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Innovazione e diritto d’autore: quale futuro? L’intervento del Prof. Alberto Gambino

Gambino Diritto Autore Aprile

Di seguito l’intervento del Prof. Alberto Gambino, Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma e Presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet, al convegno “Innovazione & diritto d’autore: quale futuro?“, evento che ha avuto luogo a Roma lo scorso 16 aprile.

Gambino Diritto Autore AprileNelle parole di chi mi ha preceduto c’è un anelito, che lascia intendere, o quantomeno sperare, che a un certo punto le cose si sistemeranno un po’ da sole. Una lettura positiva, ed è bene iniziare un convegno del genere con una buona dose di ottimismo.

Tuttavia, il diritto ha a che fare con lacrime e sangue, cioé con le norme, i regolamenti e la capacità della giurisprudenza di interpretarli al vaglio delle nuove tecnologie. È dunque doveroso evidenziare, anzitutto, un metodo attraverso il quale confrontarsi. Il margine di scelta è minimo, il metodo può esser solo quello della legge, quello della legge esistente, il de iure condito che ad oggi lascia trasparire quali siano le possibili applicazioni  dell’endiadi diritto d’autore – nuove tecnologie.

Ciò premesso, siccome il quesito che ci viene formulato è: «Diritto d’autore e innovazione: incompatibilità o sinergia?», intendo esprimere sin da subito qual è la mia impressione finale per poi argomentare a ritroso.

Ritengo che la sinergia si sia sviluppata nel settore privato dell’autoregolazione, mentre l’incompatibilità si sia annidata nel settore pubblico di talune discipline legislative e abbia portato alla produzione di alcune norme complesse e di difficile applicazione.

L’ottimismo di cui sopra lo si rinviene, infatti, rispetto al settore privato dell’industria, si pensi al comparto musicale dove fino a pochi anni fa si annunciava la grave crisi, mentre oggi, con un sistema di corresponsione minima, ma globale, l’industria ha ritrovato il proprio equilibrio; un limite di sistema si trova viceversa nella legge autoriale attuale che ha un difetto enorme – è stato detto in più convegni –, non prende in considerazione la diversità dei settori merceologici di riferimento. Abbiamo cioé un unico diritto d’autore quando ci sarebbe bisogno di più “diritti d’autore” a seconda della tipologia del contenuto coperto da privativa. Un primo esempio della non univocità del diritto d’autore, riguarda l’editoria; chi proviene dal mondo della ricerca sa bene quanto desidererebbe che i propri libri fossero disseminati in milioni di copie in giro per il mondo. Il “prestigio”, anche economico, in questo caso si costruisce attraverso l’incremento del numero dei soggetti che leggono e studiano su quei libri. Per contro, l’autore di un romanzo, di un best-seller, ha interesse fortissimo alla commercializzazione, e sa che ogni copia che gli viene sottratta abusivamente da terzi comporta un indebito depauperamento. Dunque, sebbene vi sia a monte la stessa legge e lo stesso contratto di edizione, teoricamente “le stesse” remunerazioni, ai ricercatori i libri  vengono di solito fatti pagare, mentre all’autore del best-seller sono corrisposti – giustamente – cospicui diritti d’autore.

Il secondo passaggio in cui le nuove tecnologie non hanno dato una buona prova, è la norma sulle opere degradate, la ricordate? È l’esempio classico di come partendo dalla paura dell’innovazione tecnologica, si arrivi a produrre una pessima norma, per fortuna mai attuata dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali . L’inadempienza del Ministero, tuttavia, non è di certo una nota positiva dal punto di vista istituzionale, ma, in ottica di buon senso, ben venga quella “dimenticanza”.

La vicenda esprime la paura rispetto al vasto patrimonio di opere riproducibili, che il legislatore cercava di tutelare maggiormente, rispetto al sistema delle “eccezioni al diritto d’autore”, ovvero “delle libere utilizzazioni”. L’intento era quello di individuare un meccanismo tecnologico che impedisse la riproduzione. Ma nel formulare il testo, si è fatto l’errore di entrare nel merito tecnico, senza averne le competenze. Cosa è stato scritto? «Si  riproduca pure l’immagine, ma lo si faccia in modalità degradata». Il problema è che online tutto è tecnicamente “degradato”, ma con intensità diversa. Ed ecco il paradosso: se l’opera deve essere talmente brutta da disincentivare chiunque a scaricarla e riprodurla, essa di certo perderà gli elementi della commercialità, ma in un sito avente finalità didattiche e scientifiche, nel momento in cui allo studioso gli si presenta l’opera nella sua peggiore performance, si perde anche l’interesse a conoscere!

