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Per una collaborazione virtuosa tra media e formazione superiore

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Come si conciliano le esigenze della formazione universitaria con il contesto ridisegnato dalle tecnologie? E come si possono sfruttare le seconde per arricchire la prima? Sono solo alcune delle domande intorno alle quali è ruotata la tavola rotonda “Per una collaborazione virtuosa tra media e formazione superiore” che ha avuto luogo a Roma il 22 ottobre 2015 nell’ambito del festival “Eurovisioni”.

Dopo i saluti del segretario generale del festival Giacomo Mazzone e della Prof.ssa Maria Amata Garito, Presidente e Rettore dell’Università Telematica Internazionale Uninettuno e autrice del volume “L’università nel XXI secolo tra tradizione e innovazione”, l’introduzione del Prof. Gianpiero Gamaleri, giornalista e docente di Sociologia della comunicazione.

12027333_954800354579224_8022395199199407101_oLa prima relazione è stata quella di Rodolfo De Laurentiis, Presidente di Confindustria Radio Televisioni: “Come l’articolazione del rapporto tra media e Università può migliorare la diffusione del sapere? Io credo che occorra ritrovare una maggiore responsabilizzazione del mondo dei media, che da una parte deve raccogliere le sfide della tecnologia ma dall’altra anche riscoprire il ruolo nell’ambito della formazione dei mezzi tradizionali, televisione in primis. In un pezzo della nostra storia la diffusione del mezzo televisivo ha aumentato il processo di acculturazione delle diverse fasce di popolazione; ci chiediamo se sia ancora così o se occorra una integrazione più efficace ed efficiente. Io ho l’impressione che sia soprattutto al Servizio Pubblico che vada avanzata la richiesta di attenzione verso la realtà che si schiude davanti ai nostri occhi. Molte delle considerazioni in questo senso sono contenute nel libro della Prof.ssa Garito, che pone il perimetro all’interno del quale le questioni dell’organizzazione dei diversi strumenti dell’informazione, a cominciare dalla rete, può svolgere una funzione peculiare nella diffusione del sapere. C’è anche un problema di proiezione verso il futuro, cioè la capacità di guardare verso perimetri più ampi rispetto a quelli tradizionali, ed è evidente quanto Internet abbia cambiato l’approccio al tema, consentendo di abbattere le barriere e di essere accessibile a qualsiasi distanza e consentendo di superare alcuni handicap che vengono attribuiti all’attuale sistema, primo fra tutti l’isolamento del sapere”.

Ha preso successivamente la parola Furio Colombo, giornalista e scrittore: “L’Università ha una lunghissima tradizione di comunicazione, perché è sempre stata, tra tutte le strutture organizzative che si sono create a mano a mano che l’uomo è evoluto dalle forme di potere verticale alle forme di co-gestione associativa della comunicazione, quella che ha raccolto messaggi che arrivavano da lontano, mandato messaggi che stavano elaborando, scambiando le intelligenze da una città all’altra. Compare dunque una naturale vocazione a comunicare e a lasciarsi penetrare dalla comunicazione. Questa vocazione è stata contenuta, umiliata e ridotta in un periodo in cui si riteneva che la pura e semplice competizione tra centri universitari e la loro identificazione come cittadella nella quale si esercita il particolare valore di alcuni docenti e alcuni insegnamenti. Quando uno dei due fattori della popolazione universitaria, i giovani, ha iniziato a muoversi e a vivere di vita propria, e parliamo della società americana degli anni Sessanta, abbiamo visto fenomeni come il free speech movement che altro non era se non una affermare ‘fatemi comunicare, voi non potete chiudere fuori ciò che accade nel mondo e io non voglio restare chiuso dentro queste mura‘. Il rinnovamento della vocazione che si era formata a Bologna, a Lovanio o a Padova, è arrivato con una impostazione diversa: ‘io voglio sapere e voglio che gli altri sappiano. Voi, miei docenti, potete valere quanto volete ma io voglio comunicare fuori e allo stesso tempo ricevere il mondo‘. È lì che nasce la vocazione dell’Università del XXI secolo ben descritta nel libro della Prof.ssa Garito: l’Università che diventa centro di comunicazione. E arriviamo agli strumenti che ci consentono di arrivare a tanti e lontano; la rapida moltiplicazione che è stata fatta in Italia ci fa pensare che sia una cosa facilissima. Ma non lo è”.

