skip to Main Content

Corte di Giustizia Ue: gli Stati possono controllare se società che forniscono servizi di comunicazione elettronica stabilite in un altro Stato membro rispettino le norme in materia di tutela dei consumatori

I giudici stabiliscono che, per contro, essi non possono obbligare tali società a creare sul loro territorio una succursale o una filiale Gli Stati membri possono controllare se società che, sebbene siano stabilite in un altro Stato membro, forniscono sul loro territorio servizi di comunicazione elettronica rispettino le norme in materia di tutela dei consumatori, ma non possono obbligare tali società a creare sul loro territorio una succursale o una filiale. È il senso di un’odierna sentenza della Corte di Giustizia Europea. I giudici sono stati chiamati in causa nell’ambito di un procedimento con protagonista l’UPC, società lussemburghese che fornisce a titolo oneroso, a partire dal Lussemburgo, bouquet di servizi di diffusione radiofonica e audiovisiva ricevibili via satellite e ad accesso condizionato. Tali servizi sono forniti ad abbonati residenti in altri Stati membri, tra cui l’Ungheria. A seguito di denunce presentate da alcuni abbonati della UPC, le autorità ungheresi hanno chiesto alla UPC di comunicare loro talune informazioni relative ai suoi rapporti contrattuali con uno dei suoi clienti. La UPC si è però rifiutata di fornire tali informazioni a motivo del fatto che, avendo essa sede in Lussemburgo, le autorità ungheresi non erano competenti per avviare procedimenti di vigilanza nei suoi confronti. Non avendo ricevuto le informazioni richieste, le autorità ungheresi hanno inflitto un’ammenda alla UPC. Avendo quest’ultima avviato un’azione legale per contestare l’ammenda, la Fővárosi Törvényszék (Tribunale di Budapest, Ungheria) ha chiesto, in sostanza, se il diritto dell’Unione autorizzi le autorità ungheresi a vigilare sull’attività della UPC in Ungheria. Con la sentenza pronunciata in data odierna, la Corte di giustizia rileva che il servizio fornito dalla UPC costituisce un “servizio di comunicazione elettronica”. A tal riguardo, la Corte ricorda che la direttiva autorizzazioni (Direttiva 2002/20/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica – GU L 108 pag. 21, come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 – GU L 337, pag. 37) consente agli Stati membri di imporre la registrazione dell’inizio della fornitura di un tale servizio sul loro territorio. Del pari, la direttiva autorizza uno Stato membro sul cui territorio risiedono i destinatari di tale servizio a subordinare la prestazione dello stesso a talune condizioni specifiche del settore delle comunicazioni elettroniche. Pertanto, le autorità nazionali possono chiedere alle imprese le informazioni necessarie per verificare l’osservanza delle condizioni relative alla tutela dei consumatori, a seguito di denuncia o in caso di indagine su iniziativa delle stesse autorità. In tale contesto, gli Stati membri possono avviare procedimenti di vigilanza aventi ad oggetto l’attività, sul loro territorio, dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione. Per contro, gli Stati membri non possono imporre a tali fornitori la creazione di una succursale o di una filiale sul loro territorio, in quanto un siffatto obbligo sarebbe contrario alla libera prestazione dei servizi. 30 aprile 2014

Back To Top