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Il Progress M-27M si disintegra sul Pacifico. Dal 1957 “rientrati” quasi 7mila tra satelliti e “razzi”

Progress (NASA) Mean

Il caso del cargo russo lanciato lo scorso 28 aprile per portare rifornimenti alla Stazione spaziale internazionale e sfuggito al controllo. Una tipologia di evento che non è così infrequente: sono 6.822 gli oggetti di maggiori dimensioni ‘rientrati’ dall’inizio dell’avventura spaziale a oggi, informa l’Isti-Cnr Progress (NASA) meanSono precipitati sull’oceano Pacifico nelle prime ore della mattina di venerdì i frammenti del cargo russo Progress M-27M, sfuggito al controllo subito dopo il lancio dalla base di Baikonur, in Kazakistan, lo scorso 28 aprile. A confermarlo è l’agenzia spaziale russa Roscosmos. In Italia, l’evoluzione orbitale del veicolo spaziale è stata monitorata da Luciano Anselmo e Carmen Pardini dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isti-Cnr). “I frammenti – spiega Pardini – potevano precipitare in qualunque località del pianeta compresa tra i 53 gradi di latitudine sud e nord (erano esclusi quindi Poli, che non sono sorvolati dal veicolo). Facendo una valutazione generale sui rischi di rientro di oggetti dallo spazio e tenendo conto della distribuzione degli oceani e delle terre emerse, se i detriti si fossero distribuiti su un arco di 800 km, la probabilità di finire tutti in mare e nessuno sulla terraferma sarebbe stata del 62%. Ma se si fossero dispersi su un arco di 2.000 km, tale probabilità sarebbe scesa al di sotto del 50%”. Anselmo chiosa parlando di “una situazione completamente fuori dal comune e molto complessa”, che lascia aperto più di un interrogativo. Lunga oltre 7 metri, con un diametro di 2,7, la capsula Progress pesa circa 7 tonnellate e avrebbe dovuto rifornire la Stazione spaziale internazionale di attrezzature scientifiche e alimenti di prima necessità. I problemi si sono verificati subito dopo il lancio, la navetta è andata fuori controllo e ha cominciato a perdere quota, ruotando velocemente su se stessa. “Per convenzione – precisa la ricercatrice – si dice che un oggetto rientra nell’atmosfera quando precipita a 120 km di quota. Da quel punto l’attrito dell’aria diventa sempre più significativo e parti delle strutture quali pannelli solari, antenne o appendici varie possono staccarsi anche tra i 110 e i 90 km di altezza. In genere la struttura principale dei satelliti, dove è concentrata gran parte della massa, rimane intatta fino a 80 km di quota, dopo di che l’azione combinata di forze aerodinamiche e riscaldamento disintegra la struttura, i cui componenti si trovano a loro volta esposti alle condizioni proibitive dell’ambiente circostante”. “Il destino dei vari pezzi dipende da composizione, forma, struttura, rapporto area-massa e momento di rilascio: gran parte si vaporizza ad alta quota, ma se il satellite è sufficientemente massiccio e contiene componenti particolari, come serbatoi di titanio e masse metalliche in leghe speciali, la caduta al suolo di frammenti solidi a elevata velocità, fino a qualche centinaio di km/h, è possibile”. Dall’inizio dell’avventura spaziale, con il lancio dello Sputnik il 4 ottobre 1957, ad oggi, sono rientrati 3.095 satelliti e 3.727 gli stadi e componenti di lanciatori (i razzi), per un totale di 6.822 oggetti spaziali artificiali. “Solo il rientro di quelli più grandi e massicci avviene in modo controllato – sottolinea Anselmo – l’80% circa dei satelliti rientra senza controllo, ma si tratta di oggetti con una massa decisamente inferiore a quella della Progress, intorno ai 1.850 kg. Il picco dei casi di rientro per i lanciatori fu raggiunto nel 1989 con oltre 110, dei satelliti nel 1979 con circa 90, per le piattaforme dei lanciatori nel 1984 con oltre 20”. Attualmente in media rientrano in modo incontrollato uno stadio o un satellite a settimana, circa 50-60 l’anno. Il calcolo esclude i veicoli collegati con i programmi spaziali con equipaggio. ISTI_reentries_isto

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8 maggio 2015

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