Terzo approfondimento critico: la copia privata.

Su questo tema, urge però segnalare un passaggio importante, perché non ha più senso criticare ogni qualvolta si trovino dei meccanismi di remunerazione dell’autore (adeguati o meno, lo dirà il mercato e lo diranno anche gli attori in campo). Tante le critiche contro la SIAE…ma la SIAE non è che un’istituzione, ci sono gli autori dietro, ci sono gli editori, ci sono dei soggetti che hanno il pieno diritto a veder remunerato il loro “sudore” intellettuale. La soluzione del prelievo diretto sul supporto è una soluzione in realtà antica, non legata alle nuove tecnologie, c’è sempre stata.

Occorre allora ripartire dal nostro sistema normativo, seguire sì quello schema ma poi applicarlo alle nuove tecnologie e alla loro portata complessiva. La scheda di memoria, cui si applica il prelievo, in fondo, è pur sempre un supporto, come del resto lo è la fotocopiatrice,ma è bene comprendere che il tema non appartiene più ad un ambito solo individuale. Quando si entra nel mondo delle tecnologie bisogna rendersi conto che un prezzo da pagare, spetta a tutti e non solo ai fruitori, di qui l’equilibrio di un bilanciamento. Quando la distinzione, ben fatta, per cui il corpo del bene non è più meccanico ma è digitale… Che significa? Significa che se vent’anni fa si organizzava un cineforum, si andava a prendere fisicamente la scatola discoidale del film – la “pizza” – nel negozio, il film era proprio la bobina di pellicola che si andava a noleggiare, non era nient’altro. Ciò significava che poi si vedeva il film tutti insieme. La SIAE interveniva nel caso in cui il cineforum avesse avuto delle finalità commerciali, mentre era più tollerante ove l’attività fosse legata a situazioni no profit. Oggi ci siamo ritrovati in uno scenario che invece non ha più quel “corpo”. È un fatto individuale o è un fatto collettivo questo? È un fatto collettivo, è una rivoluzione che riguarda tutti.

Ciascuno di noi può moltiplicare in DVD, in file, l’opera cinematografica e riprodurla con amici o in famiglia. La tecnologia ha amplificato le occasioni di riproduzione dell’opera. E questo è un fatto di rilevanza pubblica, che tocca le abitudini e gli interessi della collettività.

Il tema dell’intermediazione, ieri “fisica”, oggi tecnologica, va dunque ripensato e reinterpretato alla luce dell’effetto finale, che è uno sfruttamento più largo e più diffuso dei diritti patrimoniali, che sono il cuore del diritto d’autore. Ma va reinterpretato non solo in termini di recupero di profitti che sembrano perdersi, quanto in termini di nuove opportunità che richiedono anch’esse una buona dose di creatività dell’impresa culturale.

C’è poi l’aspetto del diritto morale che non va dimenticato. Urge fare attenzione all’eccessiva commercializzazione del bene dell’intelletto, soprattutto quando da una tutela della proprietà intellettuale in quanto tale, si passa ad un servizio con tutti gli annessi e connessi – e quindi si fa prevalere l’ambito privato su quello pubblico, per ritornare a quel sistema di metodo indicato all’inizio.

