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Dal riciclo domestico la plastica per le stampanti 3D

Uno studio della Michigan Technological University dimostra come il riuso di materiali ricavati da ordinarie confezioni possa alimentare il circuito delle nuove tecnologie di stampa. Con un grande risparmio per il consumatore E se il contenitore di plastica che abbiamo appena svuotato, invece di gettarlo nel cassonetto della differenziata, lo inserissimo nella nostra nuova stampante 3D per ricavarne un utensile per la casa? L’idea di riuso di rifiuti domestici ordinari non è campata in aria ma proviene da uno studio condotto presso la Michigan Technological University intitolato “Life-Cycle Analysis of Distributed Recycling of Post-consumer High Density Polyethylene for 3-D Printing Filament“.  L’assunto di base è semplice: le nuove tecnologie di stampa in tre dimensioni espongono il consumatore, oltre che agli alti costi degli apparecchi, alla necessità di acquistare materiale di stampa a prezzi sicuramente non agevoli, di certo inferiori a quelli che si pagherebbero per i manufatti già pronti ma ancora troppo superiori rispetto ai “filamenti home made”. L’esperimento è stato condotto su un comune contenitore di polietilene, la più diffusa tra le materie plastiche. Dopo aver pulito quello che una volta era un contenitore per il latte, i ricercatori lo hanno inserito in un comune trituratore da ufficio, per inserire poi i filamenti ricavati in un RecycleBot, apparecchio anch’esso ideato all’interno dell’Università del Michigan e disponibile per una costruzione artigianale. Ma anche nel caso in cui si volesse acquistare un “plastic extruder”, i costi complessivi di una “filiera domestica” per il riutilizzo della plastica sarebbero incredibilmente più bassi rispetto a quelli ordinari. “Basti pensare – afferma uno dei ricercatori, Joshua Pearce – che nel mercato statunitense i filamenti di plastica vengono venduti ad un prezzo che varia tra i 36 e i 50 dollari al chilogrammo, mentre quelli fatti in casa verrebbero a costare non più di tre centesimi di dollaro al chilogrammo. Un risparmio evidente anche se si mette in conto di dover spendere 300 dollari per un RecycleBot”. Un riuso domestico dei rifiuti che potrebbe giovare all’intera filiera del riciclaggio, soprattutto nei piccoli centri: “Dove non ci sono strutture di trasformazione di prossimità – chiosa Pearce – occorre trasportare il materiale altrove con un ulteriore dispendio di energia”. Costi ridotti per il consumatore e minore impatto sull’ambiente, un binomio che potrebbe trovare la sua forma proprio con un passaggio dentro una stampante 3D. “Certo – fa notare Pearce – con questo tipo di materiali gli oggetti sono esposti ad un relativo allargamento o restringimento in base alla temperatura, ma per una gran parte di prodotti è un dettaglio che può anche essere trascurato”. LEGGIStampanti in 3D: quale futuro per i quadri d’autore?” di Federico Mastrolilli LEGGI “Le armi ‘stampate’ restano illegali, la messa al bando rinnovata dal Congresso Usa. Ma solo per quelle di plasticaLEGGI Artigiani Digitali: chi sono i makers?Immagine in home page: Sarah Bird/Michigan Technological University 6 marzo 2014

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