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Diritto all’oblio, Soro: “Criteri Google coincidono con i nostri”

Il Garante per la Privacy a Radio Radicale: “Sulla vicenda c’è stata una sovrapposizione di temi. Il punto di equilibrio non si decide una volta per tutte ma volta per volta. In certi casi è importante che siano i giornalisti in prima battuta a fare le giuste valutazioni” “Premetto: il diritto all’oblio è una bellissima parola, molto suggestiva, ma in realtà il fondamento giuridico risiede tutto nella vigente direttiva che disciplina la protezione dei dati personali, quindi non si è inventato nulla e i criteri ai quali noi ci ispiriamo sono esattamente quelli contenuti nella direttiva vigente e nel nostro Codice italiano”. Così Antonello Soro, Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, in una intervista a Radio Radicale ad un anno dalla ormai celebre sentenza con la quale la Corte di Giustizia dell’Ue ha riconosciuto la possibilità per i cittadini europei di richiedere ai motori di ricerca la de-indicizzazione di risultati riferiti ai propri nomi.

Diritto all’oblio, un anno dopo: quasi un milione gli Url esaminati da Google. Mentre la de-indicizzazione approda in Senato

“La prima cosa che voglio sottolineare – ha affermato Soro – è che rispetto ad altri Paesi e alla media europea in Italia il tasso di diniego alle richieste di de-indicizzazione è percentualmente molto più basso. Aggiungo che le scelte di Google nell’accogliere o negare queste richieste rispondono a criteri sostanzialmente coincidenti con quelli che utilizziamo noi. Questo non è neanche casuale. Ho letto la lettera degli ottanta professori che chiedono più trasparenza, ma vorrei dire che Google ha adottato fin dal giorno dopo la sentenza una serie di criteri resi pubblici, e successivamente ha fatto sua l’opinion dei garanti europei che hanno adottato un’altra serie di criteri sui quali si sono armonizzati anche i nostri comportamenti di Autorità, che interviene in seconda battuta sui ricorsi di cittadini che hanno avuto un diniego da parte del motore di ricerca”. “Da noi – ha continuato Soro – la tradizione di richieste di rimozione di notizie o di de-indicizzazione delle stesse era già abbastanza collaudata. Noi abbiamo adottato provvedimenti su ricorsi dei cittadini nei confronti di un rifiuto operato da parte di un editore tanti anni fa e questa tradizione ha costruito, come dire, una giurisprudenza. Detto questo è evidente che Google viene, alla luce di questa sentenza, considerato un responsabile del trattamento delle notizie e delle informazioni alla pari di un editore; naturalmente i ruoli sono differenti, ma giuridicamente chi raccoglie le informazioni sparse nei siti sorgente e le indicizza opera una scelta; se non è stato scandaloso richiedere le de-indicizzazioni agli editori non lo è neanche richiederlo a Google”. “Da considerare c’è anche il fatto che la rimozione del link è fra un nome e una notizia, ma quella notizia rimane in piedi nel sito sorgente e resta reperibile anche nel motore di ricerca se noi attiviamo la ricerca non col nome di quella persona ma con altri dettagli della notizia. E negli archivi dei siti sorgenti tutto il patrimonio informativo viene conservato e resta a disposizione. Non trovo dunque ci sia una minaccia. Su questa questione si dunque è fatta una sovrapposizione di temi”. Soro ha poi puntualizzato le differenze tra cittadino comune e figura pubblica, sottolineando che la seconda ha in questo senso tutele minori che non si traducono però in un’assenza di tutela: “Se un uomo che ha avuto un ruolo pubblico vent’anni fa e da vent’anni fa vita privata e c’è una notizia che lo riguarda ma che non ha nessun peso sull’interesse della collettività e serve solo a mortificare quella persona, perché magari dava notizia di un comportamento scorretto o di un iniziale arresto che è stato seguito da un proscioglimento, in quel caso l’essere stato figura pubblica comunque no lo priva del diritto ad avere la de-indicizzazione”. “Il punto di equilibrio – ha chiosato infine il Garante – non si decide una volta per tutte ma volta per volta. Non c’è un algoritmo che decide ‘questa è buona questa cattiva‘, noi decidiamo sulla base di una valutazione anche che viene fatta di volta in volta ma con criteri che sono pre-esistenti e in qualche modo collaudati dalla nostra giurisprudenza anche prima di questa sentenza. Quindi da questo punto di vista sono abbastanza ottimista sul fatto che si riesca a governare la complessità di temi che che sono stati sollevati dalla sentenza”.

Diritto all’oblio, il Garante privacy: “Non deindicizzare notizie recenti”. Richiesta per la prima volta la modifica dello snippet

E sulla possibilità di re-indicizzare un contenuto aggiornato e attualizzato dopo la de-indicizzazione: “Un altro equivoco da sciogliere è che il sito sorgente non ha diritto all’indicizzazione; essa è una responsabilità che sta in capo al motore di ricerca e quindi contrariamente a una prima applicazione, al sito sorgente non va notificata la de-indicizzazione, che produce conseguenze in quel cittadino che fa richiesta ma non lede il diritto del sito sorgente che può tornare su quella notizia e naturalmente Google può nuovamente indicizzare la nuova notizia”. “E qui – ha concluso Soro – entra in gioco anche il Codice deontologico del giornalista e la sua responsabilità nel trattare una notizia. Racconto un episodio, la vicenda reale di una donna che è stata condannata per un omicidio e che ha passato più di vent’anni in carcere, oltre ad un successivo periodo di domiciliari, dopodiché avendo pagato la sua pena ha scelto di trasferirsi in un’altra città e ha ricominciato la sua vita; un giorno è stata investita in strada da un’automobile, è andata in ospedale e i giornalisti hanno dato la notizia dicendo ‘è stata investita la signora che a suo tempo ha commesso l’omicidio tal dei tali‘ ri-attualizzando così la vita che questa donna aveva diritto mettersi alle spalle. Il giornalista in quel caso non ha fatto un buon servizio”.

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20 maggio 2015

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