Cosa comporta tutto questo? Può comportare che la fruizione dell’opera non sia più corrispondente a ciò che l’autore avrebbe voluto: le interruzioni pubblicitarie, la possibilità di fruirne attraverso le tecnologie, che in parte deformano anche la rappresentazione dell’opera, e quant’altro. Non sono un intenditore, ma sono in tanti a sostenere che la musica in vinile è molto più sonora di quella in digitale. E gli analisti del settore nell’ultimo quinquennio sono tornati a rivalutare il valore complessivo dell’acquisto dei dischi in vinile. Si può arrivare a sostenere che le tecnologie possono comportare anche una menomazione di un diritto. Il diritto morale – ricordiamocelo – non è solo il diritto alla paternità, ma anche il diritto all’integrità del bene. L’integrità dell’opera cosa significa? Che l’opera debba rimanere fedele a come è stata pensata dall’autore. È integra in questo modo. Nella lettura giurisprudenziale è stata persino ritenuta prevalente la tutela dell’integrità dell’opera alla tutela del diritto dominicale del proprietario. Quest’ultimo è diritto di eccellenza di tutte le democrazie occidentali, fondato su tutte le Carte costituenti moderne; eppure cede il passo davanti, non al diritto di autore patrimoniale, ovviamente, ma al diritto all’integrità dell’opera, che sempre tale deve rimanere.

C’è un quinto tema riguardante più da vicino anche il rapporto tra la materia del diritto d’autore e le Istituzioni. Da tempo questa materia si divide tra l’Ente statale preposto alla sua tutela – il MiBACT – ed altri soggetti, penso al Ministero dello Sviluppo Economico, il Dipartimento per l’Editoria. Arrivando alla radicalizzazione dei ragionamenti fatti nell’intervento che mi ha preceduto, si rischia la prevalenza del servizio sui contenuti. E allora, dentro questa architettura un po’ antiquata del nostro stato di diritto, l’ente esponenziale rappresentativo istituzionale diviene il mercato, è lo sviluppo economico, è l’industria. La cultura, che invece è il cuore del diritto d’autore, appare sbiadire sullo sfondo. Attenzione! Questa è una battaglia che va fatta insieme, non si può rischiare di perdere il fulcro della ricchezza autoriale per voler spingere troppo l’acceleratore sullo schema del servizio e dell’industria.Altrimenti sarà certo che il livello qualitativo della creazione autoriale degradi. Se non c’è più incentivo alla creazione, ne conseguirà un impoverimento dei contenuti. Ci sarà qualche poeta che continuerà a fare il poeta, ma se la poesia è la su unica fonte di sostentamento evidentemente, per vivere, si dedicherà ad altro. E poi, soprattutto, si va a minare il contenuto culturale, il contenuto che in maniera un po’ enfatica ho definito il diritto morale. E allora è importante la presenza del Ministero dei beni culturali, proprio in questa direzione.

Un esempio per tutti, il caso delle mostre: occorre capire se sono pubbliche, se sono private, se c’è un interesse istituzionale, se c’è un interesse commerciale… Però la sostanza è che si apre al pubblico una fruizione di opere che altrimenti sarebbero difficilmente fruibili e, dietro, c’è uno sforzo organizzativo che impiega soprattutto risorse pubbliche. Mutatis mutandis, è molto simile allo scenario di chi, come Assomusica si occupa della musica dal vivo; è sempre un modo di creare un momento sociale, collettivo di condivisione con giovani, persone che per svago vogliono ritrovarsi e socializzare tra di loro. Elemento estremamente positivo… E allora si dice: «Ma come riusciamo a trovare anche un interesse di quei soggetti che mettono in moto questo elemento positivo per aggregare, organizzare, creare un “movimento”?». Qui sullo sfondo c’è un tema, che capisco che potrà essere affrontato più avanti: possiamo riconoscere anche un diritto d’autore in quanto tale a chi organizza questi  spettacoli, queste manifestazioni che hanno in sé una buona dose di creatività? Sia per le mostre nell’ambito delle esposizioni, sia per lo spettacolo dal vivo? A me piace molto di più questa prospettiva, perché è la prospettiva di recupero, in modo integrato, dei contenuti autoriali, laddove, ovviamente, vi sia un apporto creativo… Non si tratta di mero servizio, ci deve essere qualche cosa in più.

Il tema del format, altro esempio con tratti di somiglianza; quante volte si è detto: «La legge sul diritto d’autore esclude il format», eppure in ottica di riforma, se n’è parlato molto, perché il format è forse l’esempio tipico di un cambiamento tecnologico in cerca di risposte. Serve una norma per dare questo incentivo, per una creazione che effettivamente merita una tutela.