“Disponiamo di strumenti come la Tv e Internet – ha proseguito Colombo – ma questo non basta; si può essere Università a distanza e si può comunicare secondo le regole non stanziali dell’epoca che viviamo solo se si è Università, se esiste cioè il valore, il contenuto, che intendiamo comunicare. Quello che ci dice il libro è che non si diventa Università perché si comunica, ma si comunica quando si è Università a distanza e che esiste, ne ha la forza, ne ha la capacità, ne ha le radici, ne ha la comunità, ne ha la dottrina, ne ha i docenti ed è in grado di raggiungere persone lontanissime, attraversando civiltà, lingue e culture diverse e stabilendo un rapporto che prima non esisteva tra realtà diverse. È molto importante ricordare la diversa e autonoma vitalità dei due elementi che costituiscono e costituiranno sempre di più l’Università del XXI secolo: il fatto di esistere e di arricchirsi come centri di produzione del sapere e il fatto di disporre di strumenti di comunicazione limpidi, chiari, agili e rispondenti alla famosa parola d’ordine di Einstein, al quale quando chiedevano come si regolasse per iniziare esperimenti lungo una certa linea rispondeva ‘io comincio sempre da ciò che è tecnicamente facile‘. È facile comunicare a distanza, il problema è farlo avendo una disponibilità di materiali e di produzione di materiali e diffonderli in una concezione dello spazio e del tempo completamente nuove. Ecco a cosa ci troviamo davanti: una poderosa presenza dello spazio e del tempo nella sua forza generativa culturale e una quasi anticipazione di un fenomeno di interazione anche drammatica fra Sud e Nord del mondo che avrebbe segnato e sta segnando la realtà che viviamo. E non si può non pensarci quando vediamo la lunga carovana di rifugiati che percorre a piedi come un sangue nuovo dentro le vene d’Europa percorsi impervi per portare anche fisicamente la propria presenza. Lì c’è un elemento in più che ci porterebbe ad aprire il discorso lontananza-vicinanza nella incredibile incapacità di comprendere da parte dei governi e persino dell’Europa rispetto a questo fenomeno: noi dovremmo essere qui con le porte aperte esattamente come sono aperte le Università grazie a questi strumenti. Il comunicare a distanza ha anticipato cioè un enorme fenomeno di spostamento dei popoli esattamente come è avvenuto nei grandi episodi culturali della vita da quando conosciamo la storia esattamente come è stato nelle narrazioni bibliche. Il vivere insieme esiste già, la distanza non è un fattore decisivo in alcun modo, ma quello che contatta è il contatto, è lo stare in comunicazione, e non nel senso dell’ufficio postale, ma di quello di un lavoro culturale che in sé cambia le condizioni del mondo, e le avrebbe già cambiate se si fosse capita in tempo l’importanza del lavoro che si stava facendo anticipando l’Università del XXI secolo quando lo si è fatto a partire dal secolo precedente, e si sono lasciati invece in solitudine gli esperimenti proprio mentre stavano dando il risultato straordinario di mettere in comunicazione una lingua con l’altra, una civiltà con l’altra e un percorso di saperi con l’altro e rendevano il nostro Paese uno straordinario centro di produzione culturale, come adesso sta largamente accadendo con molte altre università americane e del mondo. La diversità è che mentre lo strumento viene spesso usato come una utility in più al servizio di una particolare struttura, qui l’idea è molto più grande: è la forza delle università coalizzate che si rivolgono ad un immenso pubblico non ancora diviso in vocazioni specifiche affinché nel confronto largo e profondo fra i vicini e i lontani si possano verificare e realizzare le scelte di percorso e si possano realizzare su un fronte molto largo dei rapporti multipli e profondi destinati a continuare”.

