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Anonymous parla alla radio: “Agiamo come uno sciame pronto a disperdersi”

Ascolta Il Podcast Della Puntata Di Domenica 27 Ottobre 2013

Il collettivo di hacker ha concesso un’intervista ai microfoni di Radio Radicale nel corso della trasmissione “Presi per il Web”. Una voce meccanica ha spiegato: “Nasciamo dalla rete e lottiamo per il rispetto del diritto all’esistenza. E non attacchiamo mai siti di informazione”. Ad analizzare il fenomeno Gaia Pianigiani del New York Times, Carola Frediani (L’Espresso e Wired) e Luca Annunziata (Punto Informatico)

Ascolta il podcast della puntata di domenica 27 ottobre 2013
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“Anonymous non è un collettivo orizzontale, è un’idea, che diventa una pratica ed una forma di protesta e di attivismo dentro e fuori dalla rete”. Il disvelamento delle dinamiche interne al collettivo di hacker inizia con una voce meccanica dietro la quale si nasconde un membro del gruppo diventato famoso per i “defacciamenti” dei siti di istituzioni e protagonisti della politica. L’occasione è la puntata di “Presi per il Web” di domenica 27 ottobre. La branca italiana di Anonymous ha infatti concesso un’intervista alla trasmissione di Radio Radicale, ideata da Marco Perduca e condotta da Marco ScialdoneFulvio Sarzana e Marco Ciaffone. La “maschera radiofonica” è la voce camuffata di chi afferma: “Agiamo come uno sciame, stringiamo alleanze che sciogliamo in una notte, organizziamo delle operazioni, colpiamo un obiettivo e poi ci disperdiamo fino all’azione successiva. La destrutturazione è la nostra forza, con i suoi pro e i suoi contro”. Sulla correttezza della definizione di cyberattivisti, il membro del collettivo risponde: “Anonymous viene dalla rete, non c’è una data di fondazione”, tuttavia “il 5 novembre del 1994 gli Zippies lanciarono un attacco distribuited denial of service contro i siti del governo inglese, anche loro erano Anonymous. Penso anche alla nascita, nel 1997, di AntiSec, una delle sigle più note del nostro universo”. Libertà d’espressione, diritto di informazione, diritto all’autodeterminazione degli individui e diritto all’esistenza in senso lato vengono indicati come i cardini principali attorno ai quali si aggregano i membri di un collettivo “liquido” tramite il quale  “chiunque può protestare contro gli obiettivi che desidera” e nel quale vigono tuttavia alcune rigide restrizioni: “Non si possono condurre azioni in favore di razzisti, omofobi o pedofili. Inoltre, nessun anonimo attaccherebbe mai un sito di informazione. Ci troviamo spesso a riscontrare che diversi gruppi in rete usano la nostra sigla per compiere azioni che sono estranee ai nostri ideali. È la mancanza del riconoscimento di alcuni diritti fondamentali ci porta all’azione con l’obiettivo di fondo di sensibilizzare in merito agli stessi”. Dopo una difesa della possibilità di esistere in anonimato in rete e un passaggio sul Datagate (“Diffidiamo dal credere che i nostri servizi segreti siano all’oscuro di tutto e che la privacy degli italiani sia stata preservata”) la voce meccanica ha spiegato: “Chi parla di eventuali finalità di lucro dei membri del collettivo tende solo a screditarlo. Non agiamo in nome del denaro, ma in nome di una causa collettiva. Mai un centesimo è passato sui nostri conti e siamo consapevoli che la legge punisce le nostre azioni, e ce ne assumiamo il rischio. Chi è stato arrestato ed è ora accusato di aver tratto profitto dalle azioni di hackeraggio aveva già preso le distanze dal collettivo”. Ad affiancare i conduttori nell’analisi del fenomeno sono stati alcuni giornalisti che in questi anni hanno seguito da vicino l’evoluzione del collettivo: Gaia Pianigiani, penna del New York Times, Carola Frediani, collaboratrice de L’Espresso e di Wired, e Luca Annunziata, firma storica di Punto Informatico. “L’origine di Anonymous – ha spiegato la Frediani – può essere ricondotta a 4Chan, una bacheca online dove l’anonimato era la cifra dell’esperienza in un forum anarcoide e multiforme. Da lì la realtà è evoluta e mescola elementi diversi: da un lato questo spirito anarcoide che punta alle azioni di sfida e di divertimento, dall’altro uno spirito attivista per diritti umani e ambiente e una mentalità hacker vecchio stampo; tanti elementi che formano un cocktail in grado di essere molto potente. Bisogna infine distinguere il piano degli attacchi tout court da quello delle azioni volte ad informare, forse il più importante e che si gioca su più livelli”.

Secondo Luca Annunziata “Anonymous è un cappello che tutti possono indossare, il problema è stabilire quando c’è davvero la mano di un hacker o più correttamente di un hacktivista. Resta il fatto che le rivendicazioni del collettivo affondano le loro radici nei movimenti nati e cresciuti negli ultimi decenni, come l’ambientalismo o il problema delle carceri e la trasparenza della politica. Il dibattito è interessante ma ampio, mettere tutto sotto la stessa ala è complesso”. “In effetti – ha chiosato Marco Perduca – le azioni di Anonymous si giocano sul noto, su tematiche già sotto i riflettori; ci sono molti nodi sui quali i media mainstream non pongono attenzione e sui quali Anonymous non agisce”. “Bisogna stabilire – ha concluso Annunziata – quanto gli attacchi distribuited denial of service possano avere conseguenze concrete; è una modalità che non ha più l’impatto che aveva 15 anni fa, quando la chiamavamo net strike”. “Negli Stati Uniti – ha affermato Gaia Pianigiani – Anonymous ha una fama relativamente circoscritta agli ambienti delle coste che hanno maggiori legami con l’industria dell’hi-tech, in alcuni ambienti anti-establishment e più in generale nei grandi centri urbani; nel resto del Paese sono altri i fenomeni di massa, come Occupy Wall Stret. C’è grande attenzione negli Usa per i temi legati alla privacy e alla protezione dei dati, e di riflesso è importante la distinzione tra hacktivisti ‘buoni’ e cracker che con le loro azioni mettono in pericolo la sicurezza dei dati sensibili”.

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