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Diritto all’oblio, un anno dopo: quasi un milione gli Url esaminati da Google. Mentre la de-indicizzazione approda in Senato

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Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi. Così, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati“. Così il 13 maggio 2014 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sentenziava, nella causa C-131/12, il diritto del cittadino spagnolo Mario Costeja González a veder de-indicizzati dai motori di ricerca alcuni link che rimandavano a due pagine del quotidiano La Vanguardia, datate gennaio e marzo 1998, nelle quali si annunciava una vendita all’asta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato nei suoi confronti. In sostanza González reclamava il diritto a veder rimosse delle informazioni non più attuali e dunque irragionevolmente minacciose per la sua immagine; in tre parole: diritto all’oblio. Ed è questo il “cappello” sotto il quale si è svolto il dibattito in questi dodici mesi (con l’aperto disaccordo di chi, come l’ex Garante Privacy Franco Pizzetti, sottolinea che in realtà “la Corte è intervenuta sul prevalere, a certe condizioni, degli interessi del cittadino su quelli di chi fa business, non sulla permanenza delle informazioni sui siti originari”) durante i quali la sentenza della Cgue è stata passata ai raggi X, apprezzata, contestata e, soprattutto, applicata. È il Transparency report di Google a tenere traccia delle richieste di rimozione pervenute a Mountain View tramite il form dedicato dal 29 maggio 2014. Già in luglio erano 90mila, in ottobre salivano a 152.463, per un totale di 510.994 Url esaminati, numeri arrivati rispettivamente a 178.119 e 625.116 meno di due mesi dopo; a un anno dalla sentenza si sfiora il milione di Url totali (920.258) frutto di 253.617 richieste. Una crescita media quotidiana di oltre 2500 indirizzi finiti sotto la lente del motore di ricerca californiano. Costante sembra invece il dato riferito al numero di richieste respinte: 58,4% in ottobre, 58,7% oggi. GoogleDirittoOblio Molto diverso il caso italiano; otto mesi fa meno di una richiesta su quattro risultava accettata, valore che oggi è di poco cresciuto raggiungendo il 27,6%. DirittoOblioGoogleItalia Tra i dieci domini maggiormente interessati dalle rimozioni (e che da soli rappresentano l’8% delle de-indicizzazioni), spiccano siti che permettono di effettuare ricerche su quanto si trova online rispetto ad una persona, tutti piazzati comunque dietro, in questa speciale classifica, Facebook. Rimozioni Domini Ma quali contenuti sono oggetto di richiesta? Qui Google fornisce alcuni esempi anonimi. “Una donna – si legge in un box riferito all’Italia – ci ha chiesto di rimuovere un articolo risalente a decenni fa relativo all’omicidio di suo marito in cui era citato il nome della donna stessa. La pagina è stata rimossa dai risultati di ricerca relativi al suo nome”. Ancora, riferito al nostro Paese, il rifiuto di assecondare la richiesta di una persona che aveva indicato venti link a recenti articoli sul suo arresto per reati finanziari commessi in ambito professionale. In Ungheria “un funzionario pubblico altolocato ci ha chiesto di rimuovere articoli recenti relativi a una condanna penale risalente a decenni fa. Non abbiamo rimosso gli articoli dai risultati di ricerca”. In Belgio invece “una persona accusata di un reato grave negli ultimi cinque anni ma la cui condanna è stata annullata in appello ci ha chiesto di rimuovere un articolo in merito al caso. Abbiamo rimosso la pagina dai risultati di ricerca relativi al suo nome”. Particolare il caso di un medico inglese che ha richiesto di rimuovere “più di 50 link ad articoli di giornale relativi ad una procedura svolta male. Dai risultati di ricerca relativi al suo nome sono state rimosse tre pagine contenenti informazioni personali sul medico ma in cui non veniva menzionata la procedura. Gli altri link ai rapporti sull’incidente rimangono nei risultati di ricerca”. Intanto sul finire dello scorso anno Microsoft (leggi Bing) e Yahoo iniziavano a loro volta a rimuovere risultati di ricerca e il Working Group Art. 29, che raccoglie tutte le Autorità per la privacy europee, diffondeva le sue Linee guida sull’applicazione della sentenza, indicando 13 criteri tra i quali spiccava quello secondo il quale la de-indicizzazione, per garantire un’effettivo rispetto del quadro disegnato dalla Cgue, non può essere confinata alle divisioni europee dei motori di ricerca. Quello della territorialità è uno dei nodi più intricati nello scenario disegnato dalla pronuncia della Corte di Giustizia, insieme alla eventualità di notificare ai siti d’origine l’avvenuta rimozione (punto sul quale si è assistito a clamorose iniziative come quella di Wikipedia); ma a tenere banco in questi mesi sono state soprattutto le delicate analisi sul bilanciamento dei diversi diritti in gioco nel momento in cui bisogna