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Il Consiglio di Stato interviene sulla validità giuridica del tweet come atto di manifestazione di volontà ai sensi del dlgs 165/2001

di Marco Scialdone Per la prima volta la volontà politica espressa in un tweet diventa argomento di una sentenza di tribunale. Il Consiglio di Stato è infatti intervenuto nel procedimento che origina dai lavori di ristrutturazione promossi nel 2013 dal Comune de La Spezia per l’area di piazza Verdi. A seguito delle proteste di numerose associazioni del territorio, il 15 giugno 2013 un tweet dell’allora ministro dei Beni e delle Attività culturali Massimo Bray preannunciava la richiesta al Comune di sospendere i lavori in attesa della verifica del progetto da parte del Mibact.

Dopo 48 ore, gli organi periferici del ministero sollecitavano al Comune, come peraltro già fatto in precedenza, l’avvio del procedimento di verifica dell’interesse culturale della piazza, “invitandolo a non procedere nelle more alla rimozione di componenti il cui interesse culturale non fosse stato definitivamente accertato e autorizzando la prosecuzione dei lavori limitatamente agli interventi sulla sede viaria ed i marciapiedi, con esclusione delle opere interessanti l’area centrale della piazza e le componenti arboree ivi presenti”. Il Comune impugnava così questi atti sostenendo, tra le altre rivendicazioni, che “le dichiarazioni via tweet e a mezzo stampa del ministro integravano un’inammissibile usurpazione di funzioni amministrative di esclusiva competenza dirigenziale”. Al di là della questione strettamente relativa alle procedure burocratiche legate ai lavori stradali, sono interssanti i passaggi nei quali la Corte si concentra sullo status del tweet dell’ex ministro: “In realtà il Comune ha proposto appello incidentale senza qualificarlo oltremodo, chiedendo la riforma della sentenza nel punto in cui essa non ha ritenuto di annullare il tweet o cinguettio del ministro, ma ne ha solo dedotto una spia di eccesso di potere, avendo gli organi statali avuto un ripensamento rispetto alle precedenti valutazioni soprattutto, o addirittura solo, per compiacere o per non discostarsi da posizioni pubblicamente assunte dall’autorità politica”. E ancora: “La pretesa svolta nell’appello incidentale, ad opinione del Collegio, deve ritenersi pienamente assorbita dal confermato accoglimento della domanda di annullamento del ricorso originario, sicché è superflua sia la ricerca di una ulteriore e distinta causa di illegittimità (per quanto sia evidente quantomeno la spia della disfunzione) sia soprattutto l’esame della domanda, da ritenersi per logica elementare condizionata, diretta ad annullare l’atto dell’autorità politica, perché da intendersi esso già quale manifestazione di volontà attizia”. Il Consiglio di Stato osserva dunque: “Al riguardo, solo per scrupolo di completezza, il Collegio osserva che gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 24 settembre 2003, n.5444, Cassazione civile, sezione II, 30 maggio 2002, n.7913; III, 12 febbraio 2002, n.1970), anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica”. 13 febbraio 2015  

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