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Stampanti in 3D: quale futuro per i quadri d’autore?

Nieuwe Ontdekking 'Zonsondergang Bij Montmajour' Is Nu Te Zien

di Federico Mastrolilli Dopo aver innovato la maniera di guardare – e produrre – i prodotti del cinema e della televisione, la tecnologia 3D sta facendo il suo ingresso anche nel mondo delle arti visive, con risvolti inaspettati. È notizia recente che il museo Van Gogh di Amsterdam ha messo in vendita riproduzioni tridimensionali ad altissima risoluzione di alcune tra le opere più famose del pittore olandese. Le stampe in 3D, anche se è riduttivo chiamarle stampe, riproducono fedelmente i capolavori originari quanto alla misura, ai colori, alla luminosità e alla materia stessa del supporto (non solo la superficie, ma anche il retro della tela). Per questo motivo, il loro prezzo è molto più elevato – circa 22 mila euro – rispetto alle riproduzioni tradizionali.

Queste repliche, alla vista indistinguibili dagli originali, sono rese possibili dall’utilizzo della tecnologia Reliefography, un misto di scansione ultra-definita, elaborazione digitale e stampa tridimensionale, sviluppata dalla Fujifilm, che è partner del progetto museale. Accanto a questo esempio, stanno nascendo on line piattaforme che offrono servizi di stampa on demand, quindi domestica, di oggetti di design, naturalmente a condizione di possedere le costose stampanti 3D. E nuovi modelli di business, c’è da scommettere, emergeranno nei prossimi mesi. Il diritto, e in particolare il diritto d’autore, si trova, come di consueto, a doversi interrogare di fronte all’affermarsi delle nuove tecnologie. Con riferimento alla stampa in 3D, possono elencarsi almeno tre profili di riflessione per il giurista. Innanzitutto, nel momento in cui un oggetto di design o un’opera d’arte – creazioni intellettuali protette dall’ordinamento se dotate di carattere creativo – vengono dematerializzate (verrebbe da dire: liofilizzate) in un file che l’utente può scaricare e ricreare fisicamente grazie a una stampante, si rischia di estendere anche a questi prodotti dell’industria culturale i problemi e i dibattiti connessi alla pirateria digitale e alle pratiche di filesharing che, da oltre una decade, inquietano il mondo della musica, dell’audiovisivo e, con sempre maggiore intensità, dell’editoria. Per la prima volta anche il sistema delle arti visive, che si basa su pezzi unici o comunque a tiratura limitata, verrebbe minacciato non solo marginalmente dalla riproduzione non autorizzata dei supporti delle opere (fenomeno finora limitato a riproduzioni delle immagini di tipo “secondario” su poster, libri, cartoline, borse, etc.). Si tratta di un conflitto inevitabile che appare solo rimandato dalla momentanea scarsa diffusione delle stampanti 3D. Non solo criticità derivanti dalla circolazione di copie non autorizzate, però. L’esempio del museo Van Gogh – per quanto, nel caso concreto, il problema non esiste, essendo le opere del pittore olandese ormai in pubblico dominio – suggerisce una seconda domanda al giurista: le istituzioni museali (ma anche le gallerie e gli altri intermediari del mercato dell’arte) sono titolari dei diritti necessari alla creazione di nuovi esemplari tridimensionali delle opere presenti nelle loro collezioni? Il riferimento è al diritto di riproduzione, che, ricomprendendo ogni forma e mezzo di moltiplicazione in copie, consente il controllo della produzione degli esemplari dell’opera al fine, tra l’altro, della loro successiva messa in vendita. Non è insolito, nella prassi museale, che l’acquisizione dell’esemplare fisico – anche se unico – dell’opera d’arte non sia accompagnata dalla cessione dei diritti d’autore di natura patrimoniale, se non quelli necessari a realizzare la funzione del contratto, come il diritto di esporre l’opera e di riprodurla in catalogo (come noto, ai sensi dell’articolo 109 della legge sul diritto d’autore, la cessione dell’esemplare dell’opera non comporta, di per sé, la trasmissione dei diritti di utilizzazione). Tanto che, proprio per questo motivo, molte