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La coperta corta della televisione italiana

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di Maria Letizia Bixio 3103691586_4307efbb73_oQuesta mattina al Roma Fiction fest, presso l’Auditorium Parco della Musica, si è tenuto l’incontro L’industria culturale e la produzione, un investimento di successo, organizzato dall’Associazione Produttori Televisivi (APT), per introdurre il V rapporto Economia dei Media commissionato alla Fondazione Rosselli. L’obiettivo è quello di presentare lo stato dell’arte del settore televisivo e produttivo italiano, con un’anticipazione dei dati del V Rapporto sulla fiction affiancata e un approfondimento comparativo sul virtuoso esempio delle produzioni indipendenti britanniche. Primo a prender la parola è stato Bruno Zambardino, Coordinatore dell’Istituto Economia dei Media della Fondazione Rosselli, impegnato negli ultimi mesi nella stesura del V rapporto annuale sulla fiction. Stando al dato statistico, nonostante il nostro Paese vanti un primato assoluto in termini di consumi di contenuti audiovisivi, laddove la fruizione giornaliera tv è pari a 4 ore e 13 minuti, rispetto ad una media europea di 3 ore e 55 minuti, l’industria della fiction italiana sembra poter ambire nei prossimi anni a tassi di crescita piuttosto contenuti a causa della persistenza di alcuni fattori, tra i quali, la contrazione degli investimenti pubblicitari (-18% tra il 2011 e il 2012) eccetto il mezzo on line, il rallentamento della pay tv (-1,4%) e i deboli investimenti in fiction da parte dei broadcaster attestati a meno di 300 milioni di euro nel 2013 (erano circa 500 nel 2008, prima dello scoppio della crisi). Al di là dunque di un positivo impegno nel tentativo di integrazione di tv e social media, le risorse del mercato tv soprattutto per la pubblicità appaiono al dato fortemente ridotte. Inevitabile l’impatto sui volumi produttivi scesi sotto le 500 ore nell’ultima stagione e il ricorso sempre più massiccio alle repliche anche su tutte le reti. Assenti anche gli investimenti in contenuti originali sui canali tematici digitali sui quali migra il pubblico dei più giovani (tra gennaio e luglio 2013 la quota  di share media mensile per i canali digitali è salita al 36,8% mentre quella delle reti ex analogiche è scesa al 63,20 (era al 90% nel 2008). Prosegue il processo di addensamento di film tv e miniserie sulle prime serate delle reti ammiraglie le quali riescono in questo modo a massimizzare gli ascolti sempre sopra la media di rete (Rai Uno vanta ben 67 prodotti di fiction nella top 100 Rai) e al contempo a ridurre i costi orari (da 750K a 600 k per una serie Rai). La vera zavorra del mercato sembra esser anche lo squilibrio cronico della bilancia commerciale dove forte il divario tra volumi crescenti di importazioni e ricavi decrescenti da export (scesi nel 2011/2012 sotto i 100 milioni). Lo studio rileva tuttavia alcune note positive, tra cui la diminuzione del fenomeno della delocalizzazione all’estero che sembrerbbe esser tornato ad attestarsi su livelli fisiologici anche grazie all’impegno assunto dalla Rai nei confronti delle Associazioni sindacali e produttive: nei primi 9 mesi del 2013 il numero delle settimane lavorate all’estero è sceso a 21, pesando ormai solo per il 2% sul totale (sale  al 56% la quota delle settimane lavorate a Roma e nel Lazio mente il restante 42% si distribuisce nelle altre regioni); inoltre, il Senato ha appena approvato un provvedimento (si è in attesa del voto definitivo) che estende, in modo permanente il tax credit anche alla produzione audiovisiva con un budget di 20 milioni all’anno (che si vanno così ad aggiungere ai 90 del cinema), allineando il nostro Paese ad altri mercati europei come quello francese e inglese dove la leva fiscale sta generando importanti ricadute sugli investimenti e l’occupazione. Resta il nodo di un sistema normativo ancora poco trasparente che non garantisce un pieno sviluppo del mercato a causa dello squilibrio negoziale tra produttori e reti televisive in materia di diritti secondari. L’incontro è proseguito con l’intervento di John McVay, Presidente dell’Associazione inglese dei roduttori indipendenti di film, contenuti televisivi e d’animazione (PACT), invitato a spiegare le ragioni e la chiave della rapida crescita dell’industria televisiva inglese, avvenuta in meno di 10 anni. McVay spiega cosa ha permesso che il Regno Unito diventasse il paese con il mercato più creativo e commercialmente proficuo della produzione indipendente (+300% delle produzioni dal 2004; 110 milioni di spettatori a settimana per le produzioni tv; vendite in tutto il mondo; più del 50% dei format prodotti in Uk). Due sono i pilastri su cui poggia il repentino successo delle produzioni inglesi, come preciserà anche il Presidente dell’APT Fabiano Fabiani alla chiusura dei lavori: in primis, il fisco, che attraverso meccanismi di tax credit ha costituito un grande aiuto per i produttori inglesi; in secondo luogo, un sistema normativo adeguato, che consenta la giusta tutela per autori, produttori ed utilizzatori. McVay ha concluso accennando ad una certa “Santa trinità” per mettere a fuoco le imprescindibili componenti del marcato UK: l’Appetite, è la crescente domanda di prodotti audiovisivi da parte del pubblico, la Finance, che individua nel tax credits un efficace sistema di finanziamento per un numero maggiore di produzioni, infine la IP,o proprietà intellettuale, che è la base per il successo globale. Foto di pietrodemarchis/Flickr 30 settembre 2013

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