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“Quegli embrioni scambiati”, l’intervento dei Proff. Alberto Gambino ed Emanuele Bilotti sul Corriere della Sera

GambinoBilottiCorriere30aprile2014

di Alberto Gambino ed Emanuele Bilotti [*] La drammatica vicenda dello scambio di embrioni all’ospedale Pertini di Roma, dove una donna gestante si ritrova impiantati nell’utero due embrioni, suo malgrado fecondati artificialmente con i gameti di un’altra coppia, apre una serie di interrogativi giuridici che non è facile evadere, stante l’assoluta singolarità del caso e l’assenza di precedenti giurisprudenziali. Nel caso specifico l’accesso a una tecnica di fecondazione di tipo omologo, per errore, si è trasformata in una fecondazione di tipo eterologo, anzi di “doppia eterologa”, ossia con un embrione fecondato dai gameti di due soggetti estranei alla coppia che aveva richiesto l’accesso alla fecondazione. Vediamo con ordine qual è – a leggi vigenti – lo stato giuridico del bambino che, in questo caso, nasce. Secondo l’art. 8 della legge 40, i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime. Essendo però stata prescelta dalla coppia la tecnica di tipo omologo, si potrebbe sostenere che viene meno il presupposto di applicabilità della norma, che è appunto il consenso a una tecnica specifica, quella omologa (tra l’altro l’eterologa era anche vietata dalla legge). Soccorre a questo punto il codice civile italiano che stabilisce che la filiazione si prova con l’atto di nascita nel quale è annotato il nome della donna che ha partorito il neonato. Si tratta di un accertamento “stabile”, non suscettibile di contestazione? Non c’è dubbio che per il legislatore del 1942 – ma il legislatore del 1975 e quello del 2012/2013 non hanno ritenuto di intervenire su questo punto – la prova del parto è sufficiente a integrare la prova della maternità della partoriente, e, dunque, ad accertare il rapporto di filiazione con questa. Tuttavia, sempre per il legislatore del 1942, colei che ha partorito è madre perché è anche colei che ha concepito il figlio. Questo dato è inequivocabile. È per questo, del resto, che si diceva mater semper certa: perché era impensabile che la partoriente fosse una donna diversa da colei che aveva concepito il figlio. È la generazione, cioè, la fattispecie costitutiva del rapporto di filiazione. La filiazione, in altri termini, si fonda sul dato biologico. Il progresso tecnologico ha reso ora possibile la non coincidenza tra chi ha partorito e chi ha generato il figlio. È quel che accade, col consenso, negli ordinamenti in cui è ammessa la c.d. maternità surrogata. Ma è quel che è avvenuto, di fatto, anche nel caso del Pertini. A causa di un errore, però, e, dunque, senza il consenso delle due donne coinvolte. La mancanza di consenso alla maternità surrogata – perché di questo si tratta – non sembra tuttavia che incida al fine di stabilire quale sia in questo caso la “verità” del rapporto di filiazione. Come nel caso della sostituzione di neonato, dovrebbe allora ammettersi la contestazione dello stato di filiazione risultante dall’atto di nascita e anche il conseguente reclamo di un differente stato di figlio. A meno che – ma questo è davvero un tema insidioso– non si assuma che le tecniche di fecondazione extracorporea comportino un’alea conseguente alla perdita del “governo” dell’atto fecondativo in capo alla coppia. Allora occorrerà mettere in conto che i “propri” embrioni possano talvolta sfuggire alla “rivendicazione” da parte di chi fisiologicamente ne ha perso il controllo. [*] Intervento pubblicato nell’edizione del “Corriere della Sera” del 30 aprile 2014. GambinoBilottiCorriere30aprile2014 1 maggio 2014

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