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Diritto all’oblio, la pronuncia del Tribunale di Roma: motore di ricerca non responsabile della falsità delle notizie indicizzate. Ribadita la centralità dell’elemento temporale. Anche gli avvocati esercitano un “ruolo pubblico”

Il Tribunale di Roma si è pronunciato, primo tra i tribunali italiani dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Costeja Gonzales, sul cosiddetto diritto all’oblio e sugli obblighi di de-indicizzazione di risultati di ricerca in capo a Google. Nella Sentenza n. 23771/2015, dopo aver menzionato la richiesta di rimozione di 14 link avanzata dal ricorrente e respinta dal motore di ricerca, e aver richiamato i principi di bilanciamento contenuti sia nella sentenza della Corte europea sia nelle linee guida prodotte dai garanti continentali riuniti nel Gruppo articolo 29, il Tribunale osserva che “le notizie individuate tramite il motore di ricerca risultano, nella specie, piuttosto recenti; invero, il trascorrere del tempo, ai fini della configurazione del diritto all’oblio, si configura quale elemento costitutivo, come risultante anche dalla condivisibile sentenza n. 5525/2012 della Suprema Corte, nella quale questo viene configurato quale diritto a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati, presupposto nella specie assolutamente insussistente, risalendo i fatti al non lontano 2013 (o al più al luglio 2012, secondo due dei risultati della ricerca) ed essendo pertanto gli stessi ancora attuali”. Ancora, “la medesima appare di sicuro interesse pubblico, riguardando un’importante indagine giudiziaria che ha visto coinvolte numerose persone, seppure in ambito locale-romano, verosimilmente non ancora conclusa, stante la mancata produzione da parte dell’istante di documentazione in tal senso (archiviazioni, sentenze favorevoli…). I dati personali riportati risultano quindi trattati nel pieno rispetto del principio di essenzialità dell’informazione”. Importante il profilo relativo alla veridicità di quanto contenuto nelle notizie indicizzate da motore di ricerca: “Né può in questa sede il ricorrente dolersi della falsità delle notizie riportate dai siti visualizzabili per effetto della ricerca a suo nome, non essendo configurabile alcuna responsabilità al riguardo da parte del gestore del motore di ricerca (nella specie Google), il quale opera unicamente quale caching provider ex art. 15 d.lgs. n. 70/2003: in tale prospettiva pertanto il medesimo avrebbe dovuto agire a tutela della propria reputazione e riservatezza direttamente nei confronti dei gestori dei siti terzi sui quali è avvenuta la pubblicazione del singolo articolo di cronaca, qualora la predetta notizia non sia stata riportata fedelmente, ovvero non sia stata rettificata, integrata od aggiornata coi successivi risvolti dell’indagine, magari favorevoli all’odierno istante (il quale peraltro deduce di non aver riportato condanne e produce certificato negativo del casellario giudiziale)”. Infine, “risulta che l’odierno ricorrente è avvocato in Svizzera, libero professionista, circostanza che consente di ritenere che questo eserciti un ruolo pubblico proprio per effetto della professione svolta e dell’albo professionale cui è iscritto, laddove tale ruolo pubblico non è attribuibile al solo politico (cfr. linee guida del 26.11.20014) ma anche agli alti funzionari pubblici ed agli uomini d’affari (oltre che agli iscritti in albi professionali). In conclusione, nell’ottica del sopra menzionato bilanciamento, l’interesse pubblico a rinvenire sul web attraverso il motore di ricerca gestito dalla resistente notizie circa il ricorrente deve prevalere sul diritto all’oblio dal medesimo vantato. La domanda deve pertanto essere integralmente respinta”.

Diritto all’oblio, 50 i ricorsi definiti dal Garante privacy su 25mila richieste arrivate a Google

10 dicembre 2015

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