È stata così la volta del Professor Alberto Gambino, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma e Presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet: “Il Professor Gamaleri nel presentarmi ha fatto riferimento all’Accademia e alla Rivista Diritto Mercato Tecnologia, che sono in effetti espressione di un progetto di ricerca che nasce in seno all’Università. Chi, come molti dei presenti, coltiva l’interesse allo studio e all’approfondimento accademico sa che in Italia il principale strumento di finanziamento della ricerca accademica sono i Prin, i Progetti di ricerca di interesse nazionale, finanziati dal Miur”.

“Circa quattro anni fa, quando è stata disegnata la fisionomia che dovevano avere i Prin, si impostarono i bandi di gara in modo da allinearli ad Horizon 2020, che imponeva alla ricerca universitaria di non essere più astratta ma avere una ricaduta sociale, economica, sulla cittadinanza. Una rivoluzione per chi ad esempio ha fatto per tanti anni ricerca, nel campo giuridico, che ad esempio indagavano su un comma in materia di successione legittima, scrivendo interi libri su questi argomenti. a 7 università italiane ci domandammo se dunque non fosse meglio proporre un progetto di ricerca su comunicazioni, informatica e tecnologie, che potevano essere il collante per utilizzare i vecchi saperi in un’ottica nuova. Il progetto lo chiamammo le tecnologie dell’informazione e della comunicazione come strumento di abbattimento delle barriere economiche, sociali e politiche.

12039024_954800357912557_1053830980453403739_o“Dentro – ha proseguito Gambino – c’erano però i professori di procedura civile, quelli di diritto privato, quelli di diritto societario, dunque facenti riferimento a macro-temi che andavano declinati nei vari ambiti specifici: processo civile telematico, firma digitale, le delibere assembleari online, e via discorrendo. Abbiamo vinto il progetto e il primo strumento per rappresentare queste ricerche è stata la Rivista Diritto Mercato Tecnologia, che inizialmente aveva un intento più divulgativo, ma che invece piano piano è diventata la piattaforma sulla quale sviluppare la ricerca. Come? Esattamente come nell’incontro di oggi: tutti i nostri convegni sono online, e a differenza di quello che accade abitualmente con la ricerca degli atti del convegno che spesso arrivano anni dopo, l’avere sul canale Youtube tutte le relazioni a distanza di poche ore dà l’espressione di quel sapere assolutamente attuale e concreto. L’unica difficoltà che nasceva era su come citare le relazioni, perché un conto è citare la parola stampata, un altro citare un estratto di un video caricato online”.

“Siamo arrivati poi ad una fase ulteriore, creando l’Accademia Italiana del Codice di Internet, un soggetto senza finalità di lucro dove la parola Codice si riferisce alla raccolta legislativa, ma a code, l’algoritmo che sta dietro la governance della rete informatica, e cioè ai progetti di chi oggi governa quel sistema con riferimento, ad esempio, al diritto d’autore, materia sulla quale ci siamo spesso confrontati in questi anni. L’Accademia ha fatto sì che le 7 Università originarie diventassero 10 e che piano piano si vedessero anche sviluppi in ricerche finanziate non più dal pubblico, ma dal privato. Trovo particolarmente significativo, anche in relazione a quanto affermava Furio Colombo, che per essere Università prima e comunicare dopo, occorre alimentare l’insegnamento e la didattica con la ricerca, perché ciò che differenzia un’Università da un corso di formazione fatto da esperti e da tecnici è la qualità dell’approfondimento e della ricerca che viene fatto in prima persona. Se nel caso dei corsi professionali, infatti, di solito troviamo una ripetizione di cose sedimentate nel settore, nella ricerca chi parla è il protagonista stesso di tesi e teorie che si confrontano con altre, e che possono essere valide solo se si alimentato continuamente in un confronto, appunto, con la ricerca”.