Ultimo esempio di apparente contrapposizione tra le innovazioni e il diritto d’autore,  riguarda il software, che, com’è noto, tutelato con il diritto d’autore, ormai  presenta nella sua applicazione un altro esempio di “errore” del legislatore; il software in quanto tale, manca infatti di quell’apporto creativo in grado di esteriorizzarsi in un’opera da apprezzare e fruire con i sensi, che dunque evochi i presupposti della tutela del diritto d’autore.

Il diritto d’autore è stato disegnato con la stampa, con i primi momenti di trasposizione di una parola all’interno di una rappresentazione creativa, momento che segna la riproducibilità dell’opera. Ecco che con il software lo schema generale tiene meno… Si dirà piuttosto che si tratta di un’invenzione minore. Oggi la dottrina converge nel ritenere che forse la strada del diritto brevettuale sarebbe stata più opportuna rispetto a quella del diritto d’autore, laddove si è mortificato, e di nuovo commercializzato, il cuore del diritto d’autore. Quando degli elementi strettamente tecnologici diventano oggetto del diritto d’autore, si palesa il rischio che tutto possa essere oggetto del diritto d’autore, dunque niente è oggetto del diritto d’autore!

Il paradigma che dovremmo invece perseguire, è quello di ritrovare quel quid novi, a livello di creazione, all’interno delle opere intellettuali cui viene garantita la tutela.

Per non parlare poi del tema delle biotecnologie che toccano anche aspetti delicati, pensiamo a tutta l’industria sanitaria.

Termino con il passaggio più delicato di tale sistema normativo, che ruota attorno alla natura soggettiva del diritto d’autore. Addirittura, la Carta c.d. costituzionale europea dice: «È un diritto di proprietà», ciò significa che deve esserci solo il giudice naturale: il tribunale. Non ce ne sono altri; i diritti soggettivi si tutelano  davanti al tribunale. Tuttavia, sappiamo bene i problemi ingenerati dalle tecnologie, problemi che i tribunali non riescono a definire in tempo. Le sentenze arrivano quando il danno è compiuto. Ecco che allora il sistema delle Authorities – l’AgCom fra tutte – pur non rappresentando un sistema espressamente disciplinato dalla Costituzione italiana, può rappresentare una soluzione. Di qui l’egregio lavoro compiuto dall’AgCom nella preparazione di quel Regolamento, che oggi si trova impugnato dinanzi alla Corte Costituzionale; tra le ragioni, il fatto di aver inserito alcune misure di enforcement, la cui competenza spetterebbe al solo il tribunale, non all’authority. Va rammentato che il Tar, in sede di  rimessione alla Corte, ha tuttavia valutato ineccepibile la struttura del regolamento,  pur segnalando la possibile assenza di un adeguato bilanciamento tra la libertà di espressione e la tutela del diritto d’autore,  all’interno delle norme che, a monte, assegnerebbero la competenza all’Autorità.

A ben vedere la scelta della Corte costituzionale è tutt’altro che indifferente rispetto ai discorsi sin qui fatti, perché il tema in essere, prima ancora che giuridico è culturale.

Se con le nuove tecnologie gli operatori commerciali dell’industria culturale acquisiscono una cultura della legalità – e quindi si rendono conto di ciò che è corretto e di ciò che non è corretto in un mercato transnazionale – allora si potrà creare un ambiente culturale, un modello di sviluppo integrato con tutti gli attori del sistema, autori ed editori compresi.

Finisco con il tema dell’accesso alla rete, alle tecnologie; secondo la FCC (Federal Communication Commission degli Stati Uniti d’America), la “net neutrality  impone che non possa esistere una rete Internet di serie A e una di serie B, dunque solo per chi paga una connessione ad alta velocità.

È importante, all’esito di queste riflessioni, fare attenzione quando si parla di accesso alla rete e alle infrastrutture, che non si forzi troppo il dato economico del servizio rispetto al contenuto, con il rischio che la popolazione venga divisa, forse anche per censo, tra chi potrà permettersi le nuove tecnologie e chi resterà con quelle obsolete perdendo così il prezioso accesso ai contenuti culturali.

Regolamento Agcom e Consulta, Prof. Gambino: “Conflitto esca dalle aule giudiziarie e sia affrontato dal Parlamento”

10 novembre 2015

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