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“Libere utilizzazioni delle opere d’arte nell’ambito dell’attività espositiva”, l’intervento del Prof. Gambino nella giornata di studio “Diritto d’autore in mostra”

Di seguito la sintesi e il video dell’intervento del Prof. Alberto Gambino, Direttore scientifico di Dimt e Presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet, nel corso della giornata di studio “Diritto d’autore in mostra“, evento che ha avuto luogo il 4 dicembre 2014 presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma L’organizzazione e la promozione di una mostra d’arte ricomprendono un insieme molto variegato di attività che possono interferire con i diritti d’autore che sulle opere esposte spettano agli artisti (o ai loro aventi causa): cataloghi; manifesti, dépliant, locandine; video, su internet e sui social network, su terminali informatici, anche interattivi; fotografie e video delle opere in mostra; backstage dell’allestimento; interviste ad artisti, curatori e critici; documentari; performance; sponsor e merchandising. A ciò si aggiungano tutti gli utilizzi degli utenti e di terzi. Il diritto dell’autore di utilizzare economicamente la propria opera non è assoluto, ma incontra una serie di limitazioni. Si parla, in particolare, di “eccezioni e limitazioni” (c.d. “libere utilizzazioni”). Per “libere utilizzazioni” s’intendono gli usi dell’opera dell’ingegno che sono sottratti all’autorizzazione del titolare dei diritti (a volte si prevede la corresponsione di un equo compenso, significa cioè che il diritto d’autore degrada a diritto di credito). Le restrizioni riguardano esclusivamente i diritti di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno, non anche i diritti morali d’autore, che devono in ogni caso essere rispettati. In particolare, la legge sul diritto d’autore contiene un elenco tassativo delle “libere utilizzazioni”. Le sedi espositive devono, quindi, verificare se l’uso che intendono fare dell’opera protetta rientra o meno in una di queste fattispecie. Manca, pertanto, una clausola generale di libera utilizzabilità – a determinate condizioni – delle opere, un sistema insomma più elastico, come avviene negli ordinamenti anglosassoni dove si applica la dottrina del fair use. La previsione di “eccezioni e limitazioni” a favore degli utilizzatori delle opere nasce dalla preoccupazione che un’assolutezza senza limiti dei diritti d’autore rischierebbe di risolversi in un grave ostacolo al progresso culturale. Sotto l’ampio cappello dei fini di promozione e progresso (e pluralismo) culturale viene fatta rientrare una serie di eccezioni e limitazioni che tutelano esigenze personali di studio, ricerca, critica e discussione. Innanzitutto, all’interno di musei e archivi, è libera la comunicazione o la messa a disposizione su terminali delle opere contenute nelle loro collezioni, purché tale fruizione sia destinata a singoli individui per scopi di ricerca o di attività di studio e non sia vietata da atti di cessione o da licenza (così l’articolo 71-ter della legge sul diritto d’autore). Più complessa da delimitare è l’estensione dell’eccezione che consente la libertà di citazione, poiché, in assenza di una clausola generale sul modello del fair use anglosassone, essa è stata spesso utilizzata per allargare i rigidi confini del numero chiuso delle libere utilizzazioni. Si tratta di una eccezione importante per la sede espositiva poiché, ad esempio, può consentire di riprodurre liberamente alcune opere esposte, o comunque parti delle stesse, nelle pubblicazioni e nei video illustrativi, divulgativi, di approfondimento critico e comunque correlati all’esposizione, così come in occasione di eventi (workshop, presentazioni) legati alle mostre. La norma ha dato adito a numerose controversie giudiziarie. Secondo un’interpretazione, che ha trovato conferme anche in Cassazione, sarebbe incompatibile con l’eccezione in oggetto la riproduzione di opere per intero, ancorché questa avvenga per scopo di critica, discussione, informazione o insegnamento; per altro orientamento, è considerata lecita la riproduzione di opere per intero e non di soli particolari, purché l’opera di critica abbia finalità autonome e distinte da quelle delle opere citate. In definitiva, occorre verificare se le modalità e l’estensione della riproduzione siano di entità tale da integrare una vera e propria concorrenza con l’opera originaria in quanto direttamente incidente sulle potenzialità di sfruttamento economico della stessa. Questione collegata è la possibilità di effettuare riproduzioni dell’opera esposta nel catalogo della mostra ovvero al fine di vendere autonomamente tali riproduzioni (poster, cartoline, stampe – oggi anche in 3D). Quando un’istituzione culturale acquista un’opera d’arte (e a maggior ragione quando la prende in prestito), generalmente non acquista anche il diritto di riproduzione dell’opera d’arte, se non lo ha contrattualmente previsto. Quanto al diritto all’informazione, entra in gioco il secondo comma dell’articolo 65 della legge speciale, che consente la riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore, se riportato. Altra eccezione che, perseguendo un fine pubblicistico di solidarietà, consente ad alcune categorie di persone con disabilità di riprodurre o comunicare al pubblico, per uso personale, opere e materiali protetti, purché tali usi non abbiano carattere commerciale.

Il diritto d’autore nella organizzazione delle mostre d’arte al tempo dei “selfies”: voci dalla giornata di studio presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma

9 marzo 2015

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