decidere se tenere online un link o destinarlo alla rimozione, soprattutto quando tale decisione è rimessa al giudizio di un’azienda privata. Proprio a tal proposito Mountain View si è dotata di un comitato consultivo impegnato in incontri in giro per l’Europa con personaggi di alto profilo; il 10 settembre scorso la tappa a Roma. Nel febbraio 2015 il rapporto conclusivo. Da parte loro, le Authorities europee stanno cercando di elaborare criteri comuni sulla scorta del percorso iniziato nel settembre scorso con la costituzione di “una rete di punti di contatto per scambiare rapidamente informazioni, e creare una tool box, una scatola degli attrezzi per garantire un approccio coordinato nella gestione dei ricorsi e reclami presentati da utenti non soddisfatti della risposta fornita dai motori di ricerca”. In questo senso, il Garante Privacy italiano, dopo aver esaminato nel dicembre scorso alcune richieste di de-indicizzazione respinte da Google (trovandosi d’accordo con la decisione in sette casi su nove), è recentemente intervenuto ribadendo la necessità di non rimuovere notizie riguardanti fatti recenti e “di rilevante interesse pubblico”, perché “il diritto all’oblio deve essere bilanciato con il diritto di cronaca”. Contestualmente, veniva richiesta per la prima volta la modifica dello snippet che accompagna i link ai risultati di ricerca. In Senato – Intanto una versione istituzionale del diritto all’oblio si fa largo nel sito Internet del Senato con una procedura che vede l’inibizione ai motori di ricerca di alcuni dati. Pochi giorni fa il Consiglio di Presidenza di Palazzo Madama ha infatti approvato le proposte del Gruppo di lavoro per l’esame delle istanze concernenti dati personali contenuti in atti parlamentari del Senato, presieduto dall’onorevole del Pd Linda Lanzillotta e composto dai Senatori Questori Antonio De Poli, Laura Bottici e Lucio Malan, dai Senatori Segretari Rosa Maria Di Giorgi, Antonio Gentile, Hans Berger, Lucio Barani, Alessia Petraglia e Raffaele Volpi. “Compito del Gruppo – si legge in una nota – è esaminare le istanze presentate dai cittadini che chiedono un diverso trattamento dei dati che li riguardano all’interno, ad esempio, delle interrogazioni parlamentari pubblicate nel sito del Senato. Dopo aver esaminato le singole istanze, il Gruppo di lavoro riferisce al Consiglio di presidenza che adotta la decisione finale. Quest’ultima non può in alcun caso comportare la cancellazione o la modifica di atti parlamentari, ma solo l’adozione di misure informatiche finalizzate alla de-indicizzazione dei documenti nell’ambito dei comuni motori di ricerca. L’obiettivo, in altre parole, è far sì che i motori di ricerca non elenchino, nei risultati delle ricerche compiute dagli utenti, quegli atti parlamentari oggetto delle richieste accolte dal Senato”. La pubblicazione nel sito www.senato.it di atti di sindacato ispettivo “potrà essere integrata, su domanda dei cittadini interessati, ove accolta dal Consiglio di presidenza, con la risposta del Governo che dichiara l’infondatezza delle informazioni riportate ovvero con l’aggiunta di altri documenti istituzionali dai quali risulti in maniera inequivoca il vero esito della vicenda oggetto del sindacato ispettivo”. Il Consiglio di presidenza ha inoltre deciso” l’ammissibilità delle richieste riguardanti atti delle Commissioni d’inchiesta, finora del tutto escluse dalla procedura del diritto all’oblio: d’ora in poi, le domande dei singoli cittadini verranno accolte, d’intesa con la Camera dei deputati, nei casi in cui siano presenti esigenze di sicurezza della persona”. Tuttavia, conformemente a quanto già prevede la normativa della Camera, è stato deciso che “le istanze non potranno essere presentate prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla pubblicazione degli atti parlamentari ai quali si riferiscono. Tutte le regole in materia di diritto all’oblio saranno pubblicate nel sito del Senato”.

Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain – Giorgio Resta e Vincenzo Zeno-Zencovich (a cura di) Un anno di diritto all’oblio – Salerno, 15 maggio 2015 Diritto all’oblio: cosa non possiamo chiedere a Google. Considerazioni sull’applicazione della sentenza della Corte di Giustizia La sentenza Google e la questione delle esternalità dei trattamenti di dati personali ‘Hidden From Google’, i link rimossi tornano dall’oblio. Ma un clone europeo non avrebbe vita facile Google e diritto all’oblio, Giuseppe Busia (Garante Privacy): ‘Stabilito un principio sulla competenza territoriale’. Il Prof. Gambino: ‘Richiesta ai motori di ricerca è tutela estrema e subordinata, ma aspetti positivi per tutela delle fragilità’ Uno, nessuno e centomila: tra reputazione online e diritto all’oblio. Montuori (Garante Privacy): ‘Importante capire il diritto alla contestualizzazione dell’informazione’

Il search è mobile. Numeri e dinamiche di una fase di evoluzione

13 maggio 2015

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