Massimo Proto, Ordinario di Diritto privato, è di ruolo presso l’Università degli Studi Link…
Ubi scientia ibi iura. A prima lettura sull’eterologa
di Andrea Morrone Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Bologna. La nota è stata scritta l’11 giugno 2014 e pubblicata sul Forum di Quaderni Costituzionale 1. Ubi scientia ibi iura: è questo, in sostanza, il contenuto di un nuovo nomos dei diritti fondamentali, sotteso alla sent. n. 162/2014, che annulla il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella legge sulla procreazione medicalmente assistita, dopo la riproposizione della questione di costituzionalità da parte dei giudici a quibus che si erano visti restituire gli atti con la controversa ord. n. 150/2012. Le ragioni della decisione sono sintetizzate in pillole nel seguente passaggio della motivazione “Il divieto in esame cagiona, in definitiva, una lesione della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, in virtù di quanto sopra rilevato in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite.” 2. Le legge 40/2004 è stata contestata fin dal suo nascere. Cinque referendum abrogativi proponevano al corpo elettorale di pronunciarsi sul merito di molte scelte fatte dal legislatore. La Corte costituzionale, com’è noto, aveva accolto solo i quesiti parziali, bocciando il referendum totale, sulla base dell’assunto, ripreso anche nella sentenza in commento, che la legge 40 fosse una legge costituzionalmente necessaria, perché dettava “una prima legislazione organica”, che assicurava “un livello minimo di tutela legislativa” a “una pluralità di rilevanti interessi costituzionali” (Corte cost. sent. n. 45/2005). L’ammissibilità dei referendum parziali era coerente con questa scelta: gli elettori potevano pronunciarsi solo su singoli punti della legge e, tra questi, anche sul divieto di fecondazione eterologa (Corte cost. sentt. nn. 46, 47, 48 e 49). L’iniziativa referendaria era speculare alla decisione del legislatore: voleva contrapporre a quella del Parlamento una diversa scelta politica in materia di procreazione medicalmente assistita, ispirata alla più ampia libertà procreativa e alla piena libertà di scienza. Una scelta politica, appunto, non certo una soluzione che si assumeva radicata nella Costituzione (basta rileggere gli atti processuali, in Ainis, I referendum sulla fecondazione assistita, Milano, 2005). 3. Dopo l’ondata astensionistica che ha travolto tutti i quesiti ammessi al voto, la legge 40 è stata mutilata nei punti più qualificanti per effetto di diverse pronunce giurisdizionali, alcune delle quali opera della Corte costituzionale: dopo la sent. n. 151/2009, la sent. n. 162/2014 costituisce l’ultimo precedente in ordine di tempo. In entrambi i casi, la decisione di accoglimento si fonda non sulla violazione di diritti costituzionalmente garantiti, ma sull’irragionevolezza del bilanciamento legislativo degli interessi in gioco. Non è una differenza di poco conto. E non è difficile spiegare perché: in assenza di precise disposizioni costituzionali, la disciplina della procreazione medicalmente assistita e, della fecondazione eterologa in particolare, rientra nello spazio aperto della politica, nel quale il legislatore può compiere molteplici scelte, col solo limite della ragionevolezza. La stessa Corte costituzionale, infatti, aveva riconosciuto e, ora, ripete che la legge 40 introduce una “tutela minima” e, comunque, “non costituzionalmente vincolata” (cfr. sent. n. 45/2005, 162/2014). 4. Sostiene il giudice costituzionale che il divieto di eterologa “incide” su una (indimostrata) libertà di autodeterminazione (di avere figli e di formare una famiglia con figli) e sul diritto alla salute psicofisica. L’illegittimità del divieto, però, non consegue da ciò, ma dalla rilevata assenza di un fondamento costituzionale, mancando un valore costituzionale che potesse giustificarne la prescrizione (cfr. punto 8, diritto). Escluse finalità eugenetiche, nonché di protezione della salute del donante o dei donatori, l’unico interesse che il legislatore ha inteso perseguire, la protezione della persona nata per effetto della fecondazione eterologa, è agli occhi del giudice costituzionale comunque tutelato in maniera adeguata dalla legge. Non solo il legislatore ha dettato norme specifiche in caso di violazione del divieto di fecondazione eterologa, ma la legge consente, per via interpretativa, di applicare anche a questa tecnica di procreazione tutte le norme previste per quella omologa a protezione del nato. Sono così superati tutti i dubbi su un preteso vuoto normativo discendente dall’eventuale accoglimento della questione, quale causa ostativa per procedere in tal senso (punti nn. 11 e 13, diritto). Ma tutto questo basta per permettere l’applicazione delle tecniche di procreazione eterologa senza rischi e senza problemi? E’ davvero inutile un intervento legislativo? 