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WhatsApp e Facebook, sfida alla privacy. Il commento del Prof. Alberto Gambino

di Alberto Gambino Nelle condizioni contrattuali di fornitura dei servizi di WhatsApp pubblicate il 25 agosto u.s. è stata inserita una nuova clausola che legittima la condivisione da parte di WhatsApp con Facebook dei dati degli utenti per finalità di profilazione commerciale e relazionale.

In forza della modifica contrattuale Facebook potrà ora liberamente trattare i dati degli utenti di WhatsApp per profilarli e offrire quindi ai propri clienti la possibilità di realizzare campagne pubblicitarie ancora più mirate.

La modifica dei termini contrattuali di per sé non sorprende visto che nel 2014 Facebook ha acquistato WhatsApp, per 19 miliardi di dollari, proprio in ragione del valore dei dati posseduti e raccolti attraverso l’applicazione che ha avuto una grande penetrazione tra gli utenti.

La possibilità che due società appartenenti al medesimo gruppo si scambino i dati è, peraltro, ammesso dallo stesso d.lgs. n. 196/2003 all’art. 24 che permette alle società collegate di scambiarsi dati per le finalità rese preventivamente note agli interessati nell’informativa.

Tale possibilità è prevista anche nel nuovo Regolamento n. 679/2016, che entrerà in vigore nel 2018, che espressamente disciplina il trattamento dei dati all’interno dei gruppi imprenditoriali e dei gruppi di imprese dando maggiori libertà di azione.

Il problema delle nuove condizioni contrattuali, a ben vedere, risiede nella scelta dei due operatori di associare il numero di cellulare degli utenti al loro profilo e di esplicitare tale correlazione non solo nell’ambito della profilazione commerciale svolta a favore dei clienti, ma anche nell’attività di profilazione relazionale al fine di suggerire agli utenti stessi nuovi contatti e collegamenti.

Tale pratica potrebbe avere, infatti, un impatto per tutti quei soggetti che per finalità di riservatezza decidono di non usare il proprio nome sui social network o di avere profili non visibili e non ricercabili.

Sul punto si osserva come nella Risoluzione sulla tutela della privacy nei servizi di social network, adottata dall’International Working Group on Data Protection in telecommunications nell’ottobre 2008, veniva addirittura suggerito agli utenti di utilizzare un diverso pseudonimo su ogni social network al fine di limitare i rischi di identificazione e come rivolgeva tale invito soprattutto ai minori.

La Risoluzione non è, si badi, un mero invito rivolto agli utenti ma reca prescrizioni puntuali anche per i titolari dei social network che hanno l’obbligo di “Prevedere la possibilità di creare ed utilizzare profili pseudonimizzati, e promuovere il ricorso a tale opzione”.

Certo tale possibilità risulterebbe privata di ogni efficacia allorquando, come ipotizzato nelle nuove condizioni contrattuali, a fronte di uno pseudonimo si affianca un numero di telefono.

Non è, infatti, automatico che chi dà il proprio numero di telefono ad un terzo voglia condividere con questo anche il proprio profilo social o, più semplicemente, che voglia far sapere di averne uno.

La profilazione relazionale svolta in questo modo pare dunque pregiudicare il diritto degli utenti di tenere separate le sfere della vita privata rendendo più “reale” la vita virtuale dei social e pare richiedere un intervento del Garante a tutela degli utenti al fine di richiamare all’applicazione della Risoluzione del 2008.

Per completezza deve segnalarsi che ai vecchi utenti è, comunque, riconosciuto il diritto di non accettare le vecchie condizioni (almeno fino all’entrata in vigore del nuovo Regolamento prima richiamato che disciplina in modo più favorevole lo scambio di informazioni tra società appartenenti allo stesso gruppo).

Inoltre WhatsApp riconosce agli utenti un termine di trenta giorni per eventualmente ripensare alla scelta inizialmente operata e di tornare alle vecchie condizioni contrattuale.

Anche nell’ipotesi di mancata accettazione delle nuove condizioni, tuttavia, Facebook riceverà le informazioni sugli utenti, anche se potrà usarle solo per scopi “tecnici” di gestione dei suoi servizi e non anche per finalità promozionali.

Un equo contemperamento degli interessi potrebbe essere individuato dagli stessi operatori nella misura in cui si determineranno a svolgere le attività di profilazione relazionale secondo le nuove condizioni contrattuali solo sui profili che non utilizzano pseudonimi, così rispettando la scelta degli utenti che attraverso l’impiego di pseudonimi intendono tutelare il proprio diritto alla riservatezza.

 26 agosto 2016

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