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Il Golden Power del Governo italiano nell’acquisizione di Telecom da parte di Telefonica
di Elena Maggio 1. L’acquisizione di Telecom Lo scorso 24 settembre la società spagnola Telefonica ha reso noto di aver avviato l’iter di acquisizione di Telecom Italia. L’accordo si articola in due fasi: la prima prevede la sottoscrizione da parte di Telefonica di un aumento di capitale sociale di Telco, holding che detiene il controllo di Telecom, per complessivi 324 milioni di euro, che valorizzerà la partecipazione in Telecom Italia posseduta a 1,09 euro per azione. Tutti gli importi saranno utilizzati per rimborsare, immediatamente e fino a concorrenza, l’indebitamento bancario in essere in scadenza a novembre 2013. Il residuo debito bancario di Telco sarà interamente rifinanziato fino a 700 milioni di euro da Mediobanca e Intesa Sanpaolo in parti uguali, attraverso un nuovo finanziamento a condizioni di mercato. La seconda fase, subordinata all’ottenimento di tutte le autorizzazioni delle competenti autorità nel settore delle telecomunicazioni e antitrust, è volta a far ottenere a Telefonica attraverso diverse operazioni di ricapitalizzazione il 100% delle azioni di Telecom. A servizio di tale aumento di capitale saranno emesse esclusivamente azioni di Classe C prive del diritto di voto, convertibili da Telefonica in azioni con diritto di voto, appartenenti alla medesima classe di azioni di cui Telefonica è già titolare (azioni di Classe B). [Vedi il comunicato stampa dove sono spiegate nel dettaglio tutte le fasi dell’operazione]. 2. Il quadro normativo comunitario e nazionale La circostanza che tale operazione di acquisizione abbia avuto ad oggetto la compagnia telefonica ex monopolista e attualmente proprietaria della rete ha comportato una levata di scudi da più parti e per svariate ragioni, ad incominciare da quelle di sicurezza nazionale. Per ovviare ad una situazione che pare essere un unicum nel panorama internazionale, un soggetto privato senza il controllo dello Stato che è proprietaria dell’intera rete di comunicazioni elettroniche, il Governo italiano ha ricevuto diverse sollecitazioni ad esercitare il suo golden power. L’acquisto da parte di un investitore cittadino di un altro Stato membro dell’UE di partecipazioni di controllo in un’impresa nazionale, oltre a costituire una forma di movimento di capitali, è anche soggetto alle disposizioni sul diritto di stabilimento. L’articolo 49 del TFUE, che disciplina il diritto di stabilimento, dispone che «(…) le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono (…) soppresse (…). La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese (…), alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (…)». I cittadini di altri Stati membri dell’UE devono quindi avere il diritto di acquistare partecipazioni di controllo, di esercitare integralmente i diritti di voto ad esse connessi e di gestire imprese nazionali alle stesse condizioni stabilite da un determinato Stato membro per i propri cittadini, in applicazione del principio del «trattamento nazionale» agli investitori cittadini di un altro Stato membro dell’UE. Il rispetto del principio del «trattamento nazionale» vieta le discriminazioni sia dirette che indirette, anche se vi sono delle eccezioni a tali regole generali che autorizzano gli Stati membri ad imporre delle restrizioni. In particolare, per quanto interessa la vicenda in esame, è ammessa la definizione di un regime particolare per gli investitori cittadini di un altro Stato membro se determinato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Come ha avuto modo di sottolineare la Commissione Europea, tuttavia, è opportuno, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, interpretare queste deroghe in modo restrittivo ed escludere qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico. Ovviamente, tutte le restrizioni adottate nel quadro di queste deroghe devono rispettare il criterio della proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ciò significa che la restrizione in causa deve costituire un provvedimento necessario per garantire la protezione degli obiettivi suddetti (ordine pubblico, pubblica sicurezza, ecc.) e che non debbono esistere altri provvedimenti che consentirebbero di raggiungere gli stessi obiettivi e siano meno restrittivi della libertà di circolazione dei capitali. In questo quadro normativo comunitario