5. Il vizio che inficia il divieto di eterologa, dunque, sta tutto nella teoria della ragionevolezza. Irragionevole è il bilanciamento dei diritti operato dal legislatore, per la sproporzione eccessiva tra la protezione della persona nata dalla fecondazione eterologa da un lato, e la tutela del diritto alla genitorialità e del diritto a formare una famiglia con prole, dall’altro. Irrazionale e discriminatoria è, in secondo luogo, la disciplina positiva, per il fatto di avere pregiudicato questi ultimi diritti soprattutto nei confronti delle coppie sterili o infertili in maniera irreversibile. Queste coppie, a differenza di quelle che possono accedere alle tecniche di procreazione omologa, vedono frustrati i loro diritti ad avere una famiglia con figli proprio per l’impossibilità di accedere alle pratiche di fecondazione esogamica, le uniche potenzialmente idonee allo scopo. Ma è una disciplina discriminatoria anche perché legittima il “turismo procreativo” sulla base della diversa capacità economica, che “assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi” (punto 13, diritto). Un caso d’ingiustizia della legge, anche se derivante sostanzialmente da mere differenze di fatto. 6. Chi ha studiato la ragionevolezza e assume culturalmente una concezione aperta del catalogo delle libertà fondamentali, non potrebbe non apprezzare i contenuti del decisum, nell’ambito del quale si sente ripetutamente l’eco di familiari argomenti discorsivi. Quella posta a fondamento della motivazione è una ragionevolezza a tutto tondo, che comprende le diverse figure sintomatiche, dall’eguaglianza, alla coerenza, al bilanciamento. E’ propriamente la ragionevolezza come specie del discorso pratico, che lega l’interpretazione delle norme (costituzionali e legislative) al contesto (applicativo e storico). Una ragionevolezza che, come ho cercato di dimostrare nei miei studi, deve essere il medium tra norme e fatti, tra diritto ed esperienza, parametro delle forme giuridiche di convivenza sociale, nell’ambito delle quali la Costituzione vive come un ordinamento concreto. Questo principio di ragionevolezza cambia il volto della Costituzione e le modalità dell’interpretazione giuridica: ma – non era almeno questo l’obiettivo delle mie ricerche – non a costo di rinunciare a una Costituzione, ai suoi principi, ai suoi limiti. La soddisfazione dello studioso, allora, non può arrivare fino al punto di nascondere le forti perplessità che derivano dall’analisi critica degli enunciati e dalla considerazione delle possibili conseguenze di politica del diritto costituzionale che questa decisione apre: sia sul versante della concezione della persona e dei diritti fondamentali sia, per questa via, della stessa Costituzione, nelle vicende che la interessano nel nostro tempo presente. 7. Alcune questioni sono di contorno, ma meritano di essere appuntate, perché destinate a sviluppi futuri. La prima riguarda la decisione di accoglimento rispetto agli artt. 2, 3, 29, 31 e 32 Cost. e quella di assorbimento rispetto all’art. 117, comma 1, Cost. La pronuncia si muove nell’ambito dei confini dell’ordinamento giuridico nazionale: le norme convenzionali, che pure avevano avuto un ruolo centrale nella vicenda giudiziaria, almeno in questa circostanza, non hanno svolto nessun ruolo. Nell’ord. n. 150/2012 la restituzione degli atti al giudice a quo era stata motivata per effetto della sopravvenuta decisione della Grande Camera della Corte Edu che aveva riformato la decisione di primo grado, nel caso S.H e altri c. Austria (3 novembre 2011). Qualche interprete, nel commentare quella decisione, aveva rilevato una singolare inversione tra pregiudiziale di costituzionalità e pregiudiziale di convenzionalità, a favore di quest’ultima, specie di fronte a ordinanze di rimessione che, in relazione ai profili di legittimità sollevati, erano costruite in maniera autonoma rispetto al parametro convenzionale (cfr. Morrone, Shopping di norme convenzionali? A prima lettura dell’ordinanza n. 150 del 2012 della Corte costituzionale, in corso di stampa in “Contratto e impresa”, 2012 e in www.forumcostituzionale.it). La decisione di assorbimento, da questo punto di vista, non solo pare evidenziare la (ritenuta?) irrilevanza delle norme convenzionali nel caso di specie, ma, soprattutto, il responsabile ritardo di una decisione nel merito che poteva essere presa già allora. Un punto va sottolineato, però: come nella sentenza n. 1/2014, che nel giudizio sulla legge elettorale ha ritenuto del tutto inutile la decisione della Corte Edu nel caso Saccomanno c. Italia (favorevole alla piena compatibilità del premio di maggioranza e del voto bloccato di lista con la Cedu), anche nella sent. n. 162/2014, il diritto derivante dalla Convenzione europea sembra prestarsi a usi giurisprudenziali altalenanti e largamente opinabili. 