante ed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure»

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