si inserisce il nostro decreto legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito con modificazioni dalla L. 11 maggio 2012, n. 56., in G.U. 14/05/2012, n. 111, c.d. Decreto Golden Power, il quale disciplina, appunto, l’esercizio di poteri di veto che il Governo italiano può esercitare qualora operazioni finanziarie e commerciali siano poste in essere su asset strategici per la sicurezza nazionale e la difesa in genere (art. 1) nonché, specificamente, se afferenti ai settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2). In particolare, l’art. 2, rinviando a successivi decreti attuativi la definizione nel dettaglio delle reti e degli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi pubblici essenziali, con riferimento ai quali potrà essere esercitato il potere di veto, dispone che “Qualsiasi delibera, atto o operazione, adottato da una società che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1, che abbia per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione […] è notificato, entro dieci giorni e comunque prima che vi sia data attuazione, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dalla società stessa”. Viene aggiunto, sempre all’art. 2, che il veto su delibere, atti ed operazioni può essere espresso con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri, da trasmettere contestualmente alle Commissioni parlamentari competenti, qualora la loro esecuzione dia luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti. Il Presidente del Consiglio dei Ministri comunica l’eventuale veto entro quindi giorni dalla notifica e può consistere nell’ imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela della sicurezza nazionale e della difesa. 3. I presupposti dell’esercizio del potere di veto La notizia dell’acquisizione di Telecom da parte di Telefonica ha trovato impreparato il nostro Paese che ancora non aveva emanato i decreti attuativi, per quanto, sia chiaro, l’importanza dell’operazione già imponeva ai sensi del semplice Decreto Golden Power la notifica al Governo. Ad ogni modo ne è scaturita una corsa all’emanazione di detti decreti e dopo una prima bozza di decreto unitario per i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, lo scorso 9 ottobre sono stati presentati al Consiglio dei Ministri tre schemi di DPR rispettivamente per l’individuazione degli attivi nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, la definizione delle procedure per l’attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e sicurezza nazionale e, da ultimo, per la definizione delle procedure per l’attivazione dei poteri speciali nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Resta comunque da capire come ed entro che spazi il Governo potrà muoversi nel caso di specie. In passato la CGCE (Caso C-463/00 – Commissione c. Spagna) ha avuto modo di chiarire che per le imprese che operano nei settori del petrolio, delle telecomunicazioni e dell’elettricità non può negarsi che l’obiettivo di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di tali prodotti o la fornitura di tali servizi in caso di crisi, sul territorio dello Stato membro, può costituire una ragione di pubblica sicurezza (v., per situazioni simili, citate sentenze Commissione/Francia, punto 47, e Commissione/Belgio, punto 46) e, pertanto, giustificare eventualmente un ostacolo alla libera circolazione dei capitali. L’esercizio dei poteri speciali da parte del Governo italiano dovrà essere quindi puntualmente motivato da una minaccia reale e sufficientemente grave, tale da pregiudicare un interesse fondamentale della società, come, peraltro, indicato nella Direttiva 96/92/CE, riferita al mercato interno dell’energia elettrica, ove al Considerando 25 viene specificato che «ogni rete di trasmissione dev’essere soggetta a una gestione e a un controllo centrale per garantirne la sicurezza, l’affidabilità e l’efficienza nell’interesse dei produttori e dei loro clienti». Inoltre, atteso che la CGUE ha affermato, nel caso C-171/08 – Commissione c. Portogallo, che «le esigenze della pubblica sicurezza, in particolare in quanto deroga al principio fondamentale della libera circolazione dei capitali, devono essere intese in senso restrittivo, di guisa che la loro portata non può essere determinata unilateralmente da ogni Stato membro senza il controllo delle istituzioni dell’Unione europea» l’esercizio del golden power dovrà essere motivato facendo riferimento