8. La decisione palesa una concezione della “famiglia” sempre più sganciata dal “matrimonio” secondo il paradigma costituzionale dell’art. 29 e che, solo recentemente, in una decisione molto contestata, proprio da chi condivide l’opposta lettura che si ritrova ora nella n. 162/2014, la Corte costituzionale aveva ribadito nell’escludere l’additiva in materia di matrimonio omosessuale (sent. n. 138/2010). La famiglia diventa una formazione sociale necessariamente legata alla procreazione, che nella sentenza assurge a diritto fondamentale della persona. Da questo punto di vista, si può rilevare una certa continuità tra questa pronuncia e la novella legislativa in materia di status unico dei figli (legge n. 219/2012 e d.lgs n. 154/2013) che, secondo una dottrina molto acuta, avrebbe rivoluzionato la concezione costituzionale di famiglia (Sesta, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in “Riv. Dir. Civ.”, 2014, 1 ss.). Quel che si può dire a prima lettura è che il combinato disposto di diritto alla genitorialità, diritto ad avere una famiglia con figli (riconosciuti ex novo nella sentenza in commento) e diritto dei figli ad avere una famiglia (contenuto nella riforma del 2012, ma che si ritrova, secondo la Corte, anche nella legge sull’adozione, solo invertendo l’obiettivo di quest’ultima, che è l’interesse alla tutela dell’adottando e non il diritto ad avere dei figli), rovescia il quadro costituzionale, facendo della famiglia legittima fondata sul matrimonio solo una species del genus famiglia come consorzio che lega necessariamente una coppia ai figli (anche solo potenziali e non necessariamente geneticamente discendenti dalla coppia, cfr. punto 6, diritto). A parte la tenuta di questa concezione con gli art. 2 e 29 Cost., quali conseguenze possono derivarne in futuro? Questa visione della famiglia apre anche alle coppie omosessuali e ai single il riconoscimento del diritto (umano) alla genitorialità? Quale schermo giuridico potrà essere ancora opposto a una simile idea di famiglia e alle sue inevitabili conseguenze giuridiche? 9. La proclamazione del diritto alla genitorialità come diritto fondamentale della persona – che, anzi, atterrebbe “alla sfera più intima della persona” – viene apertamente limitato alle coppie che in maniera irreversibile sono acclarate sterili o non fertili (punto 11). La garanzia di questo “nuovo” diritto fondamentale è certamente condizionata alle possibilità consentite dalla scienza e dalla tecnica (in ogni caso le tecniche di procreazione devono svolgersi sulla base dei principi di gradualità e di consenso informato, come ricorda la decisione). E’ vero, però, che se la scienza e la medicina lo consentono, come la fecondazione esogamica dimostra, la garanzia di quel diritto non può essere pretermessa ovvero essere ineffettiva. In questo modo vengono in rilievo alcune contraddizioni tra questo precedente e la teoria dei diritti fondamentali. Un diritto è riconosciuto come fondamentale ma è condizionato alle acquisizioni della scienza e limitato soggettivamente a determinate situazioni patologiche. Ma come si concilia la fondamentalità con questi limiti oggettivi e soggettivi? Quali ragioni potranno essere validamente opposte alla pretesa di accedere alle tecniche di procreazione più adeguate per soddisfare il diritto alla genitorialità come diritto di qualsiasi persona? 10. La decisione, dopo la sent. n. 1/2014 sulla legge elettorale, riprende e applica la teoria delle “zone franche” del diritto costituzionale, per giustificare, di fronte agli ampi spazi di operatività della politica legislativa, la necessità di dare svolgimento al principio di garanzia della Costituzione, mediante il giudizio di costituzionalità, necessario proprio quando sono in gioco diritti fondamentali. Anche in quest’occasione viene riproposto un tema che, però, non può considerarsi risolto una volta per tutte (ma che, invece, è dilemmaticamente alla base stessa della “giustizia costituzionale”). La legittimazione della giustizia costituzionale non può riposare esclusivamente nella supremazia della Costituzione nei confronti della politica legislativa ad ogni costo e senza limiti. In questa decisione, in particolare, il valore costituzionale della politica legislativa – uso questa formula per indicare il ruolo