istituzioni hanno avuto difficoltà, in questi anni di transizione al digitale, a portare on line la propria collezione. Coloro che vorranno replicare l’esperienza del museo Van Gogh dovranno quindi previamente ottenere l’autorizzazione specifica degli autori o dei loro aventi causa (se a loro volta cessionari dei diritti patrimoniali, caso raro tra i collezionisti privati) alla riproduzione in modalità tridimensionale delle opere, al fine della vendita degli esemplari così realizzati. Emerge, inoltre, una terza e ultima questione, che supera i confini del diritto d’autore e attiene al funzionamento stesso del mercato dell’arte. Si tratta di capire quale sia lo statuto degli esemplari tridimensionali così realizzati sotto il profilo dell’autenticità e quale sia, pertanto, il loro valore (economico ma prima ancora artistico). Il tema dell’autenticità dell’opera d’arte è cruciale nel campo delle arti visive, il cui mercato, come anticipato, si fonda sulla compravendita di pezzi unici (o a tiratura limitata). che dall’attribuzione a un certo autore, il valore delle opere d’arte dipende, infatti, anche dalla loro scarsità. È l’aura – collezionistica – del pezzo unico. Nieuwe ontdekking 'Zonsondergang bij Montmajour' is nu te zienConsapevoli del problema, i responsabili del museo Van Gogh hanno deciso che la tiratura delle stampe in 3D di ciascun dipinto non possa superare le 260 copie. In altri termini, in assenza dell’unicità materiale, dal momento che l’opera potrebbe essere riprodotta senza limiti, essa è ricreata in modo fittizio, al fine di aumentare il valore del prodotto e giustificare l’elevato prezzo di vendita. Si tratta di una prassi comune nel contesto delle nuove forme artistiche; ad esempio, nel caso delle opere fotografiche, dei readymadee della video arte, che si caratterizzano per la possibilità di riproduzione all’infinito degli esemplari fisici, la scarsità si realizza limitando in via convenzionale il numero delle opere che può essere messo in circolazione dall’autore o dal gallerista, tramite l’espediente dei certificati di autenticità. Si noti, in via incidentale, che la prassi dei certificati di autenticità appare irrinunciabile anche se si vuole estendere il business delle stampe in 3D a queste tipologie di opere dell’arte contemporanea, soprattutto quelle costituite da mere descrizioni e istruzioni linguistiche che possono essere tradotte in manufatti dall’acquirente (si pensi all’arte concettuale e minimalista). Ma tornando alla domanda iniziale, cosa sono, in definitiva, questi esemplari di opere d’arte riprodotti tridimensionalmente? Non sono degli originali (nel senso comune del termine), perché sono riproduzioni successive di opere già esistenti; non sono dei falsi, perché sono copie identiche agli originali, indistinguibili sotto il profilo materiale; non sono neanche delle mere riproduzioni a stampa, perché hanno tre dimensioni e, inoltre, il loro prezzo e la loro percezione da parte dei consumatori li distingue da quella tipologia di prodotti normalmente in vendita nei bookshop museali. La loro atipicità sembra dar ragione a quei filosofi dell’arte come John Armstrong che sfumano la distinzione – soprattutto economica – tra l’originale e il falso (rectius, e la sua riproduzione), evidenziando come essa esista solo nell’immaginazione dello spettatore, e come l’originalità sia solo un prodotto delle idee. Piuttosto, la nuova tecnica del 3D, saldandosi con l’espediente della tiratura limitata (certificata), potrebbe aver creato un tertium genus tra l’opera d’arte e la sua riproduzione, rendendo possibile la creazione postuma di multipli dell’opera originale (da cui il valore intermedio della stampa tridimensionale rispetto all’opera originale e alla sua mera riproduzione fotografica o bidimensionale). Ciò per quanto concerne il mercato e la riflessione filosofica; ora spetta al diritto, e in particolare al diritto d’autore, trovare una collocazione adeguata per questa – sia permessa l’etichetta critica – forma di bigiotteria artistica. 2 ottobre 2013

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