non già a generici ed astratti rischi per la sicurezza nazionale, ma, secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. caso C-274/06), solo in ragione di un effettiva minaccia riscontrabile nel preciso momento in cui detti poteri vengono esercitati. In tal senso, non può non sottolinearsi la circostanza che, stando alle agenzie di stampa, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) abbia presentato al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR) un’informativa ove vengono analizzate tutte le criticità che la cessione ad un soggetto straniero, ancorché membro dell’Unione Europea, potrebbe sollevare. Peraltro, secondo l’agenzia Reuters, nel rapporto i servizi di intelligence suggeriscono alle autorità di scorporare la rete, ancora sotto il controllo dell’ex monopolista delle telecomunicazioni come misura di sicurezza nazionale. Non potrà essere invocata al fine di legittimare l’esercizio del golden power la circostanza che Telecom detenga «la gestione delle reti a cavo e delle reti in rame, nonché tutte le attività all’ingrosso e al dettaglio» e che per tanto l’esclusione di soggetti stranieri sia preordinata a «garantire un certo grado di concorrenza sul mercato delle telecomunicazioni». Infatti, «la Corte ha già dichiarato che l’interesse alla salvaguardia delle condizioni di concorrenza su un determinato mercato non può costituire una valida giustificazione delle restrizioni alla libera circolazione dei capitali (cfr. il già richiamato caso C-171/08 – /Portogallo). 4. Le modalità di esercizio del potere di veto Il Decreto Golden Power specifica che il Governo ha quindici giorni dalla notifica per comunicare alla società l’esercizio del potere di veto. Nel caso di specie, tuttavia, l’operazione, a quanto consta dalle dichiarazioni rese alla stampa da vari esponenti del Governo, non è stata notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri come prescritto. Non pare giustificare tale omissione la circostanza che ancora non sia stata emanata la disciplina di attuazione, attesa la sufficiente specificità sul punto del Decreto richiamato. Per tanto, si dovrebbe ritenere che il Governo non sia vincolato al rispetto di alcun termine, salvo il rispetto del principio della certezza del diritto. In ordine, invece, alle modalità con cui il potere di veto può esplicarsi l’unica indicazione è fornita dal quarto comma, dell’art. 2 del Decreto, ove si legge che può assumere la «forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni» proporzionate alla tutela degli interessi pubblici della protezione di settori strategici come quello delle telecomunicazioni. Resta il dubbio se dette «prescrizioni o condizioni» possano essere completamente slegate dal dato normativo positivo, o se piuttosto debbano comunque attenersi ai poteri riconosciuti agli Stati Membri nello specifico settore di riferimento. Premesso che mancano del tutto riferimenti legislativi e precedenti giurisprudenziali che possano aiutare nel delineare una compiuta risposta al quesito di cui sopra, non resta che ipotizzare quali conseguenze discendano dall’accoglimento di ciascuna delle tue tesi proposte. Qualora si ritenga che il Governo italiano sia completamente slegato da ogni vincolo dovrebbe concludersi che lo stesso possa imporre la separazione forzata. Ove, invece, si ritenga che il Governo sia comunque vincolato al rispetto del quadro regolamentare comunitario, come sarebbe preferibile ritenere, anche per semplici ragioni di opportunità che non spingano gli operatori stranieri a non investire più in Italia, che a Telefonica più che prescrivere la separazione forzata possa porsi la condizione sospensiva della realizzazione della separazione volontaria, secondo lo schema già presentato all’AGCOM. Tale formula, ancorché analoga nelle conseguenze positive rispetto alla prima, potrebbe di fatto essere vista anche dall’esterno come meno discriminante e maggiormente rispettosa dei principi di proporzionalità e adeguatezza. Qualunque sia la posizione assunta deve osservarsi, in ordine ai risvolti economici dell’intervento statale, che l’esercizio del potere di veto in ipotesi di mancato rispetto delle prescrizioni o dell’avveramento della condizione sospensiva, stando al comunicato stampa di Telefonica, dovrebbe lasciare impregiudicata la prima fase dell’operazione già attuata, non trovando unicamente attuazione la seconda fase dell’iter di acquisizione. 17 ottobre 2013