degli organi rappresentativi titolari dell’indirizzo politico – viene doppiamente circoscritto e in maniera sostanziale. Secondo la Corte costituzionale, negli spazi lasciati liberi dalla Costituzione, come in materia di inizio (o fine) della vita, la legge non può compiere scelte che non siano in qualche modo sorrette da valori o principi costituzionali. E anche quando questi valori o principi ci sono, come nel caso del divieto di eterologa fondato nel diritto alla protezione del nato, la decisione politica diventa propriamente “discrezionale” perché la sua legittimità dipende dalla ragionevolezza, il cui ultimo custode è la Corte costituzionale. Ben oltre quanto già previsto nei precedenti (sulla c.d. ragionevolezza scientifica: cfr. sent. n. 202/2002; 151/2009), nella sent. n. 162/2014 la libertà della politica legislativa trova un limite ulteriore nella scienza: non nel senso di rispettarne l’autonomia e le acquisizioni come evidenze che non possono essere contraddette, ma in quanto strumento utilizzabile (almeno a parole) per lo sviluppo delle libertà dell’individuo. Tutto questo è ancora un modo di essere legittimamente riconducibile al principio di sovranità popolare sia pure nelle forme e nei limiti della Costituzione? Un ordinamento costituzionale, in definitiva, fino a che punto può rinunciare a una necessaria, corretta e, pur sempre, equilibrata dialettica tra gubernaculum e iurisdictio? 11. Il punto più significativo della sent. n. 162/2014 è però questo: porre all’attenzione di tutti, anche di chi ancora non se n’è accorto, che la persona e i diritti fondamentali conoscono una profonda e, forse irresistibile, trasformazione di fronte alle acquisizioni della scienza e della tecnica. A leggere bene la motivazione ci si avvede che questo rapporto tra persona e scienza non è per nulla univoco ma biunivoco e, forse, unidirezionale ma in senso inverso rispetto al programma di sviluppo della personalità e di promozione dell’eguaglianza prefigurato dalla Costituzione. Come ha anche di recente ricordato Augusto Barbera, “la persona non è il frutto di una sommatoria di diritti ma, capovolgendo il punto di vista, è un’entità irriducibile a cui vanno riconosciuti diritti fondamentali: il collegamento che corre tra “dignità della persona” e libertà è così stretto che “si può spingere fino al punto di delimitare i confini di una libertà sulla base del rispetto o meno della dignità personale” (Barbera, Un moderno Habeas Corpus?, in www.forumcostituzionale.it, 27/6/2013). Si potrebbe pensare che la concezione sottesa alla pronuncia sia quella della scienza al servizio della persona e dei suoi diritti. A me pare, invece, che i diritti e la persona finiscono per dipendere sempre di più dalla scienza e dalla tecnica, come dimostra bene proprio questa importante motivazione. Siamo sicuri che scienza e tecnica comportino più libertà? In che senso? Il diritto alla genitorialità e il diritto alla famiglia con prole derivano della libera autodeterminazione del soggetto (ammesso che quest’ultimo sia un diritto secondo la nostra Costituzione) oppure sono il frutto della scienza e della tecnica? Il diritto ad essere genitore è un aspetto della persona o una possibilità consentita alla persona dalla medicina? Occorre chiedersi, ad un livello teorico ancora maggiore, di quale libertà stiamo discorrendo. L’autodeterminazione soggettiva è solo una faccia della libertà dell’individuo, la quale, come ogni libertà, deve trovare fondamento, concretizzazione ed effettività nell’ambito di una comunità politica organizzata. Quella che pare emergere nella pronuncia in commento è, in sostanza, una concezione delle libertà meramente individualistica, egoistica, sradicata da relazioni intersoggettive, lontana dall’idea repubblicana della “libertà sociale”. L’idea che i diritti fondamentali siano attributi della persona come animale sociale e politico, sembra essere scalzata da un’innovativa teoria delle libertà come facoltà consentite all’uomo dalla scienza e dalla tecnica. Questo ruolo cruciale della scienza nella definizione della persona e dei suoi diritti pare neutralizzare anche il contenuto morale del diritto costituzionale che invece rappresenta l’essenza dello stato costituzionale. Portato alle estreme conseguenze, il primato della scienza può porre in radicale contestazione tutti i valori fondamentali su cui poggia la Costituzione, se e solo se le evidenze scientifiche consentono ciò che la Costituzione o non ha previsto o non ha voluto. Appunto: ubi scientia, ibi iura. LEGGI ” ‘Quale diritto per i figli dell’eterologa?’, gli interventi del Convegno del 3 giugno 2014 presso la Camera dei Deputati” 13 giugno 2014