“E allora – ha proseguito Gambino – il cerchio si chiude quando riusciamo a ridare gli strumenti appropriati al Miur illustrando come lo strumento telematico, cioè senza barriere, debba essere applicato anche in quel contesto, perché è lì che abbiamo l’archetipo di come possiamo sviluppare le intelligenze. Perché la possibilità di confronto a distanza con saperi diversi è centrale. Tutti noi che abbiamo fatto vita universitaria sappiamo bene che non si iniziava di solito la “carriera” dalla città dove uno vive, ma si andava in atenei lontani da casa per poi eventualmente tornarvi dopo un percorso non breve. Era un valore aggiunto, straordinario, per confrontarsi con altri contesti e culture scientifiche legate al territorio, alle scuole accademiche, un rapporto che la grande diffusione di atenei in ogni area ha in parte interrotto ma che è stato recuperato dalle università telematiche, che, in altro modo, riscoprono un confronto che, come tanti raggi, si espande su tutto il territorio nazionale con anche la necessità di vedere in carne e ossa il discente non solo in fase di verifica ma anche per tutta una serie di eventi convegnistici e di confronto che danno il senso di una comunità.

“Quindi forse il suggerimento che potrebbe venire anche da questa tavola rotonda è quello di chiedere alle istituzioni di rinnovare anche all’interno del mondo della ricerca il metodo “telematico”, mentre al contrario noi, purtroppo, spesso siamo subissati da una burocrazia che rischia di bloccare la spinta positiva. Un ricordo me lo offre proprio questo  ambiente (il palazzetto del Burcardo, sede della Siae, ndr): una decina di anni fa mi trovavo a presiedere il Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e bisognava convocare le parti, venne fuori che la legge non prevedeva il ministro delle telecomunicazioni. Lo stupore fu comprensibile, ma il motivo è che la legge è del 1941, mentre la Rai ha iniziato a trasmettere solo nel decennio successivo. Abbiamo dovuto così fare molti sforzi per far sì che al tavolo ci fossero tutti i rappresentanti di quel ministero, uno legato all’industria e un altro alle telecomunicazioni”.

“Ma la legge sul diritto d’autore, nel 2015, è ancora quella, quindi pensate che stato di arretratezza giuridico-culturale abbiamo nel palinsesto del nostro scenario legislativo: nel contesto specifico del rapporto tra tecnologie e diritto d’autore c’è l’assenza istituzionale del soggetto che è preposto alla regolazione delle tecnologie comunicative. In qualche modo ciò accade anche nel campo della ricerca universitaria, dove una maggiore osmosi con i dicasteri che hanno come oggetto l’innovazione e le telecomunicazioni datate sarebbe assai proficue. Allora forse da una riflessione virtuosa potrebbe anche venire fuori un auspicio: che si possano riformulare le linee guida dei progetti di ricerca andando a verificare tengano metodo e tenuta anche con riferimento allo scenario tecnologico. In altre parole, che lo strumento tecnologico diventi non più uno strumento un po’ casuale come è stato nel nostro progetto – perché parlando di tecnologie eravamo in un certo senso costretti ad avere una vetrina online – ma che anche quando si parla di chimica, architettura e quant’altro ci debbano essere sempre non solo le pubblicazioni finali dopo tre anni ma anche una  quotidiana rappresentazione e divulgazione, direi “digitalizzazione” della ricerca che si sta facendo sul momento attraverso lo strumento telematico, perché quello consente di lasciare aggiornato tutto l’uditorio dei ricercatori sparsi per il mondo e soprattutto di rendere la ricerca ancora più virtuosa. Convegno dopo convegno si affina il pensiero, mentre un’unica pubblicazione a distanza di anni dal momento storico in cui si è effettuata la ricerca, nasce talvolta, ahimé, già vecchia”.

A chiudere i lavori gli interventi di Maarten Van Aalderen, giornalista già presidente dell’Associazione Stampa Estera, e di Maria Pia Rossignaud, Direttore della rivista Media2000.

2 novembre 2015

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