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Giustizia Digitale: Processo civile telematico tra prospettive taumaturgiche e paura di fallimento

di Michele Gorga La distanza tra paese reale e paese legale sembra di colpo pareggiare, ritrovandosi nel comune grido emergenziale di tutti i capi degli uffici giudiziari della Repubblica. Uno dei temi trattati, in tutte le relazioni in sede di apertura dell’anno giudiziario, è stato quello relativo al PCT al centro di tutte le riflessioni che ne hanno fatto emerge aspetti sconfortanti. Si è preso atto che vi sono ancora troppi segmenti della riforma non attuati e se dal 1 gennaio è divenuto vincolante nei Tribunali il deposito delle memorie endoprocessuali queste sono state limitate ai soli fascicoli nuovi. Per il giudizio di appello la consolle del magistrato non è ancora sviluppata e la carenza mette in pericolo il rispetto della scadenza fissata a metà del 2015. Dappertutto si segnalano carenze di personale e di progressivo decadimento dei servizi. Più che incertezze, poi, vi è la certezza dell’ inadeguatezza della rete Giustizia già oggi con i carichi attuali e non si ha alcuna fiducia sulla sua solidità nel momento in cui, con l’attuazione del PCT la stessa sarà chiamata a sopportare carichi maggiori di quelli attuali. Già oggi, poi, abbiamo risposte che sono inversamente proporzionale tra la domanda dello strumento informatico e la risposta del calo delle prestazioni dello stesso. È esperienza quotidiana per gli avvocati tentare l’accesso ai servizi ed essere rifiutati senza alcuna informazione e troppo spesso le operazioni telematiche degli avvocati si interrompano durante la loro esecuzione, costringendo a ripetere le procedure con notevole dispendio di tempo e di forza lavoro. La stessa cosa accade alle Cancellerie, mentre i provvedimenti dei giudici spesso spariscono dal sistema, con enormi incertezze e dispendio di tempo e risorse. La stessa utilità dello strumento scema di fronte alle numerose interrogazioni che occorre fare e che ne evidenziano l’inadeguatezza infrastrutturale, in relazione alla normativa procedurale. Nella corsa torrenziale verso l’avvio del PCT , la politica e l’amministrazione, non hanno tenuto conto di quanto da anni è stato segnalato dai giuristi informatici – non essendo il processo telematico solo figlio dell’ultimo governo – che tecnicamente realizzare il PCT significa, anche, costruire e aggiornare banche dati interoperabili, registrare digitalmente la documentazione, gestire in forma telematica gli scambi informativi tra gli attori del sistema attraverso la PEC e la firma digitale, sostituire il fascicolo cartaceo con il fascicolo elettronico. Su tutto questo poi la necessità di avere dotazioni hardware e software diffuse in tutte le sedi giudiziarie e la costruzione di modelli di relazioni interne ed esterne coerenti con la progressiva realizzazione del PCT; una complessiva riprogettazione delle unità operative interne all’organizzazione stessa, di ridefinire una serie di indicatori capaci di ausiliare la struttura magistratuale e amministrativa nel governo delle risorse, innescando momenti costanti di revisione organizzativa e professionale di tutti gli attori sociali del processo. Innovare nella giustizia non significa, infatti, digitalizzare, così come troppi pensano, l’esistente ma semplificare la procedura del processo attuale perché l’uso della telematica ha senso solo se si prende atto che la ragione della sua essenza sta nella ripetizione, in pochi decimi di secondi di innumerevoli operazioni complesse, ma dinnanzi ad una complessa procedura ridonante, come l’attuale, che si avvita su se stessa il risultato telematico non potrà non essere che quello dell’avvitamento su se stesso.

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27 gennaio 2015 Immagine in home page via consiglionazionaleforense.it

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