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Le email non certificate devono essere considerate documenti sottoscritti con firma elettronica “leggera”. La loro rilevanza probatoria è “liberamente valutabile dal giudice”

Uno scambio di email tramite account non certificati può essere utilizzato come prova nell’ambito di un procedimento giudiziario? Una domanda alla quale il tribunale di Termini Imerese, con una ordinanza del 22 febbraio 2015, sembra rispondere di sì, ma a determinate condizioni. Il caso è quello di un professionista che richiedeva il pagamento di una consulenza portando come prova dell’incarico ricevuto e della volontà del committente di onorare la parcella una serie di “missive inviate tramite posta elettronica (email) non certificata”. La corte si è trovata così a dover “valutare la valenza probatoria di un documento informatico inviato tramite posta elettronica semplice ovvero non certificata”, osservando che nel Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005), agli articoli  art. 20 e 21 viene disciplinato il documento informatico e la sua valenza probatoria in base al tipo di firma apposta, “mentre nell’intero CAD non è disciplinata la valenza probatoria dei documenti informatici non sottoscritti”. In particolare il comma 1-bis dell’art. 20 prevede che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”. Alla luce delle disposizioni in materia di firme elettroniche occorre quindi “stabilire se i documenti inviati via email non certificata debbano essere inquadrati o negli atti informatici non sottoscritti o negli atti informatici sottoscritti con firma elettronica leggera. La questione è dirimente ai fini della presente decisione atteso che nel caso in cui la email non certificata si consideri un documento informatico non sottoscritto, le dichiarazioni contenute nelle email allegate al ricorso devono intendersi prive di valore probatorio; infatti i documenti, informatici o cartacei, non sottoscritti sono privi di qualsiasi valore probatorio, non essendo riconducibili ad alcun soggetto. Al contrario, nell’ipotesi in cui le email non certificate si qualifichino quali documenti informatici con firma elettronica leggera, la loro valenza probatoria è liberamente valutabile dal giudice in considerazione delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”. “Il nome utente e la parola chiave necessari per accedere all’account di posta elettronica – spiega così la corte – sono l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica (art.1 CAD), ovvero la firma elettronica leggera. Pertanto, in siffatta ipotesi i documenti inviati da un determinato account di posta sono riferibili ad un soggetto, ma non è garantita l’identificazione univoca del firmatario del documento, come invece avviene per la firma elettronica avanzata. Ebbene, alla luce di quanto esposto, i documenti informatici inviati via email non certificata, devono essere considerati documenti sottoscritti con firma elettronica leggera”. La corrispondenza oggetto del caso diventa così “liberamente valutabile tenendo conto delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità della email”, una serie di valutazioni che ha portato il tribunale ad accogliere il ricorso presentato dal professionista ordinando il pagamento di quanto richiesto. Di seguito il testo dell’ordinanza ospitato sul sito della Rivista Diritto Civile Contemporaneo. 16 marzo 2015

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