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Verso un nuovo approccio alla responsabilità civile dell’Internet provider: l’hosting provider “attivo” (e sempre responsabile) non esiste

di Valeria Falce e Francesco Vizzone La complessa tematica della responsabilità civile dell’Internet provider si arricchisce oggi di un nuovo tassello. E’ stata, infatti, appena pubblicata la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano, ampiamente riformando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda con cui Reti Televisive Italiane (RTI) chiedeva, da un lato, che venisse inibita a Yahoo! ogni pubblicazione non autorizzata di contenuti tutelati dalle norme sul diritto d’autore e sui quali RTI vantava diritti di sfruttamento economico, e dall’altro, di ottenere il ristoro dei danni patiti per effetto dell’illecita condivisione degli stessi sulla piattaforma di video sharing nel noto provider. RTI aveva invocato la responsabilità del provider per violazione dei propri diritti di utilizzazione economica di diversi programmi televisivi, dei suoi diritti di proprietà industriale oltreché per atti di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. A sostegno delle proprie ragioni, RTI aveva dedotto l’inapplicabilità della limitazione di responsabilità di cui possono beneficiare gli intermediari delle reti di comunicazione elettronica ex D.Lgs. 70/2003, in quanto, a suo dire, Yahoo! non avrebbe tempestivamente rimosso dalla propria piattaforma di video sharing i contenuti sui quali RTI vantava diritti di sfruttamento esclusivi e ciò nonostante una diffida con la quale l’intermediario era stato reso edotto dell’illecito perpetrato dai suoi utenti attraverso la piattaforma de qua. RTI inoltre, nel corso del giudizio, aveva esteso la propria domanda ad ogni contenuto, anche futuro, relativo agli stessi programmi che fosse stato eventualmente pubblicato sulla medesima piattaforma. Infine la società attrice aveva sollecitato una CTU tesa ad accertare “gli esatti confini” dell’attività d’impresa svolta dal provider nel fornire servizi pubblicitari collegati ai contenuti illecitamente pubblicati, con ciò chiedendo di conoscere i meccanismi sottesi al modello di business utilizzato, anche al fine di verificare la consapevolezza dell’intermediario in ordine alle attività svolte dagli utenti. La vicenda era già salita agli onori della cronaca nel 2011 quando il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda di RTI e, soprattutto, aveva motivato la propria decisione sulla base di una “valutazione in concreto” del ruolo effettivamente svolto dall’hosting provider al fine di poterne dichiarare l’eventuale responsabilità nella diffusione di contenuti protetti dal diritto d’autore e caricati dagli utenti dei propri servizi. La Corte d’Appello non ha condiviso questa via interpretativa, ne’ ha aderito alla linea tracciata dal Tribunale meneghino secondo cui l’imputabilità al provider di condotte illecite dipenderebbe dal suo essere un hosting provider “passivo” o “attivo”, sussistendo una posizione “attiva”, fonte di responsabilità del provider, solo laddove questi profitti dei contenuti illeciti caricati da terzi ad esempio attraverso i ricavi della pubblicità on-line collegata ai video pubblicati. Insomma, la Corte ha escluso la responsabilità di Yahoo! sulla base di un articolato iter argomentativo che poggia sulla disamina innanzitutto dei diritti fondamentali coinvolti – quali il diritto d’autore, il diritto all’informazione e alla libera espressione e il diritto all’esercizio dell’attività d’impresa – e  dunque sul principio del corretto bilanciamento degli interessi in gioco sulla base. Su tali basi, la Corte di Appello di Milano, nel rigettare le domande proposte e citando numerose pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha affermato che “la nozione di hosting provider attivo risulti oggi sicuramente fuorviante e sicuramente da evitare concettualmente in quanto mal si addice ai servizi di ospitalità in rete” con ciò evidenziando inoltre come la vigente normativa in materia impedisca non solo che vi sia un generale obbligo di sorveglianza dei contenuti caricati on-line ma che possa imporsi al provider, anche a posteriori, un filtraggio dei contenuti che comporti per l’intermediario uno sforzo economico irragionevole e non proporzionato al fine da raggiungere attesa la considerevole difficoltà tecnica di individuare tutti i caricamenti illeciti legati ad esempio ad una determinata serie televisiva. A tale riguardo la Corte si preoccupa altresì di tacciare l’iniziale diffida inviata da RTI a Yahoo! come troppo generica e senza la precisa indicazione degli URL dei contenuti da rimuovere, con ciò fornendo un’indicazione del quantum di informazione che il titolare dei diritti di sfruttamento economico deve offrire per poter legittimamente pretendere un obbligo di facere in capo al provider affinché questi intervenga per porre fine alla illecita diffusione. La Corte, in conclusione, sottolinea la necessità che a guidare gli ambiti e i limiti della responsabilità del provider contribuiscano in maniera decisiva i principi della proporzionalità e del bilanciamento e con altrettanta forza ribadisce i rischi dell’applicazione del modello del one size fits all.

26 gennaio 2015
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